Attenzione alla puttana santa

Alla Factory di Warhol stregò tutti quanti, ma la carriera lo ha portato tra i grandi del cinema europeo. Lou Reed gli dedicò una canzone e il suo “pacco” finì sulla copertina di Sticky Fingers. Signori e signore... la vita al limite di Little Joe (Berlino, 2009).
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Cominciamo dalle tue prime esperienze italiane: Il mostro è in tavola… Barone Frankenstein (Flesh For Frankenstein, 1973) e Dracula cerca sangue di vergine… E morì di sete (Blood for Dracula, 1974)…

Si tratta degli ultimi due film che ho fatto con la factory di Andy Warhol e sono i film che mi hanno portato in Italia. Paul Morrissey voleva che andassi in Italia. Spingeva affinché provassi a fare dei film d’azione e credeva che in Italia avrei sfondato. Da quel che ricordo, aveva fatto un accordo per due film che lui stesso avrebbe diretto. Warhol avrebbe prodotto mettendo anche il suo nome sulla pellicola e io sarei stato tra i protagonisti. Avevamo un modo particolare di girare i film con Paul… senza copione. Improvvisavamo i dialoghi.Paul, ogni giorno o per ogni scena, ci dava delle linee guida e noi improvvisavamo tutto. Durante la lavorazione di Frankenstein e Dracula ero di pessimo umore; “modalità incazzata” come la definisco io, perché avevo letto sulla stampa che Paul e Andy andavano dicendo che ero un tossico e non ero in grado neanche di leggere una sceneggiatura. Loro hanno sempre negato di aver detto quelle cose, e sostenevano che nessuno avrebbe parlato mai in quel modo di me.

Mah… Queste cose mi vennero riferite da persone di cui mi fidavo, quindi il tutto mi fece molto incazzare. Il punto non era se fosse vero oppure no, mi dava fastidio che Andy e Paul parlassero di me alle mie spalle. Punto. Così, arrivato sul set, dissi a Paul che non volevo improvvisare più. Pat Hakett ha così iniziato a scrivere dei dialoghi per me ogni giorno. Ecco come abbiamo lavorato su Frankenstein e Dracula. Paul e io, nei quattro anni precedenti, eravamo andati almeno quattro, cinque volte in Europa. Volevamo vendere i primi film che avevamo fatto insieme: Trash, Flesh e Heat. Ricordo l’accoglienza in Inghilterra, in Germania, mentre ogni volta che andavamo in Italia i distributori ci dicevano: «Beh, noi qui non abbiamo di questi problemi, quindi il nostro pubblico non potrebbe relazionarsi coi vostri film». Questa affermazione mi ha sempre divertito. Mi sembrava strano che i registi italiani, come sosteneva Paul, fossero interessati a girare film con me senza aver mai visto un mio film! Ovviamente le persone del mestiere sapevano chi ero.E così, ancor prima di finire Frankenstein e Dracula avevo già in scaletta due film da girare in Italia.

Carlo Ponti, il produttore, te lo ricordi?

Mai visto né conosciuto all’epoca. Neanche incrociato per sbaglio sul set. Solo anni dopo, quando mi diede una sceneggiatura. Era interessato a una mia opinione. Forse c’era un regista che voleva fare il film ed era interessato a me? Non lo so. In ogni caso ho letto la sceneggiatura ed era ok! Andrew Braunsberg aveva parlato a Ponti del nostro modo di lavorare e lui voleva capire come i film girati da Paul e Andy con 5mila dollari a New York si vendessero in tutto il mondo. Voleva sapere come si riuscisse a ricavare venti volte tanto. Non mi stupii… Chiunque del mestiere sarebbe stato interessato. Gli italiani credevano che anche io ero un caso a parte. 

Secondo loro ero diverso, ero uno di loro, un lavoratore. Non una superstar americana. Io portavo l’equipaggiamento e il materiale dal e sul set, esattamente come facevo con Paul a New York. Del resto era quello che volevo, essere coinvolto nella realizzazione del film.Uscivo e parlavo con tutti.Non mi è mai piaciuto stare tutto il giorno nel caravan ad aspettare che qualcuno mi chiamasse.

È vero che quello che chiedevi per il film di Paul era così poco che in corsa è stato deciso di farne due?

In realtà si era sempre parlato di fare due film.  Ma nessuno ci credeva quando abbiamo detto che potevamo farlo con un budget ridicolo! Il primo era in 3D, ma, arrivati a metà delle riprese, Paul non ne poteva più del tizio incaricato del 3D. Doveva sempre mettere dei marchingegni sulla macchina da presa, ed era l’unico in grado di farlo!

