Fiabe horror: 10 film da vedere

Da storia della buonanotte a fiaba nera
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Rispetto al più antico, breve monito allegorico della tradizione greco-romana rappresentato dalla Favola, la Fiaba si è affermata nei decenni come l’espressione più universale, e dunque cinematografica del racconto folkloristico. Da Lévi-Strauss in poi si può parlare delle impalcature condivise del pensiero su cui è strutturato il racconto popolare; un mito sconfina dentro l’altro, ne racchiude un secondo e un terzo, culture autoctone dialogano con mondi lontani, personaggi cambiano i nomi e trovano l’Africa in India, la Cina in Germania. Catalogare i miti presso questo o quel ceppo etnico come dei bibliotecari, è una pratica che non tocca questa branca dell’etnografia, liquida e in movimento continuo. La fiaba è la recrudescenza del sapere arcaico nelle ere feudali e moderne; il carattere misterico e iniziatico travestito da intrattenimento orale, propagatosi dal basso, orizzontalmente. E’ solo tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII che viene sottratta alla nebulosità della tradizione orale contadina, per essere stampata e codificata dai primissimi inconsapevoli antropologi dell’era moderna. Gli scritti di Charles Perrault e Giambattista Basile prima, le traduzioni de Le Mille e Una Notte e le raccolte dei Grimm poi, decretano le versioni “ufficiali” di novelle ora ancorate ad un contesto, una lingua e un periodo storico di riferimento. Dalla metà del diciannovesimo secolo, il successo della letteratura popolare e dei romanzi per l’infanzia spinge un numero sempre maggiore di autori a cimentarsi con la fiaba in toni autoriali, svincolando i racconti fantastici da matrici mitiche preesistenti; scrittori come Andersen e Collodi compiono un percorso a ritroso, dalla fiction verso la leggenda. Il pantheon dei personaggi folk e di quelli letterari si sovrappone. E arriva il cinema.Georges Méliès gira il primo Cenerentola della storia nel 1899. Quello tra fiaba e cinema è dunque un matrimonio combinato. Quest’ultima sembra fatta apposta per la macchina da presa: con il loro intreccio di reprimenda, rigurgiti neo-pagani e mai troppo velate personificazioni di pulsioni desideranti sessuali e omicide, le fiabe non aspettano altro che essere ripresentate al pubblico pruriginoso e vittoriano di inizio secolo. Con la nascita dello studio system il mercato si diversifica, ed è con Walt Disney che il racconto fiabesco diventa esclusiva dell’infanzia. Il fantastico si specializza: agli adulti il mito e la religione, L’Inferno e Cabiria; ai ragazzi, la fiaba cinematografica, ora definitivamente incarnata nel “Grimmverse” dalla Casa di Burbank. La sovrapposizione con l’immaginario Disney, fedele al dogma repressivo e benpensante del bambino come bambola asessuata, seppellisce le pulsioni sotto i colori primari dell’animazione, e aliena intere generazioni ad ogni forma di ambiguità nel racconto fiabesco (“Non è adatto a dei bambini”, si ama ripetere retrospettivamente di fronte ai testi per l’infanzia del passato). A rivelarne il rimosso, e oggettivizzarlo per la prima volta in immagini incarnate, non resta quindi che il cinema degli adulti. Anche e sopratutto, perché no, quello brutto. Un gioco che si può fare è  tracciare una piccola guida sulle fiabe horror a punti, magari di titoli più o meno laterali rispetto al canone classico; cercare come, tra le pieghe del mainstream, i classici del folklore rivivano dei loro significati originari grazie alle derive più spietatamente commerciali del cinema. Scarti dello sfruttamento intensivo dei trend, aborti figli del cinismo e del sensazionalismo di produttori senza vergogna. Dunque, bellissimi.

1. Biancaneve: Biancaneve nella foresta nera (USA, 1997)

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Se scegliamo di far coincidere la teogonia della fiaba cinematografica (o quantomeno il suo marcarsi nell’immaginario del ‘900) con i lungometraggi della Walt Disney, Biancaneve non può che essere il titolo di apertura. Racconto in realtà meno noto prima del lungometraggio del ’37, con più di una radice in comune con Rosaspina e la Bella addormentata, la versione del canone Grimm ripresenta i motivi classici di eredi reali abbandonati e cospirazioni nobiliari, in fondamentale ambientazione bavarese. Le variazioni sul tema si sprecano: sarebbe facile andare sul Suspiria argentiano, ma merita riscoperta anche questo cult televisivo dei tardi ’90. Make-up deforme e Sigourney Weaver strega, patina da C-movie e più di un’intuizione notevole: niente di meglio.

