Giallo Berico: intervista a Marina Crescenti

Una lectio dedicata alla scrittura del romanzo giallo aprirà la rassegna
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A inaugurare la due giorni dedicata al thriller, che si terrà il 18 e 19 febbraio 2022 a Ponte di Barbarano (VI), Giallo Berico, sarà la giallista e saggista Marina Crescenti. La scrittrice infatti darà il via con una lectio dedicata alla scrittura del romanzo giallo alla prima giornata, alla quale faranno seguito un focus su Dario Argento, proiezioni, presentazioni editoriali, incontri con gli autori e gli ospiti. In quello che è stato ribattezzato “Serial Killer Day”, la Crescenti presenta anche un suo libro. L’abbiamo avvicinata per saperne di più…

Come e quando nasce in te l’interesse verso il giallo?

Il mio interesse per il giallo nasce con me. Non è una questione ereditaria, nessuno nella mia famiglia possiede questa passione. Mio nonno scriveva, questo sì. Ma non di omicidi e indagini. Scriveva poesie. Ricordo che da bambina, avevo sì e no 10 anni, giravo per la mia città con la valigetta del detective insieme a una mia amica; dentro tenevamo l’immancabile Manuale del Giovane Detective (che conservo gelosamente ancora adesso su una delle mie librerie), una lente d’ingrandimento e tutto l’occorrente che avrebbe potuto esserci utile se ci fossimo imbattute in qualche efferato assassino. E intanto, inventavamo storie, pedinavamo gente…Da allora, è stato un crescendo di questa parte di me che c’è da sempre e che considero al pari di un mio braccio o di una mia gamba. Confesso, sono cresciuta a pane, gialli e polizieschi.

Oltre a essere patita di giallo, sei anche cinefila. Prova ne è il tuo volume Luc Merenda – La mia vita a briglia sciolte. Quali sono i tuoi generi e registi preferiti?

Ho visto, assaporato, metabolizzato tutti i gialli e i polizieschi del Cinema Italiano nei suoi anni più floridi – gli anni ’60/’70 – in questo genere, forse un po’ di nicchia, ma per me era l’unico al mondo. Il capolavoro Profondo rosso mi ha forgiata dentro, così come Milano trema. La polizia vuole giustizia. Per citare solo la punta dell’iceberg. Ho scritto la biografia del commissario tra i più amati in Italia: Ghini, Caneparo, Malacarne… in due parole, Luc Merenda. Luc aveva letto un mio giallo e un giorno mi chiamò, mi disse che gli piaceva come scrivevo e mi chiese se volevo “buttare giù due righe” sulla sua vita. Accettai. Naturalmente. Va da sé che i registi che preferisco spaziano tra quanti si sono dedicati perlopiù al poliziesco e al giallo italiani: Fernando Di Leo, Sergio Martino, Lenzi, Castellari, Tessari, Barilli, Prosperi, Tarantini, Stelvio Massi, Dario Argento, Mario e Lamberto Bava, Lucio Fulci…

Quali invece i tuoi riferimenti letterari?

In campo letterario, gli scrittori che mi hanno “cresciuta” partono da Giorgio Scerbanenco e il suo Duca Lamberti; la sua meravigliosa e inarrivabile capacità di fondare la maggior parte delle sue storie sui dialoghi mi ha incantata. Mentre di Agatha Christie ho sempre apprezzato la sua straordinaria capacità introspettiva con cui muove i suoi personaggi come tante tessere di un puzzle su un palcoscenico; incastrandoli uno nell’altro alla perfezione, come per magia. Non posso non citare il grande Andrea G.Pinketts e il suo ineluttabile scivolare verso l’improbabile e un pragmatico delirio, se così si può dire, ma con lui tutto era possibile. Ho letto anche i libri di Renato Olivieri; le malinconiche atmosfere milanesi e la figura del commissario Ambrosio rappresentano due dei punti cardine nella mia formazione di giallista. Tra gli autori stranieri, citerei i primi libri della Cornwell, Edward Bunker, Carol O’Connel e devo dire tanti altri. Ma se ho iniziato a scrivere gialli lo devo a un solo libro e a un solo scrittore: L’alienista di Caleb Carr.

Nel corso di Giallo Berico, presenterai anche il volume “Il Branco Uccide. Caccia al Drago Giallo”. Presentalo a chi legge…

Con questo libro pubblicato dalla Nero Press – sequel di Le lacrime del branco – ho fortemente voluto mostrare la doppia dimensione in cui vivono i componenti del branco: carnefici e vittime allo stesso tempo. Carnefici perché si dimostrano crudeli assassini, stupratori, capaci di usare ogni genere di violenza verso cose o persone senza mostrare alcun rimorso o ripensamento. Vittime, per i gravi abusi subiti durante l’infanzia, che li hanno portati a essere quello che sono oggi. Non a caso, il titolo parla di lacrime.

