Intervista ad Alessio Della Valle

Nocturno incontra il regista del neo-noir American Night
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Benvenuto su Nocturno Cinema, Alessio. Per iniziare, puoi parlarci della tua formazione artistica?

Buongiorno a tutti. Ho iniziato studiando alla scuola di teatro Beckett Center di Dublino e al DAMS di Bologna, dove ho studiato cinema e ho scritto una laurea col professor Antonio Costa su come si fa un film. Mi ha sempre mosso una forte voglia di imparare, quindi ho svolto anche uno stage sul set del film Piovono mucche, dove mi sono fatto un’idea osservando il lavoro dei tecnici. Tornato in Italia, ho lavorato per l’UNESCO di Firenze, che mi ha commissionato la regia di spettacoli dal vivo e documentari d’arte negli Uffizi. Ho diretto numerosi cortometraggi indipendenti e videoclip pubblicitari, anche per la Disney, e ho diretto un documentario a Roma su Villa Borghese e Napoleone. Ci tengo a sottolineare che tutte queste cose sono entrate in American Night, per esempio il discorso di Emile Hirsch sul Louvre è un fatto storico, e la mia sceneggiatura riflette sul fatto che l’arte è una caratteristica propria dell’essere umano.

In American Night ho visto una parte dello stile narrativo di Tarantino: puoi dirci quali sono stati i tuoi modelli?

In realtà, più che Tarantino, mi ha ispirato il film Prima della pioggia, Leone d’Oro a Venezia nel 1994, per la scomposizione di fabula e intreccio: il che mi ha portato ad elaborare un film circolare con tre capitoli e vari punti di vista, e una storia non lineare nel tempo. Poi Arancia meccanica, per la stilizzazione dei colori rosso, blu e giallo – la fotografia è diretta da Andrzej Sekula, quello de Le iene, Pulp Fiction e American Psycho – e Blade Runner per gli esterni notturni e piovosi, ma mi hanno influenzato anche riferimenti extra-cinematografici come le poesie di Rimbaud. Sicuramente, come facevi notare tu, mi ha però ispirato anche lo stile pulp, che amo particolarmente.

La fotografia con le luci al neon mi ha ricordato il primo Michael Mann e Nicolas Winding Refn.

Sono un fan di questi due registi, quindi sicuramente il loro stile visivo mi ha influenzato.

Come è stato possibile, da indipendente, entrare a far parte di una produzione così grossa e in stile americano?

L’origine remota possiamo farla risalire a quando avevo vent’anni: vinsi la borsa di studio Fulbright negli Stati Uniti con Nori Corbucci, a cui vanno i miei ringraziamenti, e mi recai negli States per lavorare nel cinema americano, il che fu determinante per imparare il loro modo di fare cinema; ho anche lavorato per la Tv pubblica della California. Per tornare più strettamente al film, American Night è frutto di una produzione interamente italiana e composta da sole donne – una cosa che considero rara e preziosa: Martha Capello, Ilaria Dello Iacono e Tiziana Rocca, insieme a Rai Cinema. Tutti hanno creduto fermamente nel film, e sono riusciti a farci lavorare attori e tecnici provenienti da tutto il mondo: una volta scritta la sceneggiatura, l’ho fatta leggere a Martha, che ha sostenuto fin da subito il progetto e ha collaborato attivamente, spedendo lo script al cast e ai tecnici. Per esempio, la post-produzione è stata realizzata da Zach Staenberg, il montatore di Matrix e di altri film di successo, e le musiche sono state composte da Marco Beltrami, autore di colonne sonore per vari kolossal come The Hurt Locker, oltre alla presenza di varie maestranze illustri. American Night è stato poi proiettato come première alla scorsa Mostra di Venezia, e l’Academy ha chiesto una copia della sceneggiatura, consultabile sul sito.

Come ti sei trovato a lavorare per la prima volta con un cast così importante?

