Fede Alvarez

A colloquio con il regista di Man in the Dark
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Man in the Dark è il tuo secondo lungometraggio a tre anni di distanza dall’ottimo successo di La casa. Cosa distingue i due film, considerata la location in comune?

Man in the Dark è più una pellicola di suspense mentre La casa faceva leva sullo shock, il sangue e la provocazione costante. È un ritorno al genere ai tempi di Hitchcock, dove l’elemento fondamentale era la tensione, derivante da ciò che gli spettatori pensavano sarebbe potuto accadere, o a chi sarebbe morto alla fine del film… Nel mio caso è la storia di tre giovani che non hanno soldi, con famiglie molto problematiche, che cercano di racimolare sufficiente denaro per scappare dalla loro città e crearsi una vita propria. E per riuscirci rubano nelle case. Quello che succede è che vanno a rubare nella casa sbagliata, convinti che, essendoci solamente un vecchio cieco e solitario, e che la casa si trovi in una zona abbandonata, lontano dal centro cittadino e senza polizia, tutto sia facile, però… si rendono conto ben presto che è molto più difficile di quello che credevano.

Hai citato Hitchcock. Ho notato che in alcune inquadrature vengono ripresi dei particolari apparentemente inutili, ma che poi ritornano. Fanno parte dell’omaggio al Maestro?

Esattamente. è un modo di coinvolgere gli spettatori. Ho mostrato il martello, la campana, la porta sprangata, oppure, attraversando la casa con la cinepresa, lo spazio percorribile che c’è tra le stanze della casa. Questi stessi elementi tornano successivamente e gli spettatori lo sanno. Questo è quello che considero buona suspense, perché a vedere il particolare del martello, uno si fissa.

Facciamo un lungo passo indietro. Come nasce il tuo amore per il cinema? E in particolare per il cinema horror e di fantascienza?

Nasce grazie a mio padre, che era molto fanatico di cinema in generale e soprattutto di quello di Hollywood. Io da bambino guardavo più film che cartoni animati… Credo che il cinema horror sia stato quasi per tutti i ragazzi una fascinazione normale. Quando hai dieci o undici anni, è un cinema proibito, che non devi guardare. Uno va in videoteca a noleggiare un film e sa che c’è anche una sezione, là dentro, di film del terrore, e non deve andarci. Se ripenso a quel tempo, a qual era l’emozione originale… era questa, cioè il senso del proibito. Ricordo, in particolare, che il primo horror che vidi era uno che aveva noleggiato mio padre: La mano di Oliver Stone… Ok, un film piuttosto brutto (ride)… però in quel momento aveva tutti gli elementi per affascinare un ragazzino della mia età, visto che avrò avuto sì e no dieci anni. Nel film un professore ha una mano tagliata, la mano torna e uccide tutti… C’era tanta violenza, sangue e sesso, quindi cose che chiaramente sono proibite per i minori, e non erano presenti in altre pellicole che avevo visto fino a quel momento.

Conosci il cinema di genere italiano?

Sì, certo che sì!

Qualche titolo?

(ride). Non ho un film favorito in particolare. Anche perché ci sono più film imprescindibili.

Ci fai un piccolo sunto dei tuoi primi lavori? Ad esempio Los pocillos

Sono i miei lavori “in genesis”. Ho iniziato a filmare quando ero molto giovane, a 17 o 18 anni. Con gli amici realizzavo film in video, cortometraggi. Però Los pocillos è stato uno dei miei primi lavori che ho fatto alla scuola di cinema. Los pocillos è un racconto molto famoso di Mario Benedetti, con protagonista un cieco e una storia po’ thriller (ride). Solo adesso mi accorgo di qualche similitudine con Man in the Dark… Però, adesso che abbiamo parlato di La casa e Man in the Dark, mi hai fatto ricordare che su YouTube c’è un altro mio cortometraggio, El cojonudo, un film molto bizzarro e strano che citava Jean-Pierre Jeunet e il cinema di Alex de la Iglesias.

Ricorda anche Rodriguez e Tarantino.

Anche, è vero. Sono le influenze del miglior cinema di genere con cui sono cresciuto negli anni ’90.

Ataque de panico! è il corto che ti ha aperto le porte di Hollywood. Sembra il trailer di un film. 

Più che un trailer… è difficile da spiegare. Quando ho fatto Ataque de panico! e l’ho caricato su YouTube, YouTube aveva solo quattro anni, quindi era una novità. In quel periodo nacque il “video di YouTube”, un genere nuovo, perché non erano né video né corti, ma un genere a sé. Allora c’erano molti video sul crollo delle Torri Gemelle. La gente prendeva un tot d’immagini amatoriali, le montava con una musica e le caricava su YouTube. Nessuno era veramente cosciente di quello che stava nascendo. Era una nuova forma di giornalismo, ultra indipendente. Ataque de panico! evocava questo concetto attraverso la fantasia, come se improvvisamente ci fosse un attacco di robot giganti in una città.

