Il cinema delle ficheras

Gli equivalenti messicani delle nostre commedie scollacciate degli anni Settanta e Ottanta
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In Italia abbiamo avuto le dottoresse, le insegnanti, le compagne di banco. In Messico le Ficheras. Fichera è sinonimo di entraîneuse: è la ragazza che, in un locale notturno, riceve dei gettoni (fichas) per ogni bottiglia di champagne o altro alcolico che riesce a far bere agli uomini in sua compagnia. Il termine cine de ficheras designa un ampio filone del cinema messicano, schifato (per ragioni estetiche e politiche) dalla critica e dagli intellettuali, ma campione d’incassi tra la seconda metà degli anni ’70 sino a tutti gli anni ’80.

L’inizio può essere fatto risalire a Bellas de noche (Las ficheras) (1975), diretto da Miguel M. Delgado (in curriculum vari film di Cantinflas, il più celebre comico messicano) e ambientato in un night club (El Pirulí) dove si muove una fauna pittoresca: il cameriere gay, il cui compito è chiosare le situazioni col sarcasmo e i giochi di parole; “El vaselinas”, il magnaccia dai vestiti sgargianti a cui piace vantarsi delle sue prodezze; la variopinta clientela del locale e un gruppo di ficheras – tra le quali ve n’è anche una, “la Corcholata”, in là con gli anni e dall’aspetto malconcio, perennemente ubriaca: mentre alle altre è affidato il carattere piccante della pellicola, questa, interpretata da Carmen Salinas, ha un ruolo farsesco. Il film è una collezione di gag e barzellette blandamente collegate (un abbozzo di storia nasce dall’esaurimento delle forze per iperattività del magnaccia, desiderato da tutte le donne), che si alternano a una vicenda (più strutturata) di sapore patetico-melodrammatico (la love story tra un pugile che non può più combattere e una fichera che racconta la propria triste storia di povertà). L’aspetto più curioso (che lo rende insolito per il nostro gusto) è proprio questa alternanza tra le gag comiche e una storia dai toni patetici che sembra ricalcata sul modello di una tipica telenovela latinoamericana. Sembra dunque che il film voglia rivolgersi contemporaneamente a due pubblici, quello che desidera divertirsi alle barzellette dei comici e vedere qualche striptease, e quello che vuole una storia con lacrime e sentimenti (i primi porteranno pazienza di fronte a scene e dialoghi melensi, i secondi chiuderanno un occhio di fronte ai momenti più osé). La presenza dell’elemento patetico – rappresentativa del gusto messicano – può essere vista anche come eredità di un “genere” che, a partire dagli anni ’40, trattava la vita di cabareteras e prostitute coi caratteri del melodramma. Mi riferisco a film come Las abandonadas (1944), Salón México (1948) e Víctimas del pecado (1950) di Emilio Fernández, Aventurera (1949) e Sensualidad (1951) di Alberto Gout, Casa de mujeres (1966) di Julian Soler (un elenco esaustivo sarebbe lunghissimo). In queste pellicole la prostituta appariva nella duplice veste di donna perduta e di vittima del destino (e della crudeltà degli uomini), di seduttrice e di essere innocente. Si può dire che la “madre” e la “prostituta” (figure riconducibili, come osserva lo storico Óscar Robles, rispettivamente, alle icone nazionali della Virgen de Guadalupe e della Malinche) siano le due immagini della donna intorno a cui è costruito molto del cinema popolare messicano. Il filone comico che si sviluppa a partire dalla metà degli anni ’70 (ma con anticipazioni già negli anni precedenti, in alcune scene di film come Las golfas, 1969, di Fernando Cortes), nel quale la fichera e la prostituta sono trattate in modo “spensierato” e ammiccante, è dunque allo stesso tempo la prosecuzione e il ribaltamento di storie radicate nel cinema e nel costume messicani.

