Drew Goddard: di mostri, alieni e altre stranezze

Da Buffy l’ammazzavampiri a Quella casa nel bosco
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Prendiamo il nord est degli Stati Uniti, giusto per fare un esempio. Innsmouth, la Miskatonic University, metteteci ovviamente Providence con la casa de L’abitatore del buio e succede l’inevitabile, per chi abbia letto Lovecraft. Che le pacifiche e bucoliche campagne del New England e del Rhode Island assumono ai nostri occhi contorni inquietanti e macabri. Inevitabile contraccolpo della letteratura. Lo stesso vale per il Maine di Stephen King e le sue città immaginarie, Derry in testa, oppure, più vicino a noi, la dolce campagna inglese che dai tempi di Montague Rhodes James e Conan Doyle nasconde nelle residenze d’epoca o nelle brughiere nebbiose più segreti e misteri di quanto mai ci saremmo aspettati. Se poi in luoghi come questi ci nasci, il contagio è inevitabile.

Drew Goddard in New Mexico ci è nato e cresciuto. A Los Alamos, per la precisione. Avete presente? Laboratori segreti, basi alieni sotterranee, abduction, mutilazioni animali, avvistamenti di chupacabras. Un concentrato di cultura pop dedicata al mistero. Questa volta misteri intessuti nella trama del reale e declinati, se volete, in versione post-moderna di antichi miti e paure ancestrali. Se poi cercate il mistero dei misteri, che è diventato un business non da poco, prendete da Los Alamos la US Highway 285, direzione sud. E in poco meno di quattro ore vi trovate a Roswell. Mica male come mappa dell’ignoto, non trovate? Se i genius loci ancora sopravvivono da qualche parte, probabile che abbiano deciso di accettare un compromesso con la cultura mainstream e affidare le loro storie a uno del posto.

Di Buffy l’ammazzavampiri, serie di grande influenza sia per gli spettatori che per i vari sceneggiatori che se ne sono occupati, Drew Goddard ha scritto cinque episodi delle settima stagione. Siamo tra il 2002 e il 2003 e subito dopo lo ritroviamo a scrivere alcuni episodi dello spin off Angel, versione matura, dalle atmosfere più macabre e cupe rispetto alla serie madre. Da cui prende le mosse a partire dalla terza stagione, quando Angel decide di abbandonare l’esistenza adolescenziale di Sunnydale e la sua amata Buffy per proseguire nella ricerca di una redenzione per la sua anima dannata. Vampiri, mostri, streghe e tutto un repertorio weird che costituirà il filo conduttore della poetica di Goddard. E infatti il regista, sceneggiatore e produttore statunitense sta solo scaldando i muscoli.

Collabora successivamente con il team di Alias creata da quel mago del mistero che è J.J. Abrams, figura chiave nel percorso artistico di Goddard con il quale a più riprese lo sceneggiatore di Los Alamos, che nel frattempo si è trasferito a Los Angeles, lavorerà. La serie TV è un successo, più volte candidata ai Golden Globe e agli Emmy Awards con la sua indimenticabile protagonista, Jennifer Garner, alias Sydney Bristow, che ha ricevuto nel 2002 il premio come miglior attrice in una serie drammatica. Lo spazio in cui si sono mossi gli sceneggiatori è a cavallo tra la spy story e la fantascienza, con la Garner nel ruolo di una sexy e tormentata agente di un servizio di spionaggio super segreto.

La sinergia tra Goddard e Abrams non finisce qui, ma si ripete a breve distanza di tempo, in un prodotto che ha trasformato radicalmente il mondo della serialità televisiva. Uno spartiacque definitivo, grazie al quale le serie TV non sarebbero più state le stesse. Trasformate definitivamente in un prodotto crossmediale capace di invadere in maniera pervasiva la nostra realtà: passando senza troppa difficoltà da un media all’altro, con una naturalezza per primi ha sorpreso i suoi stessi creatori. Lost fu creata ancora una volta da J.J. Ambrams che dopo aver dato il là alla serie ed essere ritornato ad occuparsene nello strepitoso primo episodio della terza stagione, ha lasciato che fossero altri a proseguire il lavoro. Tra questi troviamo proprio Drew Goddard che si è occupato di un totale di otto episodi divisi tra la prima, la terza e la quarta stagione. Si stava facendo i muscoli, come abbiamo detto. Chiamiamola pure gavetta, ai massimi livelli, certo, ma necessaria nel settore se vuoi puntare a far sentire la tua voce e sviluppare temi caratteristici che poi ti definiranno come sceneggiatore e regista.

