Bruceploitation: i cloni di Bruce Lee

Alcuni oscuri film con i cloni di Bruce Lee, dove c’entrarono gli italiani
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Finché non ci si affonda le mani, non si può immaginare che razza di serbatoio di ricerca, per uno che ama i misteri e ama, soprattutto, cercare di scioglierli, sia quello offerto dalla bruceploitation; cioé il ventaglio di film con protagonisti i cloni di Bruce LeeBruce LeLiLeungLea, eccetera. Il tema non parrebbe incastrare nulla con il bis italiano. Invece c’entra eccome. Way of the Dragon (L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente) fu il film che legò geograficamente il nostro Paese alla bruceploitation, canonizzando la tappa italiana da parte dei bio-pic, le pellicole che raccontavano la vita di Lee intersecando realtà e fantasia. In Bruce Lee supercampione (Bruce Lee True Story), del 1976, scritto e diretto da Ng See Yuen, con Ho Chung Dao alias Bruce Li, c’è una sezione di film, che ripercorre i giorni in cui il vero Bruce lavorava a L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente, ambientata a Roma. Nessuno degli attori occidentali che compaiono in questa parte è noto o rintracciabile, tranne la bella Roberta Ciappi, che abbiamo scoperto essere la Roberta Ciappi oggi a capo di una importante agenzia di pubbliche relazioni di Milano. La quale, tuttavia e purtroppo, interpellata non risponde. Lei potrebbe forse svelarci qualcosa sul misterioso Mario Viediano, che nel film interpreta il ruolo di suo padre, un boss mafioso. E potrebbe dirci se le scene romane le girò davvero Ng See Yuen, oppure Bruce Li o qualcun altro, magari italiano, come si vocifera.  

Il Colosseo come moderna arena di combattimento a uso dei “marzialisti”campeggia, fin dal poster del film, in Bruce Lee vive ancora, pubblicato in dvd italiano dalla Minerva in una versione differente rispetto a quella che finora si conosceva (vhs Avo), con un inizio alternativo e molte scene di sesso (soft). La sua produzione risale al 1981/‘82, è girato tra Hong Kong, Parigi e Roma, e propone un bel mazzetto di enigmi, più o meno come tutti i film al cui timone sedeva Dick RandallBruce Strikes Back unisce il produttore girovago (con la sua celeberrima Spectacular Trading Co) al francese André Koob (Groupe 3) e a Jean Marie Pallardy (Films J. M. P.) nel comune intento di sfruttare uno dei cloni più famosi (in Occidente) di Lee, Bruce Le. Ma chi diresse il film – che ha scene nella stessa villa romana del marito di Silvana Mangano in cui di Leo ambienterà la casa-zoo di Henry Silva in Killer vs Killers)? Varie fonti ripartiscono la regia tra Koob, lo stesso Bruce Le per le scene di combattimento, Pallardy – che compare anche in veste di attore, come Koob, del resto – e infine il fantomatico Joseph Velasco. Una voce che girava era che ci avesse messo mano Luigi Batzella. E non sarebbe stato un nome inverosimile, perché aveva già collaborato – non è una nostra illazione, perché ce lo dice Batzella stesso – a un altro kung fu-movie prodotto da Randall: La sfida del Tigre (Challenge of the Tiger), nel 1980. Senonché, le testimonianze sia di Koob, sia di Pallardy tagliano la testa al toro e negano la presenza di qualsivoglia regista italiano sul set, anche per tutto ciò che fu girato a Roma. La sequenza finale, con la lotta all’interno del Colosseo – come nemmeno il vero Bruce era stato in grado di fare – la realizzò, ad esempio, Pallardy, ottenendo i permessi semplicemente con qualche banconota allungata ai custodi.

E chi ha scritto la sceneggiatura di Bruce Lee vive ancora? Qualche risorsa in rete dà il nome di Kin Lung Siu Cho, ma esiste un libro pubblicato dalle edizioni Mediterranee nel 1982, a firma di Ken Dale, intitolato Bruce Lee vive ancora – Tecniche segrete di kung fu, che contiene il soggetto del film sostenendo di averlo recuperato da carte segrete di proprietà di Bruce Lee stesso. Ovviamente una bufala, che va tuttavia ad aggiungersi allo status un po’ nebuloso di tutta quanta l’operazione e che contribuisce ad accrescerne, di conseguenza, l’attrattività. Non è finita. La Spectacular Trading (che ufficialmente risultava registrata a Hong Kong, ma trescava tra l’Italia, la Francia e l’Inghilterra) era impegnata anche su un altro fronte, mentre produceva Bruce Lee vive ancora (nel quale Randall stesso recita in un ruolo di spessore e così pure sua moglie, Corliss, che usa il pazzesco pseudo Chick Norris): il film girato contemporaneamente si intitolava Pensieri morbosi, per la regia di Jacques Régis (Hort), ed era una commedia erotica- hard.

Altro film, altro punto di domanda: Bruce Lee Fight Back From The Grave, aka Amelika bangmungaeg  traducibile dal coreano come “Visitors in America”. La produzione figura appunto come coreana (la Hap Dong Films Co., Ltd) con interventi hongkonghesi, anche se il film è girato tutto quanto a Los Angeles. Nel 1976 qualcuno si inventò un nuovo clone di Bruce Lee nella persona di Jun Chong, lo battezzò Bruce K. L. Lea (il K.L. non si sa cosa significhi) e gli imbastì attorno il personaggio di un esperto di arti marziali, di nome Wolg Han, che giunge dalla Corea in America per incontrare il suo amico e maestro Go Hok Hung e ne apprende invece la tragica morte, apparentemente per suicidio: anche se le cose stanno in maniera ben diversa. La trama del film, che è questa, costituisce già un enigma: uno sfracello di fonti ne riporta infatti un’altra che parrebbe più consona al titolo: Bruce Lee risorge dalla tomba e tramite un patto con un nero “Angelo della Morte” si vendica di chi lo aveva fatto uccidere. Persino il trailer e alcuni manifesti di Bruce Lee Fight Back From the Grave rimandano a questo plot simil-horror, che nel film reale lascia come unica traccia una brevissima scena prima dei titoli di testa, in cui, durante una notte di tempesta, vediamo una controfigura di Bruce Lee saltar fuori dalla tomba come uno zombi. Il pasticcio si deve alla distributrice americana Aquarius Releasing, che prese la pellicola di origine, la rititolò introducendo il concetto di Bruce Lee redivivo, girò il prologhino sovrannaturale e predispose un manifesto che copiava pari pari la copertina di un album dei Meat Loaf, Bat Out of Hell.

Il velo che resta da squarciare è sul motivo per cui, al nome del regista coreano Doo Yong Lee, a un certo punto si sia iniziato ad affiancare quello di Umberto Lenzi, o “Bert Lenzi”, come appare in taluni dei manifesti del film. Sembra difficile pensare che Terry Levene, il capoccia della Aquarius, avesse scomodato Lenzi (e ancora più difficile, se non impossibile, immaginare che Lenzi accettasse) per girare l’assurdo prologhetto horror con lo zombi di Bruce Lee. Ma restano un paio di particolari da far quadrare. Un dettaglio del prologo citato, l’immagine di un fulmine che squarcia il buio della notte, in cui l’occhio allenato riconosce lo stesso stock-shot che si vede in una miriade di film italiani horror. E poi la colonna sonora in cui – a sorpresa – si ascolta il motivo conduttore, solo lievemente modificato, di Tony Arzenta composto da Gianni Ferrio