Nel 1974, un anno prima di Bellas de noche, era uscito Tivoli di Alberto Isaac, un film accomunabile al cine de ficheras, di cui in un certo senso è il compagno di strada “nobile”. Diretto da un regista apprezzato internazionalmente, e scritto e interpretato da un nome che avrà poi una discreta fama anche negli Stati uniti, ossia Alfonso Arau (Come l’acqua per il cioccolato, Il profumo del mosto selvatico), Tivoli racconta, con toni edulcorati e nostalgici, della compagnia di un teatro di burlesque che, negli anni ’50, i piani di riorganizzazione urbana condannano alla demolizione. I protagonisti sono gli artisti e non le entraîneuse, ma la contiguità col cine de ficheras è data dai frequenti numeri da night club (per lo più striptease) e dalla presenza di interpreti (la citata Carmen Salinas o Lyn May, esotica spogliarellista di origine cinese) che diventeranno poi i divi del filone. Dietro la nostalgia per il tempo che fu, Tivoli intende far intravedere un ritratto critico del potere che ha monoliticamente guidato il Messico per decenni. Pur essendo poco incisivo sotto questo profilo, è comunque un film di maggiori ambizioni e di qualità indubbiamente superiore rispetto al filone: molto più accurata è la ricostruzione ambientale e scenografica, meglio definiti sono i personaggi e maggiore è l’attenzione per la credibilità delle situazioni. Il grande successo di Bellas de noche fa sì che gli stessi personaggi, e un dosaggio simile tra i vari ingredienti (ci sono anche frequenti siparietti musicali affidati al gruppo La Sonora Santanera), sia riproposto due anni dopo in Las ficheras (Bellas de noche II parte), diretto ancora da Delgado. L’ambientazione è (un po’) più curata, segno di un budget più consistente. Anche qui, mentre la parte patetica è incentrata sui problemi di coppia tra il pugile e la fichera, al centro della parte comica del film ci sono i problemi del magnaccia, la cui virilità è di nuovo in pericolo: tormentato dall’impotenza, guarirà casualmente quando, durante un concerto di flamenco, scopre di eccitarsi al sentir battere le mani. In questi film – come evidenziano ponderosi studi accademici (S. de la Mora, Cinemachismo: masculinity and sexuality in Mexican film, 2006; C. Ramírez Berg, Cinema of solitude. A critical Study of Mexican Film, 1992) – è frequente che la virilità dei protagonisti sia minacciata o messa in dubbio. Ancor più che nei film precedenti, tale minaccia si avverte in Noches de cabaret (Las reinas del talόn) (1978) di Rafael Portillo, nel quale la principale attrazione del locale notturno è un gruppo di drag queen. Tra queste c’è – sotto mentite spoglie – anche una donna. E da questa è attratto Jorge Rivero (attore specializzato nel ruolo del “bello”), il quale – non sapendo che si tratta di una donna – è assalito dal timore di essere diventato gay. A essere minacciata è anche la mascolinità del figlio del capo della mafia, alla ricerca di una donna che gli dia un erede (anche lui si innamora di una drag queen, e nel suo caso si tratta realmente di un uomo). Muñecas de media noche (1979) di Rafael Portillo si svolge quasi del tutto in un cabaret (Las Muñecas), dove numeri musicali e balletti si alternano a sketch e gag e a qualche accenno di mélo e di storia romantica. La trama, un po’ più strutturata che nei precedenti, presenta assonanze con A qualcuno piace caldo (da cui riprende l’idea del travestimento per sfuggire alla mafia) e con Ho affittato un killer (di cui anticipa lo spunto del cambiamento di idea rispetto alla decisione di essere uccisi da killer professionisti, già presente, in realtà, in Espérame en Siberia, vida mía, 1971, di René Cardona jr.). Il protagonista, dopo aver scoperto di avere il cancro alla spina dorsale, chiede alla mafia di ucciderlo (non vuole soffrire a causa della malattia, e non vuole suicidarsi per non dispiacere la madre). Quando poi scopre che la diagnosi era errata ed è perfettamente sano, vorrebbe annullare il contratto ma, non potendo, scappa con un amico, travestiti da donna. Anche in questo film, dunque, la virilità è messa in discussione. Il travestimento porta con sé molti equivoci e l’amico del protagonista scopre persino che essere donna gli piace: avrà così modo anche di dedicarsi all’attività di fichera.

Night club e cabaret sono l’ambientazione di numerosi altri film prodotti in Messico negli anni a seguire. Film nei quali la ricchezza posticcia dei lustrini si mischia col carattere popolaresco delle situazioni comiche, tra personaggi caricaturali, giochi di parole a sfondo sessuale e spogliarelli, sul palco e fuori. Nel tempo, la qualità di questi film declina in sceneggiature sempre più ripetute e sfilacciate e in regie sempre più approssimative. Per ripercorrere le tappe salienti di questa storia, si possono citare (in mezzo a una filmografia molto vasta) Oye Salome! (1978) di Miguel M. Delgado, incentrato sullo sdoppiamento (una musicista di chiesa e una ballerina di night sono la stessa persona); Las cariñosas (1979) di Rafael Portillo; Burlesque (1980) di René Cardona, nel quale l’attenzione è posta sui numeri che avvengono sul palco; La pulquería (1981) di Victor Manuel Castro, e i suoi seguiti, ambientati in una taverna, ma incentrati sugli stessi personaggi (la Corcholata, ecc.) e su situazioni da night club (a cominciare dall’impotenza che impedisce a Jorge Rivero di avere una vita sessuale – arriverà il diavolo a dargli una mano); Las perfumadas (1983) ancora di Castro. Castro, già sceneggiatore di Bellas de noche, è il più prolifico regista impegnato in questo campo (Los plomeros y las ficheras, 1988, El inocente y las pecadoras, 1988, dove un sacrestano tenta di far cambiare vita alle ficheras, che tentano di sedurlo, El rey de las ficheras, 1989). Il cine de ficheras – legato prevalentemente all’attività del produttore Guillermo Calderόn Stell – costituisce dunque un filone rappresentativo nel cinema popolare messicano, in un momento in cui questo viveva una profonda crisi, economica e artistica. Gli anni di maggior successo di questi film sono quelli in cui al vertice della cinematografia messicana è Margarita López Portillo, sorella dell’allora presidente della repubblica, le cui politiche per il cinema sono in genere viste come nefaste, per aver favorito un cinema leggero e disimpegnato e aver invertito i tentativi compiuti negli anni precedenti di dare impulso a un cinema di maggiore qualità artistica. A loro modo, si tratta di film culturalmente sintomatici, che portano alla luce modi di sentire diffusi nella società messicana e che, con il loro enorme successo, hanno influenzato l’immaginario di più generazioni del Paese.