Intervista a Nicolas Winding Refn

L’equazione matematica della paura: Refn e il suo nuovo horror The Neon Demon
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Nicolas Winding Refn, regista di Drive, si lancia in un viaggio alla ricerca non tanto della formula dell’horror perfetto, quanto dei profondi meccanismi che governano il genere

Allora Nicolas, tra pochi giorni inizi le riprese del tuo decimo film, The Neon Demon; finalmente sei arrivato alla fine di una sceneggiatura che ti ha preso tre anni della tua vita…

Non ci crederai, ma non ho ancora finito la sceneggiatura… Anzi, vorrei quasi fare un film senza copione.

Da quando ne abbiamo parlato l’ultima volta, che cosa è cambiato? So che non puoi fare troppi spoiler, ma almeno dimmi se è ancora una storia tutta al femminile come agli inizi…

Sì, diciamo che è ancora un storia al femminile. Ho cercato di esaminare tutti i differenti modi di fare un film dell’orrore. È stato una sorta di esercizio mentale: raggruppare tutti i diversi generi dentro categorie; i sottostesti che quei generi rappresentavano e ridurre il tutto a un’equazione matematica. Non volevo trovare la formula del film horror perfetto, ma capirne i meccanismi profondi. Perché l’horror è l’unico genere che possa offrire una complessa moltitudine di possibilità, non come il cinema d’azione o la commedia romantica. I sottostesti che puoi raccontare nell’orrore e nella fantascienza, che spesso si mischiano insieme, sono praticamente infiniti. Così mi sono messo a dissezionare i vari film, a pensare a quando li hanno fatti e perché hanno funzionato in quel periodo. Un processo meno affascinante della pura creazione, ma che mi ha permesso di individuare l’equazione matematica della paura.

Identificare un’equazione matematica della paura, la trovo una ricerca affascinante, ma alquanto difficile, considerando il panorama horror mondiale, i differenti generi, i differenti Paesi e le differenti credenze. Com’è possibile stabilire un algoritmo che tenga in considerazione le varianti che intercorrono, ad esempio, tra il cinema orientale e quello europeo degli anni ’70 di cui tu sei un grande fan? 

Il cinema dell’orrore orientale è basato in prevalenza sulla superstizione, mentre quello europeo è più influenzato dalla letteratura, è un tipo di paura più astratta, più sperimentale. Poi, certo, dipende dal Paese e dai tempi storici, ma si possono quasi sempre riscontrare queste influenze. Il cinema dell’orrore americano, invece, è molto più concentrato sulla logica. Una volta evidenziate queste differenze, ci si trova, poi, a confrontarsi coi sottogeneri: i vampiri, i mostri, i lupi mannari e il dr. Jekyll e mr. Hyde. Tutti archetipi che rappresentano profonde complicazioni della mente umana. Poi ci sono i fantasmi e le case infestate che, a loro modo, rappresentano altre consuetudini della cultura americana. In tutti i film dell’orrore o nella maggior parte di questi ritorna sempre un tema costante: la sessualità femminile, che in America è molto puritana, mentre in Europa è assolutamente feticistica e in Asia spirituale.

Quindi la donna, o meglio la sessualità femminile, è sintesi di questa equazione… è per questo che hai deciso di fare un film tutto al femminile?

Diciamo che più che sintesi è sicuramente una costante importante. Il percorso che ho fatto nella profonda ricerca dei meccanismi dell’orrore, di quello che ha fatto la fortuna di questi film al momento della loro uscita nei cinema, mi è servito a capire come hanno funzionato e, soprattutto, perché hanno funzionavano. Una lezione che volevo avere ben presente mentre scrivevo The Neon Demon, perché una volta che ho capito a fondo questi concetti, mi sono sforzato di non riproporli nella scrittura, altrimenti sarebbe stato tutto troppo facile. È stata una grossa sfida, lavorare con una materia che mi era famigliare, aver appreso tutti i suoi segreti e poi, razionalmente, averli eliminati dal mio cervello… come se non fossero mai esistiti.

Quindi diciamo che questo script ha preso più tempo degli altri perché prima hai voluto ben documentarti sul cosa fare…

Più che su cosa fare, direi, su cosa non fare. La maggior parte dei miei processi mentali quando scrivo e giro un film  sono concentrati su quello che non voglio fare.