Gli attori sono stati scelti tutti da me, sono interpreti che amo molto. In realtà, lavorare con loro è stato più facile di quanto possa sembrare, poiché tutti sono stati molto umani e professionali: hanno amato i loro personaggi e la sceneggiatura, per cui hanno cercato di dare il massimo. Ricordo che Michael Madsen, per esempio, ha molto apprezzato il lavoro sul set, poiché sosteneva che l’approccio – nell’ascoltare l’attore – gli ha ricordato Tarantino. Anche coi tecnici c’è stato un ottimo feeling.

Vedendo il film, mi viene da dire che esso vive di due anime, ben amalgamate fra loro: lo stile del noir e l’amore per l’arte. È corretto?

Sì. Per la sceneggiatura sono partito dai personaggi classici del noir, dove nessuno è interamente buono o cattivo, ma ambivalente: Kaplan (Jonathan Rhys Meyers) è l’antieroe, Rubino (Emile Hirsch) il cattivo, ma poi i ruoli si ribaltano; c’è la donna buona (Paz Vega), le dark lady (fra cui Annabelle Belmondo, nipote del celebre Jean-Paul), l’innocente che sacrifica la propria vita per il protagonista (Jeremy Piven, nel ruolo dello stuntman), più un personaggio anomalo, quello del corriere (Fortunato Cerlino), che di solito non c’è nel noir. Una volta creati i personaggi, ho voluto costruire un puzzle-movie dove lo spettatore è chiamato a ricostruire il mosaico. Insieme a questo, come dici giustamente tu, ho voluto ricreare un viaggio in una sorta di mondo parallelo pop e artistico: il film riflette infatti su che cosa è pop e su che cosa è un’icona popolare. Non a caso, tutta la storia parte da un quadro di Andy Warhol, che ha preso l’icona di Marylin Monroe e ne ha fatto un dipinto, creando dunque una nuova icona; la stessa cosa avviene con la Coca-Cola di Mario Schifano, oppure con Bruce Lee e Kurt Cobain. Se ci fate caso, i personaggi sono vestiti sempre uguali, poiché volevo creare a mia volta delle icone. Marco Beltrami, nel comporre, ha preso l’Ave Maria di Schubert e l’ha rifatta trasformandola, un po’ come ha fatto Warhol col suo dipinto. La stessa cosa vale per il cameo di Anastacia, icona della cultura pop, che scrive e canta la canzone che sentiamo. American Night trasuda amore per l’arte, tanto che tutte le opere filmate – quadri, sculture e installazioni – sono autentiche.

Nel film, tutto sembra estremamente vero. Dove è stato girato American Night?

Gli esterni sono stati girati in Bulgaria, dove vengono girati molti film d’azione (per esempio Rambo – Last Blood), e dove ci sono set pre-esistenti che ricostruiscono pezzi di varie città come New York e Londra. Una sorta di Cinecittà bulgara, in sostanza. Insieme a tali esterni sono state montate inquadrature dall’alto di metropoli notturne effettuate da altri tecnici, in modo da rendere il tutto più credibile, ma noi non siamo mai andati negli Stati Uniti. Gli interni sono stati girati invece negli studi italiani.

Il tuo film può vantare anche effetti speciali non comuni per un film italiano. Ce ne parli un po’?

Le esplosioni e gli spari sono tutti veri, senza l’ausilio del digitale, e sono stati realizzati grazie a tecnici di ottimo livello che sanno come ottenere determinati effetti, sulla base delle mie indicazioni. Riguardo alle scene d’azione, invece di usare i soliti story-board, le ho girate e filmate una prima volta sul set, per avere quindi un modello e poi girarle di nuovo nella versione definitiva: insomma, ho creato una sorta di “video-board”.

Per concludere, ci parli un momento della distribuzione del film?

American Night è uscito il 19 maggio in tutta Italia grazie alla 01 Distribution, che ringrazio insieme alle case produttrici. Nel frattempo, dopo la première veneziana, il film è stato distribuito negli USA, in Canada, in Europa e in tutto il mondo, e sarà il film di apertura del Festival ESTIMAR di Palma de Mallorca, a giugno. Il doppiaggio italiano è stato diretto da Roberto Chevalier, la voce storica di Tom Hanks e Tom Cruise, e che qui doppia anche Jonathan Rhys Meyers.