Intervista a Paolo Di Orazio

Un'icona della cultura horror nostrana
Featured Image

Paolo di Orazio è una strana icona pop italiana. Riservato e mai troppo sotto i riflettori, la sua carriera si conta ormai in decenni e la sua opera è legata a diversi fenomeni culturali italiani, tra cui la storica rivista Splatter, sua consacrazione come figura cardine della letteratura horror italiana, e il gruppo Latte e i suoi derivati, di cui è batterista.

Possiamo dire che esistono due periodi principali della tua carriera letteraria. Il primo va dagli esordi alla chiusura di Splatter. Ne vorresti parlare?

Il primo periodo ha praticamente la durata di un liceo, un bel quinquennio che parte dal marzo 1986, momento in cui entro nella trincea di una società romana di servizi editoriali – che potrei definire piuttosto agile. Io vengo messo a una scrivania di legno enorme, postazioni analogiche dove sedevamo in cinque, ognuno con una Olivetti e un pacco di extra strong a testa da riempire di storie. Attaches, bianchetto, nastro adesivo per le correzioni (non troppe, altrimenti le tipografie che dovevano comporre i testi ci mandavano anatemi). Ero già noto ai direttori di questo studio per la mia verve dissacrante sfoderata durante un corso di fumetto frequentato a Roma nel 1984, diretto da Francesco Coniglio. La sezione in cui vengo collocato comprende un numero crescente di mensili hardcore da edicola, commissionati a raffica dall’editore. Tascabili fotografici, di quelli che si vendevano in edicola dietro un siparietto o una tendina speciale privacy. Mi faccio le ossa redazionali sul porno, scrivendo racconti, finti dossier, finta corrispondenza, biografie, interviste fake, mini-racconti commentati da servizi fotografici Uomo-Donna, Donna-Donna, Gruppi. Scelgo i servizi per assemblare il numero, e appena divento più bravo scrivo anche gli strilli di copertina («Moana viene da te!», «Donne infoiate ferocemente in tiro», «Femmine perverse in spasmodico calore», più o meno). In breve, arrivo a redigere 11 mensili, macinando a velocità letale testi, bozze, riviste americane dove rubare foto e notizie, pellicole hardcore da tagliare per ri-costruire fotoromanzi porno-demenziali. Dopo un sequestro giudiziario e relativa denuncia, vengo chiamato nella Acme di Francesco Coniglio e Silver, così passa la paura. L’occasione è ghiotta perché Coniglio aveva in progetto una rivista horror «Come piace a te!» – mi disse. Esperienza indimenticabile, sia perché – avendo amato l’horror da sempre, ho finalmente raggiunto un pubblico con le mie idee attraverso i racconti e una rivista, sia per il clima che si è creato con tutti gli autori coinvolti (firme oggi di riferimento assoluto). Non penso di aver mai vissuto un momento professionale di gruppo più felice e fortunato, ma non chiudo la porta alle possibilità future anche se non ho più vent’anni (grazie al cielo: non serve tutta quella ingenuità quando hai una bomba in mano). Splatter è vissuta dal numero 1 al 23 vendendo 30.000 copie al mese in edicola (Primi delitti ne totalizza 12.000), affiancata successivamente da Mostri, poi Nosferatu e Splatter Poster dedicate al cinema. Mentre sul versante storie era impegnato il già famoso Roberto dal Pra’, affiancato da Coniglio per il reclutamento autori, il mio primo contributo importante fu quello di dare alla rivista un linguaggio e una filosofia – uno spirito, insomma – sulla base di quanto avevo assaporato leggendo le pubblicazioni (tutte) dell’Editoriale Corno. Proprio sull’esempio della compianta Maria Grazia Perini, così come ho avuto in seguito occasione di dirle, io divenni PDO, poiché lei siglava con MGP ogni parte editoriale del suo «Corriere della Paura, offrendo al pubblico un abbraccio orrorifico di intesa episto-editoriale. Provenendo comunque già da discrete esperienze musicali, io cercai di aprire il dialogo coi lettori invitandoli ad esternare le loro conoscenze e competenze personali, dai dischi ai fumetti al cinema, alla letteratura, offrendo spazio a tutti dove confrontarci. Allora non c’era internet, ma cibandomi di riviste musicali e avendo frequentato alcuni ambienti underground, fu naturale per me e necessario allargare la proposta culturale della rivista ai territori della musica oscura, cosa che piacque molto a quella fascia di lettori e creò un legame fantastico. Si parlava di realtà alternative del fumetto, del cinema e del rock, recensendo musicassette di band emergenti o pubblicando disegni e racconti flash. Quindi, la rivista non era più uno spettacolo imposto, per così dire, e incomunicativo, ma di espressione reciproca. Ancora oggi, 2016, moltissimi artisti di ogni branca – dalla musica al fumetto al cinema rivelano di essersi ispirati a me, sin da Splatter e Primi delitti. Come io a loro, d’altronde. Non lo dico per civetteria, ma solo perché una rivista dovrebbe funzionare così. Di amplificazione biunivoca. Sì, la chiusura di Splatter (1991) mi ha devastato. Finché non ho scoperto, con la mia apparizione su Myspace (2004), che i lettori si stavano chiedendo da anni dove fossi finito. Da lì, un nuovo, lento inizio.

