I migliori film horror italiani

La Top Ten di Nocturno
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Non una selezione facile, questa. Forse impossibile, di sicuro discutibile una volta che verrà letta. La scelta in ogni caso è stata quella di non creare una cosiddetta Top Ten per inserirci pochi registi, per quanto grandi ed importanti siano stati. Si è piuttosto voluto scegliere un film rappresentativo per ognuno, un titolo che potesse essere fiore all’occhiello non solo della carriera del regista ma anche dell’intero genere nostrano. Specie in un momento come questo, in cui qualcosa inizia a rianimarsi attraverso nuove realtà e nuovi festival interamente concentrati sull’horror italiano (il FIPILI Horror Festival o l’Apulia Horror International Film Festival), è sempre doveroso e utile dare una spolveratina alla nostra prestigiosissima videoteca. Ecco la nostra Top Ten dei migliori film horror italiani.

1. La Maschera del Demonio (1960) di Mario Bava

Inutile domandarsi cosa sarebbe successo senza la strega Asa e la sua maledizione. Il film d’esordio di un genio, di un creatore di mondi senza il quale il cinema tutto sarebbe stato ancora incompleto. Qua però non siamo dinanzi all’inizio di un percorso artistico in itinere ma piuttosto ad una maturità già raggiunta, ad un Caravaggio quarantaseienne che esce per la prima volta dalla bottega e mostra a tutti il Davide con la testa di Golia. E non ditemi che esagero, perché l’esecuzione di Asa ancora oggi è carica di un nero e antico sentore di tempo che si congela, come nei quadri più cruenti del Merisi. Romantico, gotico e crisi del soggetto novecentesca in un film solo, là dove solo i Maestri arrivano.

2. Il profumo della signora in nero (1974) di Francesco Barilli

È un Polanski del ‘76? No, è un Barilli del ‘74. Allucinazione, paranoia, mania di persecuzione, traumi infantili: c’è tutto in questo film. E non c’è niente, da capire. Mentre Mimsy Farmer si muove prudente tra le pareti della sua casa, nella riscoperta del suo Io dimenticato e soppresso, le note di Nicola Piovani ci trascinano in questo incubo ad occhi aperti e preannunciano uno dei finali più sconvolgenti e truculenti del nostro cinema.

3. Chi sei? (1974) di Ovidio G. Assionitis

Una domanda per tante domande che questo film ha lasciato. Assionitis lo ideò dopo aver letto L’esorcista di William Peter Blatty, ancor prima che l’omonimo film diretto da Friedkin uscisse nelle sale. Risposta dunque che precede la domanda, questa originalissima, apocrifa, furba trasposizione risulta ancora oggi spiazzante, scioccante e fascinosamente misteriosa come il faustiano Dimitri nella sua lenta discesa (caduta) nella dannazione.

4. La casa dalle finestre che ridono (1976) di Pupi Avati

“I miei colori…i miei colori…”, quella voce macabra che non si scorda mai. Buono Legnani deve essere esistito veramente, oppure Pupi Avati ha costruito in questa pellicola le ambientazioni ad immagine e somiglianza del pittore maledetto uscito dalla sua mente. Luoghi isolati, abitati da volti grotteschi, da voci inquietanti nella notte, da segreti indicibili ed inimmaginabili, da mostri nascosti sotto benevole spoglie. Tutto molto, troppo reale per non rimanerne atterriti come Lino Capolicchio: un grido strozzato e gli occhi spalancati.

5. Suspiria (1977) di Dario Argento

Quando Susy Benner arriva a Friburgo dagli States per perfezionarsi all’Accademia di danza, tutto da subito ha il rumore di una coltellata, come le porte automatiche dell’aeroporto che si aprono con quel suono sinistro. Siamo tutti stati Susy Benner nella nostra vita, troppo piccoli ed inesperti per affrontare l’inatteso: rannicchiati sotto delle coperte, rigidi e spaventati dal rantolo di Helena Markos. Argento ha in mente Biancaneve e la strega, un incontro inevitabile tra il bianco e il nero, una favola di colori e suoni che sembrano provenire da secoli lontani ed oscuri.

6. Cannibal Holocaust (1980) di Ruggero Deodato

I veri cannibali che il professor Monroe vede nel filmato saranno anche gli ultimi. Perché dopo di loro non ci sarà più niente da divorare o da distruggere, ma solo un nuovo, vecchio, vuoto mondo dove il selvaggio sarà la regola. Non sarà una visione piacevole, o la verità che volevamo, ma se ancora oggi parliamo del film di Deodato non è per le scene truculente ed i processi, ma perché ci siamo resi conto del nostro avido masticare, del nostro sguardo malato verso ciò che non ci appartiene.

7….e tu vivrai nel terrore! L’Aldilà (1981) di Lucio Fulci

Se lo immaginava così l’Inferno, signor Hyeronimus Bosch? I morti non muoiono e i vivi non vedono, non sentono, non parlano. Dominato dalle musiche di Fabio Frizzi, L’aldilà arriva dove nessun altro poteva spingersi: un essenziale trattato sull’orrore dove i volti si contorcono e gli occhi si annebbiano, incapaci di tollerare ciò che non appartiene ad alcuna categoria dello scibile umano. Nessuno come Lucio Fulci ci ha mai mostrato così splendidamente “il mare delle tenebre e ciò che in esso vi è di esplorabile”, spingendoci di forza contro uno spunzone acuminato capace di deflagrare le nostre pupille.

8. Demoni (1985) di Lamberto Bava

Al cinema Metropol di Berlino Ovest l’incubo diventa realtà, lo schermo si sfonda. Molti demoni sono già passati, così come un grande Bava ha fatto spazio ad un altro altrettanto talentuoso. Le immagini sono potenti, così come l’amore per un modo di fare cinema che purtroppo si sta avviando verso il crepuscolo. Demoni rappresenta ancora oggi un’eccellenza, un grande film che omaggia il passato e proietta verso il futuro.

9. Dellamorte Dellamore (1994) di Michele Soavi

Come si potevano escludere Soavi e Sclavi? Come si poteva dimenticare il tormentato becchino Francesco Dellamorte e la sua discesa nella follia? Quella follia sclaviana che Soavi ha saputo trasferire magistralmente in un film unico (gli snob direbbero internazionale), che si muove in circolo tra vita e morte, romanticamente e carnalmente. Tanto da chiedersi se è meglio essere vivi o essere morti, o se non c’è alcuna differenza.

10. Oltre il guado (2013) di Lorenzo Bianchini

Oltre quel corso d’acqua bassa, un borgo fantasma, un passato messo a tacere, un territorio da non esplorare. È sembrato quasi una metafora del nostro horror, ma forse è proprio da qui che si può vedere un nuovo inizio. Da Lorenzo Bianchini, per esempio, e dal suo cinema orgogliosamente territoriale, ossequiante il passato, illusoriamente lontano ma spaventosamente vicino. Oltre il guado è stato un silente colpo di scena dopo anni di clamorosa pochezza. Grazie.