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Afro Samurai

Autore:
Takashi Okazaki
Editore:
ed. Panini

Il nostro giudizio

In una terra tra il futuribile e il surreale, chi indossa la leggendaria fascia del Numero 1 possiede un potere tale da influenzare le sorti del mondo. Solo chi possiede la fascia del Numero 2 è in grado di sfidarlo per sottrargliela ma, a propria volta, il Numero 2 deve raccogliere la sfida di chiunque gliela lanci. Un samurai nero, con una folta capigliatura afro e una grande spada, è l’attuale portatore della fascia del Numero 2 e sta percorrendo il sentiero della vendetta, alla ricerca dell’uomo che ha ucciso suo padre in duello privandolo della fascia di Numero 1. Afro, questo è il soprannome del samurai in cerca di vendetta, camminerà dritto verso l’obiettivo abbattendo monaci cibernetici, vecchi compagni e assassini di ogni sorta che si parano sul suo percorso.

Nella semplicità di una trama quasi del tutto lineare, Afro Samurai è un fumetto colto, opera di un autore che ha studiato tanto e che ci tiene a riversare parecchio dei suoi riferimenti nel suo lavoro più famoso. Le opere citate nel manga di Okazaki spaziano dal Frank Miller copertinista di Lone Wolf and Cub all’opera stessa di Kazuo Koike le cui atmosfere impregnano a fondo le pagine di Afro Samurai fino ad arrivare a un passaggio in cui, attraverso la sua interazione con due personaggi, un samurai che si porta appresso un bambino molto simile a Daigoro, Afro sembra incarnare la volontà dell’autore di omaggiare il maestro ma al tempo stesso di volerlo superare. Chi scrive potrebbe sbagliarsi, ma nell’opera di Okazaki vede pure qualcosa che ricorda El Topo di Jodorowski, perché il sentiero di vendetta percorso da Afro non si esaurisce nella scia di cadaveri che si lascia dietro duello dopo duello, ma diventa un percorso dai toni sempre più metafisici in cui fantascienza high tech e misticismo s’intrecciano strettamente.

Afro Samurai è un pastiche molto ricco, con elementi western e un ritmo che alterna pause dilatate a combattimenti frenetici illustrati con grande dinamismo da una mano capace, con uno stile riconoscibile e una grande attenzione per i dettagli, a tutto vantaggio del world building che dà vita a un’ambientazione che mescola felicemente una quantità di elementi diversi fra loro con risultati omogenei e visivamente spettacolari. Il protagonista del manga è forse un po’ troppo granitico, sembra davvero non muoversi di un millimetro dal termine di un arco di trasformazione completato prima dell’inizio della vicenda e di cui forse Okazaki ci mostra poco, troppo poco per arrivare a considerare Afro come un protagonista realmente tridimensionale seppure, c’è da dirlo, i flashback che lo riguardano in parte ci riescono, a conferirgli una certa profondità motivandone meglio i gesti con una caratterizzazione che, alla fine del volume, lo rende qualcosa di più che una semplice macchina di morte.