Parliamo ora della seconda parte della tua carriera, dalla ripresa della scrittura horror fino a oggi.

Tra il 1991 e il 2013 non ho mai smesso di pubblicare, ma l’ho fatto a singhiozzo e senza una vera e propria strategia. L’esplosione dell’attività musicale coi Latte & I Suoi Derivati è stata totalizzante e travolgente, tanto da non aver avuto forza e ingegno di propormi per Zagor o Dylan Dog come molti altri autori Acme giustamente fecero (Michelangelo La Neve, Moreno Burattini, Peppe Ferrandino) e delineare – parallelamente alla musica – un percorso mirato alla narrativa. Ero il referente della band, e coordinare un’attività musicale è impegnativo come avere 100 collaboratori per una rivista. Pubblico due romanzi con Granata Press, una miniserie per Radio Rai. Nel ’97 Primi delitti viene rimasterizzato e arricchito di due inediti per Castelvecchi, ma poi la musica mi inghiotte fino a fine Millennio. L’attività musicale ha uno stop improvviso, dopo 1700 concerti e una vita spericolata tipo Aerosmith – tutta adrenalina, sesso e birra, dirette televisive e radiofoniche. Cado in depressione pesante, nella più completa solitudine per sei mesi, e succede un fenomeno bizzarro per cui non ricordo cosa ho fatto nella mia vita precedente. Mi aiutano dei vecchi amici e nuovi, tutti scrittori. Tra questi, Alessandro Zannoni e Gianfranco Nerozzi. Nel 2003, ripubblico grazie a Zannoni il mio primo romanzo, Prigioniero del buio (Res edizioni; uscito per la Granata Press di Luigi Bernardi nel 1992), e inizio lentamente a riemergere con la narrativa. Con Gianfranco, invece, pubblico un racconto sul volume Urania all-stars (Sclavi, Barbato, Bernardi, Tonani, Lucarelli) da lui curato, In fondo al nero. Cerco di rimettermi in carreggiata partecipando ad antologie di autori vari, ma sono ancora nel torpore e senza il becco di un quattrino. Inauguro il mio Myspace e finalmente, poco a poco, incontro di nuovo i lettori di Splatter che mi stavano cercando. Riparto dai fumetti. Scrivo storie per Semerano, Saverio Tenuta, Roberto Ricci e Andrea Domestici tra Beccogiallo, Nicola Pesce, Heavy Metal e la francese Clair De Lune. Cerco spazi per la narrativa, ma è durissima, per l’horror e il noir – non è il momento. Soprattutto per me, sparito dalla stratosfera editoriale per un tempo enorme. Torno nel 2011 con Vloody Mary (Coniglio editore, romanzo) anticipando l’invasione zombi, ma soprattutto, mi riconnetto al mondo con Debbi la strana (Cut Up Publishing, 2014, romanzo) ritrovando il piacere di esplorare l’estremo e lo psichedelico e gettando le basi per rimettere in circolo Splatter. Cut Up Publishing mi offre addirittura l’opportunità di mostrare il mio mister Hyde grafico, pubblicando il mammut Black & Why? (30 anni di fumetti e illustrazioni) fortemente voluto dall’autore nonché curatore Stefano Fantelli. Nel frattempo, sotto la guida di Alessandro Manzetti, mi arruolo nella Horror Writers Association mondiale, per iniziare a farmi vedere nel mondo angloamericano pubblicando racconti in inglese (Dark Gates, Kipple, con A.Manzetti) e Primi delitti – My Early Crimes (Raven’s Head Press). A fianco di questi due amici autori, nonché con la Kipple Officina Libraria, il 2015 e il 2016 diventano dodici mesi in cui il numero delle pubblicazioni aumenta a dismisura, tra ebook e cartaceo, nonché antologie miste con autori stranieri big (Straub, Z Brite, Campbell, Laymon). Praticamente la mia bibliografia recupera 15 anni di vagabondaggio autoriale e arrivo quindi oggi al romanzo elettronico Il sogno dormiente (Kipple), Nero metafisico (Nicola Pesce Editore, racconti 1990-2015), The Monster, The Bad And The Ugly (Kipple, con A.Manzetti, racconti) presentato allo StokerCon di Las Vegas e ora in lizza per lo storico contest mondiale; Il morso dello sciacallo (Vincent Books, romanzo) a dicembre nelle librerie di varia (booktrailer goo.gl/8Jp94b). Questa veloce ripresa è una corsa contro il tempo, e mi ha dato la forza di affrontare le cose in modo diverso, rigenerandomi. Le storie sono diventate più caustiche e grottesche, mi diverto moltissimo e sono più saldo sulle mie convinzioni. Ho trovato forse quello che mancava alle mie narrazioni: quel sano humour nero che ho sempre ammirato nelle strisce di Alfredo Castelli, nelle vignette di Coco, nel Necron di Magnus. Chissà… seconda parte, seconda vena. Devo aver imparato a non prendermi troppo sul serio. Il morso dello Sciacallo è l’esempio più riuscito di splatterpunk mescolato a detection e humour grasso e nero.