The Neon Demon è il secondo film che giri negli Stati Uniti dopo Drive, ma questa volta i soldi sono tutti europei, giusto?

Si, è una coproduzione tra Francia e Danimarca, ma ho voluto un cast tutto americano, che mi sono divertito a costruire come un puzzle. Elle Fanning si è subito detta disponibile a fare una delle protagoniste, e mi sento molto fortunato di questo, ma non ho voluto troppe celebrità perché pensavo potessero deteriorare il film. Anche Keanu Reeves, sarà comunque della partita e farà qualcosa che lascerà sorpresi…

Dario Argento ha sempre detto di preferire la fase di scrittura a quella del set è lo stesso per te?

Mi piace molto il processo di ideazione…

Quanti giorni dureranno le riprese?

Otto settimane, ma sarà un periodo molto difficile perché ho veramente pochi soldi per fare questo film e LA è un posto complicato dove girare un piccolo film. Già fu complicato con Drive, che era un low budget, ma questo è ancora meno costoso. È sempre una questione di tempi, di avere abbastanza tempo per girare quello che voglio. Siccome, poi, a me i film piace farli in ordine cronologico, non si sa mai quello che può succedere. Finora sono stato molto fortunato coi miei precedenti film – dipende a chi lo chiedi, naturalmente (ride) – ma è stata solo una questione di astri favorevoli… A me piace affrontare tutto come si trattasse di un quadro, di una tela bianca che devi riempire, e questo è qualcosa che nessuno può portati via; comunque, non ci sono scuse per non portare a termine il lavoro…

Quindi con The Neon Demon stai per confezionare un film totalmente diverso da quelli che ci hai abituato a vedere?

Non ne sono sicuro. Secondo me The Neon Demon avrà molte cose in comune con Solo Dio perdona. Comunque te lo saprò dire con certezza quando l’avrò finito, perché quando ho fatto Solo Dio perdona ero convinto che sarebbe venuto fuori un film molto simile a Drive e invece…

Senti la pressione nel dover replicare i successi del passato?

Sì, anche se non voglio che la paura del fallimento si trasformi in una continua replica di quello che pensiamo essere la formula del successo. Per questo mi piace l’idea di cambiare genere. Si vive una volta sola. Non voglio sentirmi sicuro, non voglio sentirmi confortevole, voglio sentirmi completamente libero di creare.

Ormai è quasi un anno che ti sei trasferito a Los Angeles, come ti trovi a lavorare nella mecca di Hollywood?

Mi piace lavorare qui, è una bella città dove vivere, anche se c’è molta competizione. Ma questa competizione al momento non mi tocca, perché io sono venuto qui come produttore e, come in qualsiasi altro posto, tutto quello che dovevo fare era reclutare una troupe. Cosa che non è stata delle più facili, proprio per una questione di soldi, così ho cercato una crew tutta di giovani. Persone che potessero lavorare per un compose minore ma che allo stesso tempo portassero più entusiasmo e giovinezza dei loro anziani colleghi. Un’altra sfida.

So che il tuo rapporto con la musica è sempre stato molto stretto e significativo nel processo di creazione dei tuoi film. Che tipo di sonorità avevi in mente scrivendo The Neon Demon?

Un sacco roba di Giorgio Moroder. Sarà comunque Cliff Martinez a comporre la colonna sonora, che è abbastanza moroderiano anche lui…

Tornerai a Los Angeles per la post-produzione?

No, faremo tutto in Europa, in Danimarca, con i miei collaboratori soliti, che sono un marchio di garanzia.

Parlando di horror, a che punto è il progetto Maniac Cop che dovresti produrre insieme a Bill Lustig?

Finalmente abbiamo finito la sceneggiatura e sono molto entusiasta. È diventato un film meno sovrannaturale rispetto all’originale e più fedele a quello che il titolo promette. Ho anche trovato il possibile regista. Te lo dico se mi prometti di non scriverlo…

Ti faccio, un’ultima domanda allora. Hai visto qualche film dell’orrore che ti piaciuto di recente.

Si, ho visto un film molto intelligente e affascinante che si chiama It Follows. Un bel film davvero anche se continuo a pensare che abbia fallito nel voler far vedere il mostro alla fine. Una lezione che va sempre tenuta presente.