Fargo – Terza stagione

Un inizio volutamente aggrovigliato e confuso

La visione del primo episodio di Fargo – Terza stagione si presenta inizialmente come una sorta di brainstorming in cui lo spettatore viene sottoposto a tante scene belle, ironiche, sempre girate con tecniche alternative (anche videocamera capovolta), ma che  appaiono un tantino slegate e non  danno subito l’idea di dove si voglia andare a parare. Ma la fiducia nella suspense e il desiderio di venire a capo della vicenda da parte del pubblico di Cohen, Hawley & co. restano intatti, anzi crescono. E nonostante la dura prova a cui  la produzione sottopone l’audience, quasi a sfidarla con un puzzle tanto pittoresco quanto complesso da ricomporre, alla fine i conti tornano. E torna l’amore per questo show che ancora una volta non delude e che riesce a gettare nel pilot i semi di un albero che siamo abbastanza certi di veder  crescere e svilupparsi in maniera tanto intricata quanto avvincente. Forse la  scena iniziale ambientata nella Berlino Est del 1988, in cui sulle note di Kukushka eseguita dal Coro dei Cosacchi Urali (le scelte musicali sono sempre ricercate e accuratissime) un prigioniero viene interrogato sulla morte misteriosa di una donna, non sembra avere ancora una sua collocazione, un po’ come era accaduto con la scena del Massacro di Sioux Falls nella seconda stagione; ma tutto quello che segue, ambientato nel Minnesota nell’anno 2010, sono eventi che si intrecciano pian piano con il ritmo sofferto e delicato simile a quello della realizzazione di  un gioiello prezioso.

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Ed ecco apparire  i fratelli Stussy, Emmit e Ray (lode al magnifico Ewan McGregor in questo doppio ruolo, un  tantino più a suo agio nelle vesti del minore e meno fortunato Ray), alla festa per la celebrazione dei 25 anni di matrimonio del maggiore e belloccio Emmit, un realizzato magnate immobiliare, uomo affascinante e sicuro di sé, sempre affiancato dal suo aiutante a braccio destro Sy (Michael Stuhlbarg); è presto chiaro che il povero Ray è solito rivolgersi al fratello per risolvere grane di ordine economico, e lo fa con rabbia, in nome di un mal interpretato testamento di famiglia che all’epoca ha fatto sì che Emmit ricevesse una collezione di preziosi francobolli e Ray una Corvette rossa con la quale va ancora in giro. Ma adesso Ray è davvero incazzato nero, accecato dall’amore per la bella e sexy fidanzata Nikki (Mary Elizabeth Winstead), donna seducente e furba, nota alle autorità e al momento in libertà vigilata, alla quale vuole assolutamente regalare un prezioso  anello di fidanzamento per il cui acquisto ha bisogno di soldi. Ma Emmit risponde picche perché per la sua azienda il momento è delicato (presto lo scopriremo anche in balia di una banda di strozzini).

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Così i due innamorati, un po’ la bella e bestia nelle apparenze, date le sembianze del calvo e panciuto Ray, decidono di darsi al gioco d’azzardo partecipando a un torneo regionale di bridge in cui si classificano terzi (la scena del casinò ha il commento musicale di Priseincolinensinainciusol di Celentano, che ci sta da dio) ricevendo un bel premio in denaro; sembra fatta, hanno finalmente soldi per regalarsi anello e forse anche altro. Ma Ray, senza dirlo alla sua amata, ha ingaggiato una sua vecchia conoscenza criminale per tentare il furto del francobollo più prezioso a casa del fratello Emmit ; il non proprio sveglio malvivente, durante il viaggio in auto per raggiungere la destinazione, a causa delle sue distrazioni radiofoniche (esilaranti programmi serali nazional-esistenziali) smarrisce l’indirizzo e, nonostante gli sforz,i giunge alla casa sbagliata, quella del capo della polizia Carrie Coon (ancora una cazzuta poliziotta, un marchio di fabbrica, questa volta interpretata  dalla brava Gloria Burgle); ci scappa il morto , il malcapitato subirà per questo suo errore una sorte tanto macabra quanto umoristica e qui il cerchio si chiude, nel senso che finalmente la vicenda acquista una sua unitarietà e tutte le tessere del mosaico cominciano a trovare la loro collocazione.

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Anche questa di Fargo – Terza stagione, come accadeva nelle  precedenti, viene annunciata dai titoli come una “true story”.Vera? Certamente no, ma di sicuro la dichiarazione è un modo per gli autori di comunicarci quanto queste vicende si colleghino alla realtà dell’umanità contemporanea, tutta incentrata sui propri casi, sulle proprie piccole storie, e con poco spazio per  il prossimo, con il quale si trova però, volente o nolente, ad incontrarsi o meglio, a scontrarsi, in nome di quella legge così cara al gioco del Bridge: la legge dei posti vacanti (che dà titolo all’episodio) che determina il calcolo delle probabilità della presenza di una carta in una determinata posizione e che, riportata alla vita di tutti i giorni, fa sì che spesso le  persona sbagliate nel posto sbagliato diventino i motori dei più complessi intrecci che si possano  immaginare.