Intervista ai direttori artistici dell’AHIFF

Francesco Corchia e Andrea Cavalera fanno il punto della situazione sul genere horror
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Nella cornice di Gallipoli si è svolta lo scorso giugno la prima edizione dell’Apulia Horror International Film FestivalTra gli appuntamenti e gli eventi Off, tenutisi presso il Cinelab G. Bertolucci, la presentazione del libro Bambole perverse di Roberto Silvestri e Mariuccia Ciotta, la visione dei 15 cortometraggi in gara, la retrospettiva su Mario Bava e la proiezione del film Onirica di Luca Canale Brucculeri. L’AHIFF si è concluso tra la Galleria dei Due Mari e il Teatro Italia di Gallipoli con la visione dei film Rabbia furiosa – er canaro di Sergio Stivaletti, Me and the Devil di Dario Almerighi e Come una crisalide di Luigi Pastore, nonché l’assegnazione dei premi per il migliore cortometraggio, per la critica e per gli studenti del Dams di Lecce. Un inaspettato ma meritato successo.

Abbiamo incontrato i due direttori artistici del festival, Francesco Corchia e Andrea Cavalera, rivolgendogli qualche domanda riguardo il cinema horror, il festival da loro organizzato e il futuro del genere.

 

Qual è il film horror che ti ha introdotto a questo genere?

 Francesco Corchia: Ho iniziato guardando i classici horror americani, tipo Non aprite quella porta, ecc;  ad un certo punto mi sono imbattuto in Shining (non proprio definibile un horror), forse il film che ho guardato più volte in vita mia, a cui sono molto affezionato.

 Andrea Cavalera: Il film che mi ha introdotto a questo genere è La mosca di David Cronenberg (1986). Lo vidi a tre anni e da allora lo avrò rivisto centinaia di volte.

Perché prediligi questo genere?

FC: Forse perché, tra tutti, è quello più adatto a scandagliare la psiche umana, con particolare riferimento ai suoi lati oscuri e ancestrali.

 AC: Il genere horror, se ben utilizzato, è in grado di indagare in profondità nell’animo umano andando a toccare le paure più recondite, dalle più primordiali alle più moderne nate come conseguenze dell’avvento delle nuove tecnologie (ad esempio la fobia di restare senza internet o senza il cellulare).

Com’è maturata l’idea di istituire l’AHIFF?

FC: Una sera di agosto di un anno fa, ero con Andrea Cavalera e Andrea Carrozza, quest’ultimo ha lanciato la proposta, io ed Andrea non abbiamo saputo resistere e ci siamo messi al lavoro dalla fine dell’estate, insieme agli altri pilastri del Festival: Gabriele Sebaste e Roberto De Mitry.

 AC: Era l’estate del 2018. In una tranquilla serata tra amici (eravamo io, Francesco Corchia e Andrea Carrozza) si parlava del più e del meno e di possibili progetti futuri. Carrozza si chiedeva perché non potessimo, ad esempio, istituire un festival del cinema horror. Io e Francesco abbiamo colto al volo il suggerimento e ci siamo rimboccati le maniche. Ancora non ci crediamo ma pare siamo riusciti nell’impresa!

Sei soddisfatto di questa prima edizione?

FC: Molto. Dagli incontri al CineLab del cineporto di Lecce, al vivo della manifestazione a Gallipoli, sono stati dei giorni fantastici, durante i quali abbiamo respirato un’atmosfera unica, insieme agli ospiti del festival, allo staff e a tutto il pubblico che ha partecipato in maniera crescente, fino al pienone dell’ultimo giorno.

 AC: Siamo molto soddisfatti di questa prima edizione che ha visto una crescente partecipazione di pubblico e tutti gli ospiti (nomi prestigiosi della critica italiana e del Cinema) ci hanno fatto i complimenti per l’alta qualità dei cortometraggi selezionati e per la gestione organizzativa. Una prima edizione andata oltre le nostre aspettative.

 C’ è qualche episodio, corto, film che ti ha particolarmente colpito nel corso di questa edizione?

 FC: Più che un episodio o un film/corto, siamo rimasti particolarmente colpiti dalla qualità dei lavori che ci sono arrivati, è stato piuttosto difficile scegliere la rosa dei corti in concorso. Personalmente, mi ha colpito la coerenza spontanea dei lungometraggi fuori concorso: tutti i lavori avevano uno stile comparabile che ha reso omogenea la selezione dei lavori proiettati.

 AC: Mi ha colpito molto il cortometraggio How to be alone di Kate Trefry (sceneggiatrice di Stranger things): visivamente potente, ben girato e recitato, un ottimo lavoro.

