Freddy Krueger e gli altri

Death House: cinque mostri per non dormire
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Dunque, non è che il regista designato lasci sperare chissà cosa: certo Harrison Smith che in curriculum, come produttore e director ha non proprio delle opere memorabili, tipo Zombie Killers: Elephant’s Graveyard del 2015 e, retrocedendo nel tempo, Camp Dread – una roba assurda con Eric Roberts –, 6 Degrees of Hell e The Fields – il genere di film che quando appaiono sui torrent, al solo vedere la preview ci si discosta inorriditi. E non perché siano degli horror. Però, il progetto alla cui guida si è messo questo Smith, se è confermato come pare – l’IMDB lo dà in fase di pre-produzione con uscita preventivata per il 2017, sarebbe da leccarsi le orecchie. Si intitola Death House e a riassumerlo sulla base dei pochi dati che sono finora disponibili, non sembrerebbe per nulla esagerato definirlo come il film dei film, in fatto di horror. Il Governo americano gestisce una specie di carcere sotterraneo di massima sicurezza, strutturato come i gironi dell’inferno dantesco, per cui, più si scende verso il basso, più la qualità malvagia degli imprigionati aumenta. Al fondo dell’abisso, stanno cinque individui che sono il peggio che l’umanità abbia prodotto e che hanno i volti di… rullo di tamburi: Robert Englund, Doug Bradley, Michael Barryman, Kane Hodder e Bill Moseley. E se vi sfugge chi sia qualcuno del quintetto, riguardatevi gli Hellraiser, i Nightmares, i Venerdì 13, Le colline hanno gli occhi e i Non aprite quella porta.
L’idea di questo dream team dello spavento e del gore, l’aveva avuto Gunnar Hansen, il compianto Leatherface di Texas Chainsaw Massacre, che ci ha lasciati lo scorso novembre. Suoi il soggetto e la sceneggiatura di Death House, ai quali ha collaborato anche il regista, Smith. La lista delle star eccellenti, comunque, non si esaurisce con i cinque leader anzidetti e prosegue con Ken Foree, Dee Wallace, Danny Trejo, Barbara Crampton e Camille Keaton, la vedette di Non violentate Jennifer. Non esiste alcuna immagine di Death House se non una locandina che dice tutto e niente, ma con una bella tagline: “L’inferno non è una parola… è una sentenza!”. Noi comunque aspettiamo. Senza crederci troppo, ma mantenendo una cauta e stoica sospensione di giudizio. Dovesse, per sbaglio, venirne fuori un filmone e non una di quelle cose che nascono e muoiono all’interno delle convention americane di nostalgici dello splatter anni Ottanta, tanto di guadagnato per tutti.