Il sesso femminile dell’Europa

Tinto Brass canta la sua ode a Venezia
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Venezia città del disincanto, forma sublimata del desiderio, “sex femelle d’Europe” come la chiamò Apollinaire, ma anche “stupendo flipper d’acqua e di pietra” come la definì Frank Lloyd Wright. Venezia è tutto questo e altro ancora, città puttana che fa commercio della propria bellezza e città d’acqua che rimanda rovesciata ogni prospettiva, città che esalta, deprime, eccita, confonde, ma anche città anfibia, orientale, irrazionale, in cui ci si perde ma si ritrovano immutati i fantasmi del proprio passato e del proprio inconscio, città alcova e striscia di fumetto, orgia dei sensi e delirio di segni, gioco dell’oca e gymkana del sogno, dove tante sono le cose incredibili che vi possono accadere, impossibili dappertutto meno che lì. Se infatti rimbalzare da una “calle” a un “rioterrà” da una “fondamenta” a un “sottoportego” a una “salizzada” può farti sentire come la biglia d’acciaio del flipper che appare, passa, ritorna, urta, va, viene, e qualche volta fa tilt, il fatto di succedere in una città costruita sull’acqua che sembra l’incredibile riflesso della propria realtà, dà alle tue sensazioni il sapore intrigante delle “riflessioni” metafisiche: avanti, stop, indietro, rapide deviazioni, arretramenti, successi, capitomboli, disdette, ritorni ecc., insomma, l’emblematico itinerario di tutta una vita. Il che è possibile solo a Venezia, perché solo a Venezia non sei mai sicuro se la realtà è solo finzione, o la finzione è la sola realtà.

L’unica certezza che io ho nei suoi riguardi, è la viscerale consapevolezza del cordone ombelicale che mi lega a lei: in proposito non ho dubbi, Venezia mi è madre, moglie, amante. Madre perché, ancorché scodellato anagraficamente a Milano, dopo due giorni ero già a Dorso Duro, dove sono vissuto finché non mi sono trasferito alla Giudecca, dalla quale sono partito solo quando ho cominciato a fare cinema: per cui posso ben dire d’essermi nutrito e formato alle Serenissime mammelle della sua cultura, lingua, luce, storia e tradizione. Moglie perché, benché sradicato e giramondo di temperamento, io mi sento legato a Venezia come da un vincolo matrimoniale, e le mie infedeltà nei suoi confronti sono superficiali scappatelle da farfallone amoroso, mai laceranti e insanabili tradimenti. Amante perché mi ha dato e mi dà tuttora i maggiori stimoli sensuali, mi mette oggi come ieri in un delizioso stato di “erectio perennis”: elegante, sorniona, ilare e disincantata, il fascino di Venezia riverbera di sé le donne che percorrono i suoi campi o attraversano i suoi ponti, facendole apparire tutte desiderabili e seducenti; e queste a loro volta, in un gioco di specchi e rifrazioni a carambola, illuminano di rimando ogni scorcio della città colla sensualità e la grazia di cui la città stessa le ha gratificate, esaltandosi a vicenda in uno scambio di reciproche valenze, simboliche equivalenze.

Da questo rapporto sensuale con Venezia deriva la cifra stilistica del mio cinema, che lungi dall’essere “osceno” o “pornografico” come da qualche solone mortificato da pregiudizi è stato detto o scritto, è semmai “sismografico”, nel senso che registra come un sensibile sismografo le vibrazioni carnali suscitate in me dalla testimonianza fisica delle cose e delle persone (se donne, di preferenza nude), fa della pellicola il fedele diagramma della golosa voluttà con cui traduco la mia sensualità in immagini cinematografiche. Magari mascherandola di volta in volta sotto le parvenze dell’ironia, della bizzarria, del voyeurismo, dell’esibizionismo, dello sberleffo o della provocazione, ma comunque sempre nel segno dell’eleganza sorniona della luce di Venezia, della grazia raffinata del suo ahimè degradato arredo urbano, del suono ilare e disincantato del suo dialetto. Perciò, per “ispirarmi”, io ritorno sempre a Venezia: mi è indispensabile il nutrimento che io traggo dal confronto con gli amici e dal contatto con le donne che vi abitano, oltre a quello – non solo fisico – che mi viene dai “piatti” della sua cucina che hanno segnato indelebilmente il mio “gusto” estetico prima ancora di quello “culinario”: dalla “pasta e fagioli” al “bisatto alle braci”, dal “risotto di gò” al “baccalà mantecato”, dalle “cape da deo” alle “sche”, dalle “grançeole” alle “canocce”, dalle “molecche” alle “mazanete”, dai “folpetti” alle “seppioline” ecc., tutti cibi altamente afrodisiaci perché ricchi di fosforo, quindi ottimi alimenti per il cervello, e di conseguenza potenti detonatori della fantasia, componente primaria dell’erotismo come del mio cinema.