2. Cappuccetto Rosso: In compagnia dei lupi (GB, 1984)

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Quella di Cappuccetto Rosso è con ogni probabilità la più famosa tra le fiabe occidentali, oltre che la più universale. La versione conosciuta oggi è quella di Perrault, e anche in questo caso la crudezza rural-medievale degli eventi sembra invocare a gran voce una rilettura gore. Il tono favolistico la avvicina più alle fabulae degli antichi che al folklore dei racconti moderni, prestandosi dunque a interpretazioni molteplici: sessualità nascente, verginità, promiscuità… Inevitabile che la storia finisse per ibridarsi con il mito della licantropia, intuizione geniale del giovanissimo Neil Jordan; il suo In Compagnia dei Lupi, più che un adattamento, è un’analisi metanarrativa della striminzita fiaba, un piccolo grimorio dei suoi sottotesti e deviazioni. Un classico.

3. Hansel e Gretel: Hansel & Gretel (KR, 2007)

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Forse il terzo grande polo delle raccolte franco-tedesche, Hansel e Gretel coniuga l’ambientazione mitteleuropea con un bosco mitico più paranoico che mai, carico di mostri, assassini e cannibali pronti a fare scempio dell’incauta e fallibile gioventù contadina. La natura ultra-splatter e carica di tabù ne ha fatto un testo di difficile adattamento, all’infuori del revisionismo puro. Si sprecano infatti i rifacimenti horror della storia, paradossalmente forse maggiori in numero rispetto a quelli mirati ad un pubblico giovane. Il coreano Yim Pil-Sum ne offre una versione delirante, ribaltata nelle premesse e fuori controllo nei risultati. Famiglie di mostri in sfarzose ville coreane: per una maratona con Parasite.

4. Scarpette Rosse: The Red Shoes (KR, 2005)

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Fiaba, ma anche no: la nascente industria della letteratura di largo consumo spinge una serie di autori a confrontarsi con il romanzo per l’infanzia già da inizio ottocento. Le nuove fiabe “d’autore” riflettono il cambiamento di temi e ambientazioni; non più un medioevo simil-preistorico di violenza e barbarie, ma un non-tempo ameno, in cui agli spettri di stupro e macelleria si sostituiscono allegorie moderne, vicine alla sensibilità della nascente borghesia industriale. Campione assoluto di questa nuova generazione è il danese Hans Christian Andersen: il suo Scarpette Rosse è dunque un cupissimo apologo sui pericoli della mondanità, in una chiave puritano-protestante tipicamente nordeuropea. L’adattamento, ancora coreano, del 2005, probabilmente piacerebbe all’autore: c’è tutta la crudeltà necessaria, e anche di più.

5. La Sirenetta: The Lure (POL, 2015)

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Non si può prescindere da Walt Disney, e il gioco della rilettura fiabesca non può che essere il gioco della rilettura disneyniana. Più che del secondo grande classico di Andersen, il polacco The Lure del 2015 è infatti una parodia della Sirenetta animata; del suo stile, il suo umorismo, la sua lettura giovanilistica e Mtv della mesta tragedia danese. Il sorprendente e misconosciuto film di Agnieszka Smoczyńska fa rifornimento iconografico nel folklore di provenienza, ruba la rampa di lancio dallo scrittore e mette in scena un folle musical di canzoni, creature in fondo al mar e sottotesti orripilanti. Il tema è sempre il coming-of-age, stavolta fortemente eroticizzato, impresso a forza in un contesto di showbiz moderno.

6. Alice nel Paese delle Meraviglie: Fantasie di una tredicenne (CZ, 1970)

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Valgono o non valgono i romanzi? La risposta sarebbe no, ma l’immaginario collettivo non studia filologia. Alice nel paese delle meraviglie è più di una fiaba: è un testo quasi sacro, biblico, che ha superato il gioco metalinguistico di Lewis Carroll per imprimere la sua ombra più o meno direttamente su ogni forma di racconto fantastico venuto dopo. Pochi romanzi per l’infanzia possono vantare la stessa influenza, probabilmente nessuno; e i film da segnalare come adattamenti sono potenzialmente infiniti. Il più coerente è forse quello che, narrativamente parlando, lo è di meno: il capolavoro di Jaromil Jires del 1970, Valerie a týden divu ovvero Valerie and Her Week of Wonders, ovvero Fantasie di una tredicenne nello slancio pedo-softcore di una distribuzione italiana d’altri tempi. Il surrealismo linguistico di Carroll è il surrealismo visivo dell’ultima ondata della Novà Vlna cecoslovacca, quando Jaromil Jires e Vera Chytilova mollavano gli ormeggi godardiani dei lavori precedenti in direzione di sperimentazioni di montaggio ermetico-simboliste. Forse il film definitivo sul ciclo mestruale.

