Ici on baise: il sesso alla francese

Come nell’età d’oro i francesi furono i primi a innovare in materia di sesso ed erotismo sullo schermo, così nel Terzo Millennio sono stati gli alfieri del realismo hard al cinema...
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La cultura francese, in fatto di eros, è superiore a quella di ogni altro Paese. Con l’eccezione, forse, del solo Giappone. Interrogarsi sul cinema europeo che ha instaurato un rapporto dialettico con la rappresentazione del sesso esplicito all’interno di film non di settore, quindi non hard, implica necessariamente dare ai francesi ciò che spetta loro, cioé quasi tutto. Nella seconda metà degli anni Novanta, chi ha dettato l’agenda del nuovo cinema erotico (o come lo chiamiamo, della Sex-verité?) sono stati i francesi: la Breillat, Noé, Dumont, Brisseau, Carax con Pola X piuttosto che Baise-moi di Coralie Trinh Thi e Virginie Despentes. (dp)

 

CATHERINE BREILLAT

Qualcuno ricorda che Catherine Breillat interpreta Mouchette in Ultimo tango a Parigi di Bertolucci? O che collabora alla sceneggiatura di E la nave va di Fellini? O, ancora, che pubblica  – diciassettenne – un libro cult del femminismo, L’homme facile? Pochi cinefili, certamente; ma tutti, o quasi, ricordano che in Romance, presentato a Cannes ‘99, recita Rocco Siffredi. La presenza di Rocco avrebbe potuto essere, per la Breillat un elemento di promozione del film che, però, venne scarsamente distribuito.

Chi scrive descrisse così Romance su Nocturno: «Una moglie (la bravissima Caroline Ducey) insoddisfatta dalla vita sessuale (il marito, il belloccio Sagamore Stevenin, dorme con la maglietta della salute e legge Bukowsky – Charles, non Vladimir, per lo meno – e pare insensibile ai tentativi “orali” della sempretriste Caroline di risvegliare il suo uccellino moscio – «un cazzo piccolo è privo di nobiltà», sentenzia la protagonista). Così la donna farà l’amore con un neo-vedovo (Rocco) incontrato una notte in un bar e avrà una vitalizzante esperienza maso con il maturo preside (Francoise Berleand) della scuola in cui lavora. Tutto ciò, comunque, conta assai poco: quel che questo film sa dare, e potentemente, agevolato anche dalla splendida fotografia di Yorgos Arvanitis, uso a lavorare con gente del calibro di Angelopoulos, è un profondo senso di fastidio aI maschi», che non amano mai che qualcuno ricordi loro che il 16% della popolazione maschile mondiale ha problemi di impotenza.

Un’altra scena “incriminata”, in quanto di sesso esplicito, è quella in cui la Ducey sogna di trovarsi in un bordello vagamente infernale e dove il vero porno attore Roberto Malone (con altri co-scopanti) fa sesso live in doggy style. Una scena in cui una simbolica parete divide le ragazze fra corpo e mente, in un contesto di grande suggestione formale ed erotica. Tremendamente malinconica, alla Ryu Murakami di Tokio Decadence.

Le scene hard in un film fuori dal circuito delle luci rosse (e spesso anche al suo interno…) scatenano reazioni, le più impensabili. Anche fra i cinefili e gli intellettuali. All’anteprima stampa di Anatomie de l’enfer, l’altro film con scene hard della Breillat (del 2004), era tutto un fiorire di strizzatine d’occhio, colpetti di gomito, ironie. Anatomie de l’enfer, il cui titolo italiano è divenuto Pornocrazia (come il romanzo della Breillat da cui è tratto, certo, ma puntando ancora sulla presenza, per la seconda volta, di Rocco Siffredi), doveva essere distribuito dalla Eagle Pictures che, però, ha fatto sapere al distributore Sharada, che si sarebbe rifiutata di editare il film in dvd e vhs in quanto “contrario alla pubblica morale”.

Scriveva Antonello Catacchio su Il Manifesto (solo fra i quotidianisti)  a proposito di Anatomie de l’enfer, che «la motivazione del rifiuto risiederebbe in un momento di pornografia infantile (si vedono dei bimbi che ridacchiano dopo aver giocato al dottore con una coetanea dalle mutandine abbassate)». E aggiunge: «Forse Eagle, dopo aver distribuito la gibsoniana Passione di Cristo ha avuto un sussulto integralista e ora dispensa certificati morali?».

Anatomie de l’enfer, è in realtà un film fatto di sguardi, atmosfere, silenzi vagamente rohmeriani e che non offre speranze: gli archetipi  femminile e maschile possono, infatti, mutare forma, ma non sostanza. Di che si tratta? Torno ancora ad autocitarmi, da Nocturno 2004: «Un gay e una donna si incontrano in una assordante discoteca. Lei tenta di tagliarsi le vene nella toilette, lui la salva e, in cambio di denaro, accetta di trascorrere con la sconosciuta quattro notti, in una villa sul mare che ricorda un po’ quella di La morte e la fanciulla di Polanski. Il fine? Scrutare quelle intimità più profonde, quei luoghi ancestrali del corpo femminile che costituiscono da sempre un profondo tabù. Invalicabile. Tanto è vero che la protagonista, una incantevole Amira Casar (una trentina di film alle spalle) precipita da una rupe perdendosi per sempre fra le onde, spinta dal maschio (Rocco Siffredi) con un metaforico gesto che sa molto di eutanasia».

Anche qui molto è mostrato: dal dito di Rocco in vagina, alle mestruazioni. Va però sottolineato che  Amira Casar «cede, un po’ ipocritamente, a una più coraggiosa Pauline Hunt i primi piani delle recondite intimità»,  limitandosi a utilizzare il proprio corpo nudo (straordinariamente) per interpretare plasticamente opere pittoriche di Manet o di Picasso. È «la profonda, incolmabile impossibilità di uscire da uno “stato delle cose”». Abbandonando una visione più esplicita del sesso, la Breillat intraprenderà strade meno hard, pur non dimenticando mai il suo amore per l’antropologia sessuale: da quelle puramente fiabesche con La belle endormie (2010, presentato a Venezia) a quelle apertamente drammatiche dirigendo Isabelle Huppert nel recente Abus de faiblesse (2013).