Il grido del capricorno

Strani ordigni alla base di Profondo rosso
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Nessuno ci arriverebbe. Senza una spinta, una dritta, un aiutino, non ce la si potrebbe fare. Difatti a nessuno è mai venuto in mente. Solo quando te lo dicono e riconosci gli indizi, allora sì che scatta la scintilla: non era al di là del pensabile, del congetturabile. Non era come indovinare quale nome avesse assunto Achille quando si nascose tra le donne o che cosa cantassero le sirene. Tutto nasce da una conversazione telefonica con Fabio Piccioni, personaggio – sceneggiatore e di quando in quando anche regista – che lo scorso anno mi ero messo in testa di trovare perché mi era improvvisamente punta vaghezza di vedere un film che aveva scritto e diretto nel 1975 dal titolo La studentessa, con Cristiana Borghi. Piccioni l’ho trovato dopo un po’ di giri e gineprai. Siamo diventati amici. La studentessa non sono ancora riuscito a recuperarlo, ma è questione di poco. Comunque non divaghiamo. Piccioni ha scritto centinaia, forse migliaia tra soggetti e sceneggiature per il cinema: storie girate e firmate, storie girate e non firmate, storie non girate. Il bilancio abituale nell’esistenza dei poligrafi. Fabio, che ha avuto un sacco di mogli, che si è laureato in fisica, che ha vissuto molti anni a Hollywood e che è stato collegato elettivamente alla factory di Ovidio Assonitis, ha una bisaccia piena di racconti. Ha conosciuto tanta gente, ha fatto molte cose, ha una memoria di ferro, nonostante negli ultimi anni la sua salute abbia subito l’aggressione di un mezzo ictus. Introduzione necessaria per arrivare al punto. Il punto è che mentre la scorsa estate, un pomeriggio, si stava parlando, cadde nel discorso il riferimento a un soggetto che Fabio aveva scritto nel 1974, dal titolo Il grido del capricorno. Un giallo che nasceva come sceneggiatura volante per un fumetto horror allora pubblicato in Italia, nella serie Oltretomba. Mi dice, con la nonchalance e la naturalezza che lo contraddistingue, che questo soggettino fu alla base di Profondo rosso di Dario Argento; che lo vendette a Salvatore Argento, il padre del regista, e poi qualche anno più tardi lo riutilizzò – sempre lui, Fabio – per un film di Riccardo Freda, che fu l’ultimo film girato da Riccardo Freda, cioè Murder Obsession.

Apro una parentesi: Piccioni era aduso a questo tipo di pratica, mi racconta, a sfruttare un soggetto anche a più riprese avendo l’abilità di mascherare il riciclo. Nel caso della Studentessa avvenne la stessa cosa, perché la storia che si racconta nel film era già diventata la trama di un’altra pellicola diretta da Mario Sequi – un anno prima che uscisse La studentessa – intitolata La verginella. Comunque, per rientrare nell’alveo del tema, qui le notizie sono – sarebbero – almeno tre: che il soggetto di Profondo rosso ha un’origine eterogenea rispetto alla testa di Argento, che Murder obsession è la stessa storia del Profondo rosso originario un po’ modificata, e che nessuno di noi, che spendiamo la vita, la consumiamo e probabilmente la sprechiamo su questo genere di faccende, se ne era mai accorto che tra Argento e Freda esisteva un simile film rouge. E probabilmente non se ne sarebbe mai accorto se Piccioni non lo avesse detto a me che ora lo dico al mondo.