Vi ricordate da dove eravamo partiti? Mostri, alieni, basi segrete e tutto il repertorio pop di complotti e misteri. Non sorprende allora ritrovare a distanza di meno di un anno, siamo nel 2008, Drew Goddard alla prese con un progetto prodotto da J.J. Abrams e diretto da Matt Reeves. Progetto che nella sua strategia di marketing si avvale di quel meccanismo virale capace di far travalicare alla pellicola la tradizionale separazione tra finzione e realtà. Di Cloverfield, Drew Goddard firma sia il soggetto che la sceneggiatura. Riprese con telecamera amatoriale, il cui video, come è chiaro fin dai primi fotogrammi, è materiale top secret del governo degli Stati Uniti d’America. Invasione aliena dove facciamo fatica a vedere i mostri giganteschi che devastano New York e dove tutto si gioca sul filo sottile dell’inquietudine generata dall’ignoto. Da ciò che non riusciamo a capire, in un escalation di orrore e paura che spreme tanto i personaggi quanto gli spettatori.

E qui siamo quasi arrivati a un punto chiave del percorso narrativo di Goddard. Ci sono gli alieni, i mostri e un repertorio di terrore che fa dell’ignoto, dello sconosciuto la sua cifra stilistica. Perché già di per sé tutto ciò che non comprendiamo è in grado di produrre paura. Gli archetipi del mare e dell’oceano con tutto ciò che agisce nelle sua profondità, ancor una volta Lovecraft insegna, si sono trasformati oggi in un orrore popolare modulato nelle creepypasta, scavato nei tunnel dell’Area 51, atteso nello sbarco imprevedibile di alieni nel bel mezzo di Coney Island come nel film Cloverfield.

Oppure, e qui sta la maturità di Goddard regista, in un universo narrativo che abusa dei topos tipici del cinema horror, mettendoli in scena apertamente. Stilemi messi in campo con tanta abilità da generare senso di orrore, repulsione, humor, rabbia e desiderio di vendetta come accade in Quella casa nel bosco. È l’horror che non ci aspetteremmo, ma di cui avevamo tremendamente bisogno. Senza spoiler, suggeriamo di vedere il film per tutto ciò che rappresenta per un amante del cinema di genere. Visto che c’è tutto e ancora di più in una lettura della cinematografia dell’orrore che non risparmia nessuno. Dalle seduzioni d’antan di Non aprite quella porta, alle rivisitazioni di Scream passando a una riflessione che non risparmia neppure gli Antichi che da Lovecraft in poi hanno rappresentato un topos della letteratura dell’orrore.

È indubbio che al regista piaccia mettere i suoi personaggi sotto pressione come del resto accade nella sua ultima fatica:  7 Sconosciuti a El Royale. Un luogo di passaggio che nasconde più di un segreto, proprio come la precedente casa nel bosco e dove niente è come sembra. Neppure le relazioni tra i protagonisti, ognuno dei quali con una storia da raccontare che ne rivela l’anima intima e tormentata. Un luogo di frontiera, dicevamo, a cavallo tra due Stati, la California da un lato e il Nevada dall’altro. Emblematico in questo caso il suo casinò, lato Nevada, ovvio, ma non aspettatevi di certo le ambientazioni digitali di piattaforme ludiche come SportPesa Casino dove la frontiera è tra il passato e il futuro del gaming; spazio virtuale in cui i tavoli del blackjack o quelli della roulette si trasformano in ambientazioni immersive interattive. Nella pellicola diretta da Drew Goddard la frontiera è spaziale, liminare; ci troviamo su una soglia che prelude all’ignoto; soglia che molto opportunamente appare ben disegnata sulla mappa da una bella linea rossa che divide in due l’hotel Royale: da un lato la California e dall’altro il Nevada. Due mondi e due identità. Una dicotomia che riflette al meglio la personalità di ogni personaggio del film, cattivi a parte forse, che cattivi sono e cattivi restano.

La pressione esercitata sui personaggi sembra rivolgersi a quelli “buoni” che poi non sono totalmente buoni, ma si sforzano di esserlo in un mondo che ci mette sempre di fronte a delle scelte. Come nel caso di Quella casa nel bosco, dove Goddard pone i protagonisti di fronte a delle decisioni non da poco, si tratta di salvare il mondo, dopotutto e anche in quel caso la scelta non è mai scontata. Perché in fondo, come sembra suggerirci il regista e sceneggiatore statunitense, sono proprio le nostre scelte che ci definiscono come esseri umani.