#iostoacasa: esorcizza la paura con Nocturno

Pandemia - Guida al cinema (anti)batterico - Capitolo 2: il virus sotto la pelle
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#iostoacasa e leggo Nocturno – Pandemia – Guida al cinema (anti)batterico – Capitolo 2:

IL VIRUS SOTTO LA PELLE

Dici «epidemia» e pensi subito a lui: David Cronenberg, tra i più teorici e rivoluzionari registi di sempre. Per il quale il cinema stesso è di per sé un virus. Di fronte all’ecatombe delle altre forme di espressione e comunicazione, il cinema di Cronenberg infetta le carni della visione, scava le putrescenze del tessuto narrativo fino a rivelarne l’essenza. Tema, quello dell’epidemia, implicitamente comune a tutti i suoi film. Se come “corpo” si può intendere quello sociale, familiare o culturale, ecco che A History of Violence (2005) racconta dell’intrusione della violenza repressa sotto le false generalità di un uomo “tranquillo”, in una comunità che è microcosmo sociale e familiare. La promessa dell’assassino (Eastern Promises, 2007) agisce in maniera simile seminando l’alterità tra i codici comportamentali e tradizionali della sottocultura criminale russa. M. Butterfly (1993) riflette il fascino di una mutazione sentimentale già in atto, il virus erotico che travolge la coscienza di un uomo che “deforma” il proprio desiderio maschile e lo sublima nel corpo di una donna a sua volta uomo. Il pasto nudo (Naked Lunch, 1993) affronta il tema della scrittura virale, putrescenza della creazione che sostanze allucinogine (già nell’etimologia il senso dell’estraneità) modificano sino a trasformarla in febbre perpetua, delirio visionario. Videodrome (1983) è il contagio della tele-visione, i suoi effetti sulla morfologia dell’uomo, l’epopea mostruosa di una nuova carne che ha di fatto piegato il consenso e le volontà degli individui.

Il demone sotto la pelle (1975), David Cronenberg

Il demone sotto la pelle (1975), David Cronenberg

Agli esordi di Cronenberg, però, epidemie più esplicite e non solo simboliche. Il suo primo lungometraggio, Il demone sotto la pelle (Shivers aka The Parasite Murders, 1975) racconta del parassita creato in laboratorio da un fantomatico dottor Hobbes per smorzare la cerebralità delle persone infondendo loro un senso di ebbrezza perpetua. Un intento dionisiaco che provoca invece la proliferazione virale di parassiti che scivolano sotto la pelle e agiscono sull’organismo eliminando i freni inibitori. Travolti dalla frenesia erotica, i contagiati finiscono per aggredirsi a vicenda, quasi che la voglia sessuale sconfini in un impulso antropofago. Ancora oggi devastante e magnifico, Il demone sotto la pelle può sembrare un po’ ingenuo nell’utilizzo dei riferimenti “alti” (lo scienziato si chiama Hobbes come il filosofo che teorizzò lo stato di natura e l’homo homini lupus) ma non c’è dubbio che rappresenti uno dei primi e migliori horror rivoluzionari. Lucidamente in grado di articolare una potente metafora sociale senza saccenteria alcuna, e soprattutto senza voler fare a meno dei caratteri exploitation della propria estetica. Cronenberg non esclude l’elemento raccapricciante, anzi, lo mostra in tutto il suo orrore, ma lo rende funzionale a un discorso complesso sulla percezione della realtà, sulle ipocrisie del vivere civile, l’architettura sociale alla base del concetto di comunità, il rapporto tra corpo/uomo e scienza, i limiti che la natura impone alla tecnologia e più in generale sul tema del conflitto tra razionalità e istinto come dominante del nostro agire.

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Rabid – Sete di sangue (1977), David Cronenberg

Il secondo film dell’”epidemia esplicita” cronenberghiana è ovviamente Rabid – Sete di sangue (Rabid aka Rage, 1977). Il trapianto di epidermide che Marilyn Chambers subisce dopo un incidente sviluppa in lei un nuovo organo vampiro, simile a una vagina pulsante, che attraverso una specie di pungiglione succhia sangue e trasmette germi mostruosi. La vittima del “morso-puntura” cade in preda a un delirio famelico diventando una specie di vampiro. Rabid, pur inserendosi perfettamente nel solco dell’horror teorico dell’epoca (l’autore stesso parlò di un debito nei confronti di La notte dei morti viventi di Romero) è però originale per come riesce a trasformare l’argomento collettivo del contagio nello sfondo di una storia melodrammatica, dove la scienza è vista in contrapposizione all’amore, o almeno finisce per trasformare il desiderio in repulsione. A ben guardare, Rabid resta uno dei più “intimi” film di Cronenberg, perché il tema dell’epidemia, così suscettibile di una lettura politica, è invece descrizione di un caos che rivela la forza dell’amore originario tra i due protagonisti: lei trasformata in mostro dalla medicina, lui che finisce per respingerla provocandone la morte. Per suicidio, come in un classico mélo. Rabid è una specie di Promessi sposi, dove la peste funziona a livello simbolico, i monatti sono gli unici superstiti e alla Provvidenza ci si rivolge con i toni definitivi delle parole che concludono il film: «Che Iddio misericordioso ci protegga e salvi il genere umano da questa spaventosa apocalisse!».