Gli inediti di Roger Fratter: Ruderi d’amore

In esclusiva sullo shop di Nocturno, una storia in cui la doppiezza è una regola

C’è una buona ragione per acquistare Ruderi d’amore su Nocturno Shop, cioè verificare finalmente (e per sempre) che Roger A. Fratter è un autore. Ruderi d’amore – toccherà con mano chi lo farà suo – è film d’autore, perché così com’è non sarebbe potuto essere girato, sceneggiato, montato, interpretato da nessun altro. Con i suoi limiti, quelli noti dell’autoproduzione, che è giusto ricordare, e i suoi pregi, che nelle prossime righe tenteremo di mettere in fila. La svolta nella produzione cinematografica di Roger, che taluni fan vissero come un vero e proprio trauma, data 2007 con Cymbaline, in cui il nostro per la prima volta nella sua carriera si allontanò dai principi thriller-horror per aprirsi a un laboratorio del rapporto uomo-donna-creazione: fase, questa, approfondita sotto diverse prospettive per una decina d’anni. Certi viaggi però non sono senza ritorno, ma fondamentali per la capacità che hanno di restituirci un autore più completo, inedito nei suoi discorsi. Tutto questo per dire che Fratter non è quello di prima, anche quando torna a maneggiare il giallo e l’orrore, ma è meglio di prima. Non più cultore e poi creatore, ma il contrario. Si percepisce un po’ ovunque, nell’ultimo Ruderi d’amore. La storia muove da uno spunto classico degli anni Settanta, ma basti sapere che Fratter, nel ruolo del tormentato Ryan, e Paola Bonacina/Vanessa, in quello di colei che ne tira i fili, vi lasciano il segno. Il protagonista svolge il suo compito da autentico numero uno circondato da una crew alquanto ostile e composta dagli abituali Steve Brooks, Mike Hudson e Nanni Montomoli, tutti calati in una competizione statale minuziosamente burocratizzata, che prevede addirittura un sussidio sociale rapportato ai successi conseguiti e ai periodi d’inattività.

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Il caso di Maya, la moglie di Ryan, interpretata da una Maria Clouchet (la protagonista) conturbante nella sua inquieta noia di vivere, tra voglia di riscatto e ricadute nell’apatia, credibilmente rese per una nuova attrice. “Il sussidio lo prendono tutti: nessuno lavora più ormai…”, dice Ryan a un certo punto. Del resto, la doppiezza è la regola in questa storia e anche Maya, oltre che moglie ed ex-professionista sospesa, si è riciclata nel business della fotografia sexy per voyeur. Persino le estreme gare cui i personaggi partecipano sono riprese dalla TV con evidente entusiasmo della speaker (di Vera Wright la voce), impegnata a illustrarne i capovolgimenti di fronte al pubblico votante. Ma qui viene il bello. I richiami a certi temi, moneta corrente dei bei tempi in cui il cinema avvinceva distribuendo pulci nelle orecchie, non sono dati in pasto semplicemente con lo scopo di alzare il livello per poi perdersi nel tragitto, ma reinventati da Fratter che li incrocia con le esperienze intimiste del suo ultimo cinema, rilanciando così l’effetto drammatico di entrambi. Quando nei primi minuti vediamo Ryan passeggiare tra i ruderi del titolo, edifici diroccati che scova nel corso di perlustrazioni che lo nutrono di un sentimento di autocommiserazione che è già in lui, capiamo di aver a che fare con qualcuno con un buco nell’anima. Continuamente assistiamo al suo ossessivo disegnare occhi, bocche femminili (Roger stesso al pennarello) e cruenti ritratti (nella realtà di Oliviero Passera, già presente con la sua arte in Femminilità (In)corporea), perché questa attività di copertura lo illude di ricostruire il suo rapporto con la moglie (con la donna?), dalla quale non riesce più nemmeno a cavare del sesso.

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Ed è un peccato, perché i frequenti tonici nudi della Clouchet mostrano cosa si perde. A poco vale il fiacco rapporto extraconiugale con Cristina (Stefania Manzo), la dolcezza fatta persona, alla quale il personaggio si abbandona senza convinzione, ancora per illudersi d’essere vivo, nell’attesa del nuovo incarico assegnato da Vanessa, dispotica, a tratti rabbiosa, forse perché strizzata in scollatissime giacche di tailleur; meno ancora le confidenze con il gelido “amico” Malcom (Mauro Breviario, i cui movimenti nella storia consigliamo di seguire fino alla fine e non solo per il senso di minaccia compressa che comunicano). Confessioni che non significano nulla per chi le concede né per chi le ascolta. è il dissonante mondo futuro delle relazioni sociali e dei sentimenti, bambola! O un nuovo medioevo di tornei cavallereschi all’ultimo sangue con il tradimento al posto della cavalleria – mai che uno sia quello che dichiara di essere, qui – e la musica elettronica di Valerio Ragazzini conferma, suggerendo tutta l’alienazione di uomini convertiti in cyborg, di posti che rispondono al vuoto con il vuoto. Una meraviglia per lo scambio incessante sempre calzante con le immagini. Con il cinema di Fratter è però vietato rilassarsi: specialità della casa è mescolare le carte. I luoghi e le azioni quotidiane, assolutamente riconoscibili come il rito del caffè al bar, sono intrecciati senza stacco con le tre donne del mistero che incontriamo in apertura, con i violenti cambi di ritmo che percorrono la narrazione subito riassorbiti come un miraggio, lasciandoci la sensazione che fra noi, dentro di noi, accadano fatti dei quali neghiamo l’orrore, o non ce ne accorgiamo più.