Lhorror vive di molteplici declinazioni. Cinema, letteratura, fumetto e serie tv, foriere di successi spettacolari. C’è chi lo dà per morto, c’è chi al contrario afferma che goda di ottima salute. Quali sono, a tuo avviso lo stato attuale del genere e il suo futuro, nel mondo?

Nel mondo so che ha già preso il via una importante new wave: horror estremo hardcore. Un torture porn mischiato a sesso e black humour, un mix muriatico tra Troma film e Hellraiser. Si stanno affermando due autori di riferimento: l’australiano Shane Mc Kenzie e il terribile Edward Lee. Lee, grazie alla Independent Legions, apparirà sulla Splatter Flash Fiction, opera di letteratura e fumetto dedicata alla sezione italiana della Horror Writers Association, con autori nostrani emergenti, di prossima uscita. Basta tenere d’occhio i portali independentlegions.com, di Alessandro Manzetti, e cut-up.it con tutte le pubblicazioni curate da Stefano Fantelli, per avere un panorama italiano di pubblicazioni e autori mai visti su suolo italico pronti a invadere da questo momento i bramosi scaffali di tutti gli appassionati d’Italia. Nel mondo, ci si sposta quindi verso un’evoluzione del body horror cronenberghiano. Da quel che ho visto allo StokerCon, la competizione è molto forte e il mercato non mostra segni di cedimento, anzi.

E in Italia?