Il gruppo è composto da quattro ragazzi e una ragazza, tra i diciannove e i ventisette anni, senza scrupoli, né freni inibitori, che si muove all’interno di un romanzo crudo, in cui violenza è spesso sinonimo di gratuità, ma mai fine a sé stessa: il concetto primario che fa da sfondo a tutta la vicenda sta nel fatto che cinque ragazzi, divenuti carnefici in età adulta, sono prima ancora e al contempo delle vittime. Nel romanzo si respira il nostro cinema poliziesco degli anni ’70 e l’ambientazione è un’imprecisata località del nord Italia. Oscar e il suo branco osservano il mondo con lo sguardo di chi, giorno dopo giorno, deve fare i conti con la propria natura spietata e il lato umano. Assumendo quest’ultimo le vesti dell’imprescindibile e altrettanto spesso dell’imponderabile, nella dura lotta della convivenza all’interno del proprio io.

La prima giornata di Giallo Berico è a tema “Serial Killer”. Ci sono reali casi con protagonisti “mostri” che ti hanno segnato particolarmente?

I più efferati assassini seriali che mi hanno colpita maggiormente sono Ed Gain, che ha ispirato il film Il Silenzio degli Innocenti, Jeffry Dahmer, Ted Bundy, John Wayne Gacy, Albert Fish, Čikatilo, ma anche tanti altri: come si può rimanere indifferenti di fronte a chiunque spezzi le vite di povere vittime innocenti e nei modi più terribili? Restando in Italia, Gianfranco Stevanin, Mostro di Firenze, Roberto Succo, Donato Bilancia, Chiatti, purtroppo la lista è ancora molto lunga. Gli abusi di cui parlo nel volume Il branco uccide. Caccia al drago giallo, e anche in altri miei romanzi, in alcuni casi, traggono spunto da storie vere. La realtà supera la fantasia. L’abuso che ha subito un componente del mio branco viene appunto da una storia vera: all’età di tre anni, la madre si portava a casa il lavoro. Faceva la prostituta. E non badava a svolgere la sua professione davanti agli occhi del figlioletto. Come pensiamo che cresca e diventi adulto un bimbo che assiste a tutto ciò? Attenzione, non è una giustificazione, anche perché se tutti coloro che durante l’infanzia hanno subito degli abusi – fisici e/o psicologici – diventassero dei criminali, al mondo ne esisterebbero molti di più. C’è chi ce la fa e chi no. Ma questo aspetto deve avere contato un ruolo importante nel libro, poiché chi lo ha letto finisce – a suo dire, inspiegabilmente – per fare il tifo per il branco. Come, del resto, lo facciamo per Diabolik e mai per Ginko…

Domanda scomoda: quali le regole per scrivere un giallo?

Sì, è una domanda complessa. In realtà, credo che ogni giallista abbia le sue poiché nella scrittura tutto è possibile, ma una sola regola, secondo me, deve essere sempre seguita, ossia, una delle famose 10 regole di Raymond Chandler, nello specifico, la decima: chi scrive deve essere onesto verso il lettore. I fatti, così come gli indizi, dai più ai meno importanti, devono essere descritti in modo onesto e chiaro. Posso continuare parlando delle mie regole. Innanzitutto, mi creo sempre una sorta di ossatura, uno scheletro di base su cui successivamente andrò a definire le dinamiche della storia: non inizio mai a scrivere un romanzo avendo già tutto in testa. Alcune volte, non so ancora chi sarà l’assassino. Quando mi siedo a scrivere, è allora e solo allora che creo. Ho solo il punto di arrivo, so cosa voglio, ma decido sul momento come arrivarci. I personaggi, per diventare credibili, devono diventare “reali”. La mia regola più importante è questa, e per ottenere ciò, devo immedesimarmi al punto da diventare io stessa quel personaggio di cui sto scrivendo o che sto facendo parlare, attingendo al variegato mondo delle mie emozioni, spesso derivanti da eventi vissuti in prima persona a qualsiasi età, e tarate su quel personaggio che adesso sono io. Per me, questa è la parte più bella dello scrivere. Altra mia regola, essere precisa nel definire situazioni e oggetti che richiedono la dovuta attenzione e coerenza in campo scientifico: io prima studio, solo poi scrivo. O mi documento con esperti di settore (medici legali, poliziotti, grafologi…) strada facendo. Ce ne sarebbero altre, ma da brava giallista, non ve le svelerò!

Giallo Berico è dedicato a Stefano Di Marino, Quale il ricordo del tuo collega?

Se penso a Stefano, mi viene in mente la sua ironia, la sua leggerezza, il suo distacco dalle cose “brutte” della vita, ovvero, il contrario di quello che poi purtroppo è successo. Forse non l’ho conosciuto com’era per davvero, forse non l’ho “riconosciuto”, o più semplicemente – nel modo più dignitoso possibile, di questo sono sicura – Stefano teneva nascosto il suo dolore. Credo che questo ce lo siamo chiesti tutti noi che lo abbiamo conosciuto e frequentato. Era sempre allegro, sorridente e non perdeva mai occasione per scherzare e giocare con la vita. Ha presentato più volte i miei libri; una sera, a chi dal pubblico ci etichettò come “tormentati”, Stefano, con la sua consueta flemma, rispose: “Noi siamo piacevolmente tormentati”. Ecco, per me, in quel preciso momento, era lui, era sé stesso, o come – purtroppo oggi dico – forse voleva apparire.