7. Pinocchio: Bad Pinocchio (USA, 1995)

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Non tutte le fiabe del canone occidentale trovano sbocco in geniali flussi di coscienza freudiani sul risveglio libidinale della sessualità preadolescente. Quasi nessuno; al netto dei lavori più ambiziosi e sperimentali, la storia della fiaba horror al cinema coincide con quella del monster movie, quella sotto-categoria figlia illegittima di Godzilla e King Kong e regina della stagione del direct to video; mostruosità ambiguamente promesse agli spettatori sulle copertine dei vhs, in realtà obbrobri da pochi secondi di screentime a fronte di lungometraggi al limite dell’amatoriale. Il Pinocchio del veterano Tenney, maestro di questa corrente, è più un exploitation di Chucky che un adattamento di Collodi, riproposizione scarna e a costo zero di un successo recente con poco o nulla di personale da aggiungere. Un cult, ovviamente.

8. Tremotino: Rumpelstilstkin (USA, 1995)

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La fiaba di Tremotino non gode in Italia della stessa fama del mondo anglosassone, e questo spiega il moderato seguito cult del film di Mark Jones rispetto al ben più tragico Bad Pinocchio. In realtà, della fiaba del nano dal nome impronunciabile e misterioso, nel film del 1995 non resta nulla: come molti adattamenti degli affollati ’90, il film incolla un mostro improbabile e visivamente sciatto in un un contesto moderno, per ottanta minuti di convulse sottotrame omicide. Il Tremotino cinematografico di Jones è molto probabilmente un collage di scene scartate dalla ben più nota saga di Leprechaun, dello stesso autore; stavolta c’è l’ironia, lasciapassare che tutto concede.

9. L’Omino di Pan di Zenzero: Gingerdead Man (USA, 2005)

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Come il suo collega germanico, anche il pupazzetto di zenzero della filastrocca inglese arriva in Italia come difficoltoso adattamento di una trovata linguistica intraducibile. Il Gingerbread (anzi, –dead) Man del 2005 è l’apoteosi e dunque abisso totale del discorso del monster movie applicato alla fiaba. Una lavoro improponibile, concettualmente folle, con un piede e mezzo in direzione dell’idiozia consapevole Asylum, piuttosto che verso la sincera passione verso i mostriciattoli dei racconti popolari mostrata da Mark Jones. Lo sgorbio del film di Charles Band è una bambolina inguardabile, demente e senza nessun tipo di qualità redentiva; ovviamente contornato da tre seguiti e fandom cult. Il colpevole è Shrek, poco ma sicuro.

10. La Bella Addormentata: The Curse of Sleeping Beauty (USA, 2016)

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Impossibile chiudere senza citare l’ondata più recente di fiabe cinematografiche. La Disney si muove, e ancora una volta il mondo senza scrupoli dell’exploitation segue a rimorchio. Con l’Alice burtoniano si apre in un certo senso l’era del post-post-modernismo; a essere rielaborati sono ormai direttamente i simulacri, mentre il prototipo originale si perde nella foresta degli adattamenti. Se i rivedibili live action dedicati al classici disneyniani rappresentano il rifacimento-film di un rifacimento-animato di fiabe scritte, a loro volta rifacimento-letterario di racconti orali… allora le parodie di questi inaugurano un discorso di “rifacimento al cubo”, dalle implicazioni ormai inafferrabili se non nell’ottica del relativismo ironico post-tutto. Dall’Hansel e Gretel a caccia di streghe fino ai Biancaneve brutal fantasy della Universal, la fiaba è ormai tornata al ruolo di struttura teorica da cui era partita, prima dei copyright e della canonizzazione. La chiudiamo allora con il più scalcinato dei tentativi, il Curse of Sleeping Beauty del 2016: sarebbe ingiusto escludere la Bella Addormentata.