In Italia, non so cosa potrà succedere. Allo stato attuale, credo che l’horror stia vivendo un momento di mutazione. Non vorrei dire cosa sento, personalmente, un po’ per scaramanzia, un po’ per evitare di fare la figura dell’influencer (parola-concetto che mi fa scuoiare dalle risate o pensare a un misuratore dell’aviaria). Vedo un movimento di autori molto bravi che si sbattono per ricavarsi uno spazio, dal fumetto alla narrativa. Nel campo del cinema, ho conosciuto una marea di filmakers bravissimi e artisti per make up ed effetti speciali (arruolati in produzioni internazionali). Non li nomino perché sono tantissimi, e rischierei di dimenticarne qualcuno. Insomma, in Italia abbiamo – come al solito – tanto talento e un terreno vastissimo di potenziale pubblico. Quasi in ogni angolo del mondo, poi, come in Italia, sociopoliticamente si stanno delineando importanti tensioni nazionali e internazionali. Dopo un lungo periodo di limbo apparente, che potremmo riassumere dai governi Clinton-Obama inclusi, adesso credo stia cominciando un’epoca. Abbiamo un tizio di nome Trump da una parte (che sta a un certo nostro connazionale come Elvis a Nikka Costa), e l’Europa in una fase-magma mentre l’Italia pensa di essere ancora una Nazione dove serpeggia l’odio tra chi la pensa diversamente. Credo abbiamo tutte le emanazioni tricolori utili a che un movimento culturale nostro prenda corpo. La musica tace, semmai rantola, la scultura non ce ne sbatte una mazza, il cinema (d’autore) rotola su se stesso, il fumetto va per la sua strada autoclonandosi, chissà… la scrittura?

In unera di profonda democratizzazione, reale o apparente, della produzione culturale dovuta a internet, ha ancora senso parlare di underground?

Internet, per chi è dotato di buonsenso, è un’estensione della nostra libertà di scelta ma solo nel senso che è più veloce e pragmatica. Pertanto, nel parlare di cultura di regime mainstream e underground (nel senso pre-internet del termine) si rischia di inseguire oggi forme utopiche e irreali (comunque il grosso errore del passato, visto che 40 anni fa ognuno comprava quel che voleva. Battisti o Sex Pistols). È come il pericoloso discorso «bisogna capire cosa la gente vuole»: non è vero nulla: a patto che un editore pensi davvero che il pubblico sia l’editor. Tutto va ricondotto e ridimensionato all’individualità. Perciò, se Rizzoli pubblica Gianni Morandi, non significa che questo sia mainstream assoluto – è marketing attorno a quel fortunato personaggio. Sì, è vero la bio di Morandi o Vespa vende più di tutti i miei libri messi assieme, per mille motivi. Ma se io (o un altro che scriva di sangue e diavoli) andassi in tivù una volta a settimana a fare l’opinionista o una rubrica horror, sarei mainstream. Cambia solo la collocazione e la localizzazione dei canali di scambio informativo. Io (lettore, acquirente) so e posso scegliere, e quel che scelgo è il mio mainstream, anche se il prodotto è underground (come amo chiamarlo ancora, tuttavia) perché parla di scopate, budella, esorcismi, cannibali, zombie, freaks. Vedi Walking Dead. Un riuscitissimo underground sparato sulle masse (certo, epurato da estremismi). Negli anni Settanta, senza una payTv, sarebbe stato il filmaccio di un regista che Battiato avrebbe classificato tra “gli idioti dell’orrore”. Oggi TWD è main, nel senso che lo conoscono anche mia madre e le sue amiche. Però parla di zombi, e la prima stagione si apre con un uomo che spara in fronte a una bambina morta – cose pensabili, un tempo, solo nelle nicchie olenti d’ascella per freak nerdosi. Perciò, attualmente, tutto può muoversi per la propria strada ad alta velocità. E quindi no, non ha più senso parlare di underground (a meno che non si pensi ad autori legati al tempo in cui il sostantivo delineava un preciso mondo). Andrea Pazienza, oggi, finalmente è arte. All’epoca del gruppo Cannibale, era il male.