Intervista a Julia Von Lucadou

Incontro con la scrittrice del romanzo distopico
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Nocturno incontra Julia Von Lucadou, autrice di La tuffatrice, pubblicato da Carbonio Editore.

In La tuffatrice, metti in scena una moltitudine di sottili strategie di controllo, biopolitica e governance indiretta attraverso uno stato di precarietà permanente. Vorresti approfondire?

Credo che sentimenti come l’insicurezza o la paura siano un grande fattore motivazionale a livello politico. Ci rendono vulnerabili alla manipolazione, specialmente se le minacce non sono completamente tangibili (come un virus o il collasso economico). Quando siamo spaventati è difficile fare un passo indietro e analizzare la situazione per ottenere un quadro d’insieme. Al contrario ci aggrappiamo a tutto pur di avere la sensazione che tutto sia sotto controllo (per esempio, in questo periodo qualcuno svuota i supermercati), e se qualcuno ci promette stabilità gli diamo fiducia. Questo può essere sfruttato da chi vuole incrementare la propria influenza, sia per vendere prodotti o servizi, anche a prezzi gonfiati, sia per alimentare discriminazione, razzismo e sentimenti simili, e influenzarci politicamente. Nel mio romanzo la promessa di una stabilità politica e sanitaria è usata per tracciare i movimenti delle persone, invaderne gli spazi privati e avere accesso ai loro dati personali fino a renderli i poliziotti di sé stessi convincendoli che è per il loro bene.

Durante la guerra fredda, i paesi del patto NATO hanno usato la libertà come il loro principale strumento di propaganda, mentre in questo momento il capitalismo ha mostrato una relazione completamente diversa con la libertà e il conflitto sociale. La democrazia ama il capitalismo ma il capitalismo non ama la democrazia? Cosa ne pensi?

Credo che il capitalismo si proponga di essere molto democratico! La sua promessa, a prima vista, è una promessa di uguaglianza: tutti possiamo avere successo se lavoriamo duro. Tuttavia c’è una falla in questa logica perché non tutti siamo nati con le stesse opportunità e non tutti godiamo degli stessi privilegi fin dall’inizio. Eppure, se qualcuno non ha successo crediamo sia per colpa sua, perché non ha fatto abbastanza. Il successo più grande in un regime capitalista sembra arridere ai più egoisti, competitivi e portati per il rischio e non per chi si prende cura della sopravvivenza di tutti. Le grandi multinazionali sembrano godere di maggiori diritti rispetto agli individui, e sembrano avere una maggiore influenza politica. Ma questa si può definire democrazia?

L’anarchismo è costruito sull’autodisciplina, e in qualche modo lo è il tardo capitalismo. C’è differenza fra i due? O forse sono due modi di interpretare l’etica kantiana?

Non ho mai pensato alla relazione fra Kant e il capitalismo o l’anarchismo, ma ci penserò…  Quello che posso dire è che personalmente non credo che l’anarchismo sia la soluzione alle disuguaglianze del sistema capitalista. L’anarchismo mi sembra ugualmente egoista e iniquo. Inoltre, lasciare le persone senza legge indurrebbe soltanto altra paura e insicurezza, e abbiamo già detto dove portano…

Cedere i nostri dati personali è una pratica tanto comune, e la maggior parte di noi è tracciata in maniera molto precisa. Quali sono le possibili strategie per un’azione politica se vogliamo fermare questo tendere verso una forma soft di autoritarismo?

Considero il mio ruolo di scrittrice politico, ma non al pari di quello di un’attivista, mi vedo più come un’analista. I romanzi hanno la potenzialità di essere il primo passo verso il cambiamento: una possibilità di osservare una questione e capirne il senso, mettere in gioco lo status quo, empatizzare con persone differenti e capire le loro motivazioni. Vedo il mio romanzo come l’inizio di un dialogo che continua il lettore. Per quanto riguarda la raccolta e l’utilizzo dei dati personali credo che serva una maggior tutela legale per gli individui e una regolamentazione più stretta per le aziende, ma noi stessi dobbiamo riconoscere il valore della nostra privacy e dei nostri dati personali e proteggerli, e non usarli come forma di pagamento.

Quando scrivi una distopia, qual è l’equilibrio fra dare al lettore nuovi strumenti per immaginare un’alternativa e spingerli verso l’accettazione di uno status quo progressivamente peggiore?

Credo che in molti siano interessati alle distopie perché rispecchiano il loro disagio riguardo a determinati sviluppi della realtà. Potrebbero sentirsi rassicurati dal fatto che qualcun altro vede quello che vedono loro. Quindi, lo vedo come un processo di costruzione di una comprensione e in un certo senso di una comunità. Ma non sarò mai in grado di influenzare il modo in cui un lettore recepisce il mio libro e non voglio nemmeno. Questa è la bellezza dei romanzi, non sono manifesti, sono aperti all’interpretazione. Il lettore è parte integrante del processo.

Hai scritto una distopia, e la distopia è speculative fiction, anche se la tua scrittura è ostruita per lo più intorno ai personaggi, il che non è una combinazione tanto frequente. Qual è il motivo di questa scelta?

La psicologia mi interessa molto, cerco di capire perché le persone pensano e agiscono in un certo modo. Nel caso di La tuffatrice volevo capire meglio perché così tanta gente arriva all’esaurimento in nome della produttività, perché l’ho sperimentato su me stessa nel mio lavoro nel cinema e in televisione. Per questo ho creato il personaggio di Hitomi, che è molto convinta delle sue idee, e l’ho messa nella situazione di dover capire per quale motivo Riva, la tuffatrice che dà il titolo al romanzo, di colpo molla tutto nonostante abbia successo e possa permettersi quello che tutti desiderano.

Sei una delle ultime esponenti di una lunga tradizione di scrittrici di speculative fiction che va da Ursula K. Leguin a Margaret Atwood, passando per Octavia Butler e Nnedi Okorafor. Cosa pensi dell’importanza delle donne nella speculative fiction, e quale sarà il loro contributo nel costruirne il futuro?

Credo che abbiamo bisogno di più voci femminili in ogni forma d’arte! Purtroppo la letteratura è una di quelle aree in cui le donne non sono rappresentate equamente. Sono quindi molto felice che esistano esempi di scrittrici dello spessore di quelle da te citate a cui ispirarsi, e ti ringrazio per averle citate! Margaret Atwood in particolare è una delle mie eroine. Non mi considero una scrittrice strettamente di speculative fiction, il mio primo romanzo si è rivelato tale ma non mi piace limitarmi a un genere specifico. Il mio prossimo libro potrebbe essere diverso. Il futuro è ancora da definire…

Photo credit: Maria Urspeung