Dead set: gli zombi siamo noi

Una sorprendente mini-serie britannica usa il set del Grande Fratello con le stesse valenze con cui George A. Romero usava il centro commerciale in Zombi. Godimento sicuro...
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I morti viventi siamo noi. Oramai l’abbiamo capito, è un concetto che è diventato quasi un dogma, e un po’ ha pure rotto le balle. E chissà a quanti, in tutto il globo terracqueo, vedendo in televisione Il Grande Fratello e sentendo del suo pazzesco successo, è venuto in mente di aggiornare questo dogma applicandolo ai milioni di (presunti?) decerebrati che passano il tempo a osservare le triste gesta di un gruppo di (presunti?) decerebrati, chiusi in una casa e ripresi 24 ore su 24, nella speranza che scopino come ricci o si menino come ubriaconi al pub. Sicuramente tantissimi. Uno solo però l’ha fatto sul serio, e di questo gliene saremo grati negli anni a venire. Stiamo parlando di Charlie Brooker, sceneggiatore/produttore inglese autore di Dead Set, che porta l’apocalisse zombi direttamente all’interno della “casa”. È la sera dell’eliminazione al Big Brother inglese e l’eccitazione è alle stelle, nella casa, tra la folla di fan ai cancelli, nel backstage, dove il produttore Patrick, tamarro e stronzo come pochi, comanda a bacchetta tecnici e assistenti. Una di questi, Kelly, ha la testa fra le nuvole per aver tradito il fidanzato con un giovane e piacente collega. Mentre arrivano sparute notizie di disordini in città, lo show inizia, e tutto va bene fino al primo stacco pubblicitario: i tafferugli di prima erano causati da morti tornati in vita, iperveloci e affamati di carne umana, che ora sono alle porte degli studi, tra la folla. Segue carneficina, che dall’esterno si riversa rapidamente negli studi. Kelly, tra i pochi sopravvissuti con Patrick, è costretta a barricarsi nella casa assieme ai concorrenti rimasti: Joplin, laido pervertito saccente; Pippa, tettona rincoglionita; Angel, cicciona di colore; Marky, macho imbecille; Grayson, infermiere gay; Space, ragazzo mulatto delle periferie; Veronica, milfona bionda che tutti nella casa vorrebbero incaprettarsi…

Trasmessa dal canale britannico E4 tra il 27 e il 31 ottobre 2008, sei settimane dopo la conclusione del vero Big Brother inglese dello stesso anno (in onda sullo stesso canale), Dead Set è una mini serie di cinque episodi, il pilot di 45 minuti, il resto di 24. In tutto fanno 141 minuti, un film in pratica, più che una serie, che dopo la messa in onda episodica si può (anzi, una volta iniziato si vuole) vedere tutto d’un fiato. E non è l’unica particolarità che fa pensare a Dead Set come a un film: certe situazioni, soprattutto per chi come noi italioti è abituato alle luci smarmellate delle intercambiabili agiografie di preti e sbirri dove le parolacce non esistono, sono decisamente forti per la messa in onda, senza parlare poi dell’aspetto splatter, che qui è curatissimo e strabordante. Anche i personaggi, i cui sceneggiatori possono di solito contare sull’elevato minutaggio di una stagione per sviluppare complesse psicologie, qui si piegano alla rapidità del formato, tratteggiandoli a furia di stereotipi. Non è un male, ma una scelta volontaria: Brooker, acutamente, altro non fa che prendere ciò che offre il Big Brother e aggiungerci dei cadaveri ambulanti (per farla semplice). Cos’è che offre? Nelle sue intenzioni seriose (ah ah ah), voleva essere uno sguardo critico sull’Uomo della società contemporanea (spesso tirando in ballo Zavattini che ormai son anni che si sta rigirando nella tomba), ma lo fa reclutando una serie di buffoni scelti appositamente a ricoprire un ruolo prestabilito in base alle statistiche, credendo che questo basti a offrire una visione totale dell’eterogenia della società. Stronzate, of course, dato che fin da subito è stato l’aspetto voyeuristico e dello scandalo ricercato a farla da padrone, rendendo la visione di Il Grande Fratello di gran lunga più terrorizzante di un qualsiasi horror, e la gente che lo segue molto più inquietante di un qualsiasi serial killer, vampiro o mostro sanguinario from outer space.

Praticamente, tutto il background di critica sociale tipico delle migliori produzioni zombi (e non) era già pronto e servito. La cosa è talmente lampante che Booker capisce che prendersi troppo sul serio sarebbe stato controproducente, così da una parte presenta la casa come l’azzeccatissimo e seriosissimo aggiornamento agli anni 2000 del centro commerciale di Romero, e dall’altra ci ride sopra. Non a caso fa dire a Joplin la stessa, celebre frase di Zombi: osservando i morti viventi abbarbicarsi sulle recinzioni della casa, commenta con «This was like a temple for them». Al che, gli altri lo guardano e lo mandano a cagare. Geniale, sottilmente geniale. Lo stesso per il resto di Dead Set, che dopo il pilot diventa un rapido susseguirsi di situazioni tipo di ogni apocalisse zombesca vista fino ad allora: dalle strategie di sopravvivenza alla pericolose trasferte in cerca di cibo e medicine; dallo scontro delle varie personalità dei sopravvissuti agli sbirri che non proteggono ma minacciano, e via elencando. Eppure su tutto aleggia un velo di ironia (i cammei dei veri concorrenti, la reale presentatrice Davina McCall che si fa zombificare e poi magna budella – ve la vedete la Marcuzzi fare una roba del genere?), piccole trovate registiche lanciate qua e là (lo zombi ipnotizzato dallo schermo televisivo, l’inquietante immagine finale) e tanto, tanto gore non digitale, un festival dei crani sconquassati e delle interiora esposte. Non tutto è perfetto, ovvio, certe cosette infastidiscono, tipo la costante macchina a mano traballante, o gli zombi che corrono manco fossero i figli di Flash, ma porca puttana, ce ne fossero di più di prodotti del genere.