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La contorsionista

Autore:
Luca Blengino, Rossano Piccioni
Editore:
Edizioni Inkiostro

Il nostro giudizio

A far fumetto erotico, si direbbe, si fa presto. Due tette, un culo, si mostra un po’ di carne e via, qualcosa s’è portato a casa. Forse, se l’oblio precoce è l’obiettivo. Sì, perché in un’epoca di sovraesposizione della nudità, tette e culi te li tirano con la fionda, e dimenticarsi di un’opera erotica in mezzo al mare di carne illustrata in cui nuotiamo tutti i giorni non è mica difficile. Inutile in tal senso citare mostri sacri come Magnus o Manara: figli di un’altra epoca e artisti fuori classe, nessuno dei due nasce nel contesto di oggi, a dire il vero Manara ci si muove ma si vede che è bollito, e nessuno dei due vive le difficoltà del fare fumetto erotico nella contemporaneità.

Luca Blengino e Rossano Piccioni sì, e non potendo far valere il proprio status – nessuno dei due è ancora un’istituzione – ci arrivano con l’intelligenza, tanta intelligenza, e un rapporto fra scrittura e disegno particolarmente sbilanciato verso la prima, soprattutto considerando il genere dell’opera. La contorsionista è, infatti, un fumetto prevalentemente di scrittura. Intendiamoci, il tratto di Piccioni, che ricorda il miglior Bastien Vivès nel suo essere schizzato e nel cogliere il dinamismo dello storytelling per immagini, funziona molto bene, specie a livello di regia, ma è la sceneggiatura a far la differenza. Blengino costruisce un erotismo tutto mentale, completamente basato sul celare, sull’impossibilità di raggiungere un piacere che viene posticipato all’infinito per poter essere colto nella sua interezza a qualunque costo, piuttosto che nelle sue parti ma relativamente a buon mercato.

Su questo, infatti, si basa l’espediente narrativo su cui si regge la storia, una pensata semplice quanto intelligente, funzionale a una narrazione che si autoalimenta senza perdere un colpo fino alla fine, con un ritmo che non conosce cali di tensione. Intelligente anche il gioco che gli autori fanno con la regola della pistola di Checov, dove non si capisce se essa non spara o è il lettore ad averla confusa con un altro oggetto di scena.