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Outcast

Autore:
Robert Kirkman & Paul Alzaceta
Editore:
Saldapress

Il nostro giudizio

L’autore di The Walking Dead torna all’horror con Outcast, su possessioni demoniache ed esorcismi

Robert Kirkman è sinonimo di The Walking Dead. Se c’è un franchise di successo, una macchina da soldi che gira a pieno regime, essa risponde al nome di The Walking Dead. Serie TV, gadget, videogames, spin off e imitazioni più o meno riuscite: tutto ciò ha origine dalla penna dello scrittore americano, creatore di una serie a fumetti che, già solo nel proprio ambito, fa mercato a sé. Al di là del giudizio su TWD e sui relativi derivati, è innegabile che il fumetto sia caratterizzato da un’impronta personale e riconoscibile, uno stile che Kirkman, pur senza aver inventato nulla di nuovo, ha saputo far fruttare al meglio.  La scrittura di Kirkman poggia su una solida caratterizzazione dei personaggi le cui interazioni, prima ancora che la trama vera e propria, costituiscono il motore narrativo dell’opera. Il tempi dello sviluppo degli eventi, al contrario, sono estremamente dilatati, apparentemente fuori sincrono per un’opera high concept, con un risultato che per certi versi ricorda prodotti come Survivors, serie TV britannica realizzata sul finire degli anni ’70 che univa all’ambientazione post apocalittica una scrittura costruita sui personaggi, sul loro sviluppo e sulle loro interazioni.

Nel tentativo di bissare il successo della sua rilettura del sottogenere zombi, Kirkman torna all’horror con Outcast, fumetto che prende le mosse da classici come L’Esorcista rivisti in una chiave di lettura interessante. Se, infatti, l’idea di un eletto – qui dipinto al negativo al punto da venir chiamato reietto – che suo malgrado si ritrova a far fronte a una minaccia più grande di lui, non è esattamente una novità, è interessante il discorso di fondo profondamente impregnato di umanità e di tensione etica. La cifra comune dei personaggi di Outcast, infatti, è il fallimento, l’errore, lo sbaglio che  butta fuori strada e il modo in cui interagiscono ha sempre a che fare con il gestire la propria condanna così da poter rimettere insieme qualcosa che si possa chiamare vita.

Outcast, da cui Fox ha realizzato una serie TV omonima alla prima stagione, è un saggio dello stile di Kirkman nel bene e nel male, al meglio e al peggio. Se, infatti, i personaggi funzionano alla grande e tutto quel che li riguarda gira come un orologio svizzero, la mancanza di un’ambientazione forte come in The Walking Dead si fa sentire per quanto riguarda i tempi narrativi. La trama avanza davvero lentamente e, punto debole molto rilevante per una storia di possessioni demoniache, la tensione non riesce mai a essere sufficientemente alta. Outcast piace ma non inquieta, si amano i personaggi ma per come sono caratterizzati e non tanto per come si rapportano alla minaccia che incombe su di loro. Certo, alla fine dei primo due volumi la vicenda è ben lungi dal concludersi, tutto può e deve ancora succedere. Più che di occasione mancata è corretto parlare di potenzialità ancora inespresse.