La casa, il tuo primo lungometraggio, è stato un esordio rischioso. Molti fan dell’originale si sono infuriati. Come ti sei sentito?

Non ero tranquillo (ride). Era un’esercitazione, ero cosciente che stavo cominciando una carriera cinematografica. La mia fortuna è stata fissarmi con l’idea che non stavo facendo un remake. Da subito si decise che non ci sarebbe stato Ash, e nemmeno un nuovo Ash. Sarebbe stato un sacrilegio. L’importante era prendere alcuni elementi dell’originale e fare una nuova versione, qualcosa in grado di evocare e far ricordare alla gente perché La casa era eccitante. Se La mano di Oliver Stone mi ha introdottto all’horror, La casa è stato il primo a sconvolgermi. è il film che mi ha fatto scoprire la paura e l’esistenza della fantasia. E io non ho fatto altro che cercare di ricostruire il film attraverso il ricordo e le emozioni che mi aveva trasmesso. Ciò che è rimasto nella mia versione rispecchia ciò che è rimasto dentro di me. Quando mi hanno proposto La casa ero super emozionato. Devo ringraziare Ataque di panico! Volevano un regista giovane, abituato a filmare con pochi soldi e che aveva appreso la tecnica filmando nelle strade, che poi è anche la scuola di Sam Raimi.

So che hai realizzato anche un episodio del serial From Dusk Till Dawn. Com’è andata?

Molto bene. M’interessava sperimentare qualcosa di questo tipo. Tutto nacque perché abbiamo girato La casa ad Austin, dove vive Robert Rodriguez. Lui mi ha invitato a realizzare un episodio di From Dusk Till Dawn (l’episodio in questione è La conquista, ndr), che è anche il titolo di un film che m’incantò molto negli anni Novanta. Mi diede l’opportunità di girare nel Titty Twister, il bar dei vampiri, e filmare una storia di vampiri… Impossibile dire di no. Lavorare per la televisione è molto interessante. Tutto deve essere molto rapido, e tutto si filma in poco tempo. Ho imparato molto.

Man in the Dark è nuovamente scritto insieme a Rodo Sayagués: quando nacque l’idea? 

Alla fine della lavorazione di La casa. La prima idea è stata di fare un home invasion al contrario. Avevamo ascoltato molte storie di questo tipo, in Uruguay, che ci sorpresero per quello che realmente accade quando dei ladri entrano in una casa. Spesso ci scappa il morto. Molti pensano che i ladri entrino in casa e non succeda nulla, invece ci può essere un imprevisto. Molte volte i ladri sono dei giovani senza esperienza, che non hanno i nervi saldi. Questo mi sembrava un aspetto molto interessante. Era un’idea che poteva esplodere bene, così abbiamo creato una home invasion particolare. Il personaggio del cieco è nato per caso. Bisognava creare un personaggio che fosse interessante e un cieco può creare situazioni uniche.

Stephen Lang è una sorpresa e allo stesso tempo una conferma, ma anche i giovani attori, sono molto in parte. Il cast è una tua scelta?

Sì. Nei miei film la produzione non sceglie gli attori e non mi dice come filmare. Anche La casa, l’ho scritto e l’ho diretto io in piena libertà. Nel caso di Man in the Dark sono anche il produttore per cui ho avuto il totale controllo. Nessun regista dovrebbe lasciare che sia la produzione a scegliere il cast… sarebbe terribile (ride).

Alcune situazioni di Man in the Dark ricordano La casa nera di Wes Craven. è un omaggio?

Un po’… Sono un fan di Wes Craven e la sua morte è stata molto triste. Anche Craven citava a sua volta. Nei suoi film c’è molto di Polanski, Hitchcock. Però a livello di storia, no, non c’è nessun omaggio. Vidi La casa nera che avevo tredici o quattordici anni, e non mi rimase impresso. Oltre a La casa nera c’è chi ci rivede Gli occhi della notte, ma non ho visto questo film fino alla fine della realizzazione di Man in the Dark. Quando ho raccontato a mia madre quello che stavo scrivendo, lei mi disse: «Sembra quel film con Audrey Hepburn».

Ho letto che tra i tuoi film preferiti c’è anche Frankenstein Junior di Mel Brooks.

Sì, è la verità (ride). Sono quei film di cui ti parlavo prima. Da bambino non mi rendevo conto che era una commedia, mi sembrava più un film horror, perché non capivo le battute in ingles.

Progetti per il futuro?

Stiamo scrivendo molte progetti, tra cui Monster Apocalypse, una specie di Apocalypse Now in un mondo di mostri, per la Warner. Poi ci sono un paio di serie per la tv, ma sono ancora top secret. l