 Che canali sono stati usati per la diffusione dell’evento e qual è stata la risposta del pubblico?

 FC: Abbiamo usato sia i canali tradizionali, e per questo ringrazio l’addetta stampa Sarah Van Put per l’ottima copertura avuta dal festival sulla stampa locale e nazionale; naturalmente non si può più prescindere dalla diffusione sui social network. Come ho detto sopra, la risposta del pubblico è stata ottima, considerando che si trattava di una prima edizione.

 AC: Sono stati utilizzati canali tradizionali: articoli sulle principali testate giornalistiche locali e nazionali, facebook e instagram. Credo che tra il pubblico abbia funzionato il passa parola durante le giornate del festival oltre che i numerosi articoli che sono stati pubblicati. A tal proposito un plauso va a Sarah Van Put che è stata davvero in gamba.

 Ci sono stati ostacoli o censure durante la preparazione dell’evento? 

FC: Non abbiamo subito alcuna censura. Gli ostacoli, le difficoltà e soprattutto gli imprevisti, rappresentano la prassi nell’organizzare un evento, di qualsiasi natura esso sia, soprattutto quando si tratta di costruirlo da zero.

AC: Niente censure ma gli ostacoli sono fisiologici nella preparazione di un evento del genere. Bisogna partire dal presupposto che ci saranno ogni giorno problemi da risolvere. Il nostro lavoro consiste nel saper risolvere problemi.

Ci sarà qualcosa di nuovo per l’anno prossimo?

 FC: Innanzitutto, cercheremo di correggere le criticità riscontrate nella prima edizione, ma già abbiamo in mente i nomi di alcuni ospiti che vorremmo invitare e alcune idee riguardo gli eventi e le iniziative collaterali.

 AC: Ad AHIFF 2020 ci saranno nuovi ospiti, alcuni molto amati dai giovani. Ancora però è presto per parlarne. Credo che tra qualche mese pubblicheremo ufficialmente qualcosa sulla nostra pagina facebook.

 Cosa pensi degli altri festival di genere Horror in  Italia?

 FC: Nonostante siano pochi i festival horror in Italia, alcuni sono degli eventi ormai storici (vedi il Fantafestival di Roma), penso sia sempre positivo quando delle iniziative culturali hanno successo e durano nel tempo. Anche perché, l’horror, al contrario di ciò che si può pensare, è una cosa seria.

 AC: Penso che siamo pochi e dobbiamo fare rete tra di noi per crescere tutti insieme. Ad esempio Luigi Pastore il prossimo anno farà ripartire il suo Italian Horror Fest ed è già previsto un gemellaggio con il nostro Apulia Horror. Ne vedrete delle belle!

 Attualmente si può parlare di una rinascita del genere Horror?

 FC: Sicuramente è un genere che ha il suo zoccolo duro di appassionati, soprattutto tra i più giovani, nonostante la produzione (soprattutto in Italia) non sia così fiorente e valida come negli anni d’oro. Non sono la persona più adatta a parlare di una rinascita o meno, naturalmente, mi auguro che la nostra iniziativa serva a mantenere vivo l’interesse per l’horror e magari ad accrescerlo.

 AC: Roberto Silvestri in apertura del festival ha ricordato che più horror si produce in un paese, più sanità mentale c’è in quel paese. A occhio e croce direi che in Italia non siamo messi molto bene ma da qualche anno c’è stato uno scossone dal cinema indipendente e allora noi cercheremo di mettere in risalto tutti questi giovani autori che non trovano spazio nelle sale cinematografiche ma trovano la loro valvola di sfogo nei festival. Dalla fine degli anni novanta il cinema horror è cambiato molto perché è cambiata la società. Personalmente trovo lo spartiacque in Scream di Wes Craven (1996). Poi hanno preso il sopravvento i telefoni cellulari, internet, i social network. Il pubblico si è smaliziato, è quotidianamente sommerso da orrori in rete e in tv. Dunque il Cinema deve saper cogliere i cambiamenti e deve saperli raccontare.

 Ritieni ci siano del maestri all’altezza dei grandi nomi o ci sono solo epigoni?

 FC: Di tanto in tanto si vedono degli horror interessanti e all’altezza dei capolavori del passato. Credo che lo status di Maestro e di capolavoro, può essere raggiunto solo col tempo, quando un’opera si sedimenta nell’immaginario collettivo. Al momento vedo solo epigoni che magari tra qualche decennio verranno considerati maestri.

 AC: Mancano i grandi maestri ma sta accadendo qualcosa di importante. Staremo a vedere!