«Avevo bisogno di soldi. Davanti casa, a Roma, avevo l’ufficio di Salvatore Argento. Eravamo in ottimi rapporti. Sono andato a trovarlo e gli ho chiesto: “Salvatore, c’è niente da farmi fare? Non c’ho soldi…”, perché capitano, queste cose, nella vita. “Mi scrivi un soggetto?”; “Ho questo”, gli dissi, tirando fuori Il grido del capricorno. E gliel’ho venduto per cinqucentomila lire di allora». Gli domando, a Fabio, se fosse già proprio la storia in nuce di Profondo rosso e lui mi risponde di sì, aggiungendo che quella “cosa” alla base dello script, lui l’ha poi riciclata per un sacco di tempo, in astute variazioni sul tema. “Storie di ragazzotti figli di…” mi sunteggia Fabio la struttura basilare del racconto: e non intende figli di buona donna, ma figli di genitori che riverberano su di loro la propria patologia, nevrastenia, psicopatia. «È uno schema semplice, all’interno del quale poi, di volta in volta, puoi inserire di tutto. Nel soggetto di Il grido del capricorno, il protagonista è figlio di un grande direttore d’orchestra, di un von Karajan, tanto per capirci, che gli aveva passato tutte le sue nevrosi. Da lì, odio per la madre e così via…». Fabio mi dice che questa dimensione in qualche modo era scomparsa nel film di Argento o meglio venne modificata nel tipo di rapporto che lega Carlo (Gabriele Lavia) alla madre (Clara Calamai). Cioè, Argento ha lavorato su quell’embrione e lo ha sviluppato e portato a gestazione nel ventre caldo e bombato del suo Profondo rosso. «Quello che nel mio soggetto non c’era e che è stato sviluppato indipendentemente da Dario, era invece tutta la questione parapsicologica, la medianità. L’esoterico». E questo è più che vero, perché si trattava di una scheggia che arrivava direttamente dal mondo di Argento, da Quattro mosche di velluto grigio che in un primo momento doveva contenere l’elemento paranormale o paragnostico conclamato, mentre invece nel film restò solo – in maniera compromissoria – la visione anticipatrice della decapitazione. E ciò che rimase fuori dall’uscio in Quattro mosche entrò dalla porta principale in Profondo rosso.

«Il trucco – mi spiega Piccioni – era che non si vendeva niente, allora. Si cedeva solo il permesso di utilizzo di una storia. Anche se per fare questo si andava dal notaio e costava caro pure. Io poi mi riservavo il diritto di plagiare me stesso, per dirla con una battuta. E fu così che da quella stessa storia ho poi ricavato anche il film di Freda Murder Obsession», in cui però il nome di Piccioni alla sceneggiatura è accreditato. Murder obsession nessuno si sognerebbe mai, così, a freddo, di avvicinarlo a Profondo rosso.
Tant’è che anche tra la critica del fandom più duro e puro, dove l’essenza ultima di un film deve sempre essere riducibile a qualche modello, archetipo, conio, “deriva da…”, “è stato fatto tenendo presente…”, non mi è mai capitato di leggere di qualche salmone cinefilo che dal 1982 abbia risalito la corrente per arrivare al 1975. Si cita Psycho, come fonte. Qualcuno più spericolato prova a scrivere che somiglia a Spasmo di Lenzi. Profondo rosso non è mai venuto fuori anche se, in fondo, l’immagine di quel bambino che raccoglie il coltello con cui è stato ammazzato il padre e lo fissa, lo fissa, lo fissa, qualche connessione sinaptica doveva pure accendercela. Certo che adesso, ex post, alla luce della nozione che un Grido del capricorno sta dietro l’uno e dietro l’altro film, certe cose si combinano, si incastrano giuste, vanno a posto. Gabriele Lavia e Clara Calamai sono specchiati nei personaggi che in Freda interpretano Stefano Patrizi e sua madre Anita Strindberg, che alla fine si svela come personalità psicopatica e assassina. E più ci pensi sapendo che il substrato è comune, più vedi quel disegno nascosto che sta dietro la forma che hanno assunto le due pellicole. Probabilmente chi conosce bene sia il film di Argento sia Murder Obsession, studiandoseli ora sarà in grado di trovare delle congiunzioni anche più sottili, più specifiche, di identificare riscontri più puntuali. Naturalmente, questo non sposta di un centimetro il fatto che Profondo rosso sia un capolavoro, la paternità del quale appartiene solo ed esclusivamente a Dario Argento – nemmeno a Zapponi che cofirma la sceneggiatura –, perché la storia, la trama, il plot sono un puro pretesto, non più che lo schizzo tracciato su un tessuto che Dario ha meravigliosamente ricamato con la sua trama e il suo ordito color rosso sangue.