Hannibal e l’orrore è flambé

Una sorta di centone di tutto l’horror audiovisivo classico, dalle origini fino ai nostri giorni, servito su ricchi ed eleganti piatti da portata. Con le crudité in bella vista...
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Del signor Hannibal Lecter sappiamo più o meno tutto. Merito dei De Laurentiis, detentori dei diritti cinematografici dell’universo letterario di Thomas Harris. A loro dobbiamo il prequel di Red Dragon, le origini di Hannibal in cui viene raccontata l’infanzia lituana e l’adolescenza parigina del futuro (spoiler!) pluriomicida, estratto a viva forza dalla penna dell’autore inglese sotto la minaccia «se non lo scrivi tu e ci fai fare il film nessun problema, lo facciamo scrivere a qualcun altro». E a loro dobbiamo Hannibal la serie, che con il giusto miscuglio di opportunismo, artigianato televisivo e commistione di talenti va a spremere un paio di pagine di Red Dragon (a sua volta prequel del più celebre Il silenzio degli innocenti) per inferire e approfondire il rapporto fra lo psichiatra con la passione per carne umana e l’empatico agente speciale Will Graham. Coproduce Nbc, che nonostante gli ascolti stabili ma scarsi della prima stagione, sfrutta la leggerezza della coproduzione internazionale per proseguire la messa in onda. Al timone Bryan Fuller, il tenero uomo con il gusto per l’horror sui generis e per le serie malnate (o comunque sempre terminate in tragedia): Dead Like Me, Pushing Daisies, Wonderfalls, Mockingbird Lane. Funghi che crescono da corpi sotterrati e tenuti in vita, persone trasformate in angeli con lembi di pelle sollevati a guisa d’ali. Totem di cadaveri sulla spiaggia. C’è roba, idee, per sei stagioni e due film raccolta in un’unica, sinottica, per certi versi molto sbrigativa prima stagione. Davanti ai nostri occhi si dipana uno spassoso (in maniera straniante) e assurdo mondo dove ogni due giorni appare uno psicopatico serial killer; un universo di fiabe macabre, dove ci sono decine, centinaia di uomini neri. A dirla tutta, nella decima puntata della prima stagione il boogeyman degli incubi e dei racconti che si nasconde sotto il letto fa effettivamente la sua trionfale comparsa.

L’horror di Hannibal si annida, senza nascondersi troppo, nelle immagini, nei fluidi e nei corpi e negli organi e nella composizione di viscere, sangue e cadaveri. Hannibal che sembra una versione ultra chic e ricercata di Alice: batte polmoni, affetta reni, fa salsicce con intestini. Ed è felicissimo. Corde di violoncello da budella umane, code di violoncelli dalla gola di orchestrali scarsi, le cui corde vocali emetteranno finalmente un bel suono. Ma è anche e soprattutto horror psicologico, nel navigare la strana condizione empatico autistica di Will e la passione cannibalistica del Dottor Lecter, così narcisistica, snob, edonista e priva di sensi di colpa. Anche se alla lunga le dinamiche, sempre abbastanza uguali a loro stesse, rischiano di gettare nella noia, c’è sempre un colpo di coda, un’intuizione che ha preso di forza la china della nave Hannibal e l’ha riportata in rotta. Collane colombiane: la lingua esce dalla gola sgozzata, sventramenti in anestesia locale, un occhio dipinto con corpi umani cuciti fra loro. Hannibal pare un compendio dell’horror audiovisivo classico, dalle origini a oggi. Un dizionario breve del genere. C’è tutto: mostri, serial killer, abnormità, mutazioni, deformità, scavo psicologico, psicopatologia, viaggio nell’inferno della mente, atmosfere cupe, raccapriccianti, deviate; il campionario estetico è sfruttato in ogni sua sfaccettatura. Ci sono diversi autori che hanno avuto il via libera più unico che raro per sbizzarrirsi, che nella cornice strutturale del (finto) procedural con serial killer hanno avuto l’adorabile ordine di inserire e legare in un’unità coerente la totalità dello scibile orrorifico. A mancare, e non è cosa da poco, è tutta la deriva post dell’horror, la strada intrapresa dal genere quando si è sentito prosciugato nel suo significato letterale o più direttamente simbolico.

Non c’è sguardo politico in Hannibal, né gioco ironico. Non c’è metalinguaggio, se non nei gustosi (ma limitati e sterili) inside jokes che vanno a punzecchiare i precedenti cinematografici e letterari della saga di Thomas Harris. Il tono dell’orrore in Hannibal è pervasivo, onnipresente, quotidiano, parossistico, folle e incredibile nelle iperboli che giocano continuamente al rialzo. Ma la coerenza interna è forte. I personaggi, e chi li scrive e chi li mette in scena e chi li interpreta, ci credono. Soffrono e scalciano e si ribellano. Anche perché uno dei temi portanti della serie sta in come l’orrore che ci sta intorno si specchia banalmente e con evidenti debiti nietzschiani nell’orrore personale. Tutto quello che accade al di fuori intacca, influenza, modifica le personalità e l’approccio e le relazioni dei e fra i personaggi, o quantomeno è vero per quanto riguarda i due principali antagonisti, amici, gemelli; che a loro volta si specchiano l’uno nell’altro esplorando abissi emotivi e curiosità intellettuali. Ecco quindi che un universo in cui in due mesi, veniamo a conoscenza del lasso di tempo in cui si svolge la prima stagione all’inizio della seconda, nel Nord Est degli Stati Uniti d’America le forze dell’ordine devono fronteggiare più di una mezza dozzina di serial killer psicopatici, creativi, simbolici; un universo del genere, in cui i mostri al di fuori hanno un costante dialogo con i mostri al di dentro, nonostante tutto (ripetitività, incongruenze, inverosimiglianze, picchi di surrealtà apparentemente eccessivi) non satura lo spettatore e non finisce di stupirlo. Ed è anche grazie all’esagerazione che ha discreto successo nel tenere le fila della tensione e dell’interesse. La scelta di creare un mondo fiabesco al contrario in cui vale tutto, sfogatoio per la creatività di sceneggiatori che possono spingersi fino a creare un’assassina affetta da una sindrome con meno di cento casi certificati in tutto il mondo, è vincente perché spinge a volere sempre di più. È vincente perché, forse, mette lo spettatore sullo stesso livello di morbosa curiosità intellettuale che spinge i due protagonisti. Benvenuti in Hannibal, dove comandano i bizzosi dei dell’horror e dove tutto vale.

Alice Cucchetti