Bisognava stare sempre molto vigili con l’apparecchiatura, insomma una rottura di palle. Paul, dopo una pausa, si è dimenticato di chiamarlo per rimettere le mascherine e ha girato tre o quattro scene senza il 3D. Quando glielo hanno fatto notare si è incazzato come una bestia e ha detto «Bene, mi sono rotto di questa merda». Non ne voleva più sapere del 3D e quando si decise di fare anche il Dracula, Paul si rifiutò di girarlo in 3D. Li abbiamo fatti uno dopo l’altro senza interruzioni. A parte forse una settimana di pausa: il tempo necessario a Pat di scrivere la seconda sceneggiatura.

È sul set di Dracula che hai incontrato Stefania Casini, giusto?

Sì. La più bella cosa al mondo! Eravamo giovani e ci desideravamo immensamente.Lei era davvero fantastica. Una donna di grande cultura, con una voglia di migliorarsi sempre. Voleva imparare l’inglese a tutti i costi. Ai tempi della nostra relazione, era sul punto di finire l’università per diventare architetto e mentre stava preparando la laurea suo padre morì…

Lo ricordo bene. Ha fatto tante cose straordinarie Stefania. Voleva essere un’attrice.Io cercavo di aiutarla in tutti i modi, anche a scapito del mio stipendio. Sui film che facevamo insieme me lo facevo dimezzare per alzare il suo. Di solito un attore, al film successivo, chiede di più. Lei non era così, voleva fare le parti che le piacevano anche gratis. Questo ovviamente non faceva bene al lato imprenditoriale del nostro lavoro…

Come lavoravate insieme? Avete imparato qualcosa l’uno dall’atro?

No, non ho imparato niente da lei perché aveva un modo diverso di lavorare. Lei aveva studiato, ed era anche un’attrice di teatro… Io non potrei mai fare teatro. In realtà non sono un vero attore, sono uno di quelli che chiamano “superstar” (ride). Questo significa che potevo anche non saper fare un cazzo! Dovevo solo presentarmi sul set. Avevo un buon senso della macchina da presa. Quando venivo inquadrato sapevo come destreggiarmi. Seguivo le indicazioni e riuscivo a esprimere con sufficiente naturalezza le battute. È molto difficile farlo, a volte impossibile, allora provi a riscrivertele, sulla base delle tue caratteristiche espressive. Mi dicevo: «Le riscrivo come se fossi io a parlare». E puntualmente mi dicevano: «Ma Joe, non vogliamo che sia detto da te, ma dal tuo personaggio!» «Ok», rispondevo, «bene, ma non sono io!» (ride)

E com’è finita con Stefania…

Penso che mi odi… Ma che ne so! Si sarà rotta di me.Era tutto una bugia via l’altra. Mi ha lasciato i suoi diari quando se n’è andata. Tante persone mi hanno mentito nella vita… Ma nel mio mondo dei sogni, è stato il più bel periodo della mia vita.

Perché lasciare i suoi diari?

Per essere cattiva! Suppongo. Sai, quando ti incazzi, all’apice della discussione, vorresti dire qualcosa che magari non esce e allora lo scrivi. Inoltre, se sei incazzato nero, certe cose le esprimi meglio nella tua lingua madre. Io credevo di capire e invece non capivo un cazzo. Lei mi parlava in inglese, ma quando si arrabbiava mi parlava in italiano… Si frustrava e andava su tutte le furie.Avevamo una relazione abbastanza aperta. Tutti e due eravamo attori e quindi costretti su diversi set per settimane. Quando eravamo lontani vedevamo altre persone.

Non era un problema purché fossimo discreti. Non si poteva pretendere che a quell’età, stando tanto tempo lontani, non ci fossero altre relazioni. Era fisicamente impossibile.Non era realistico pensare altrimenti! Inoltre, quando sono andato in Francia a girare dei film, l’ho lasciata con mio fratello, e lei deve aver capito che a letto se la cavava molto meglio lui di me! (ride). Quando mio fratello è morto, poi, (per asfissia autoerotica nel 1977, ndr) non ho gestito la situazione molto bene, e lei non ha voluto avere a che fare con le mie pazzie. Quello è stato un periodo bruttissimo della mia vita… anche per questo credo che sia finita. Ho pianto come un vitello! Lei mi ripeteva di tornarmene in America per gestire in prima persona la morte di mio fratello, ma io non volevo e questo la fece arrabbiare di brutto. Poi ci sono andato.

Ma lei voleva che restassi in America per sempre! Ero io che mi illudevo di tornare con lei. Inoltre ero ancora molto gettonato in Italia e avevo grandi possibilità di lavoro.Non saranno stati film grandiosi ma mi davano da vivere. Mi piacevano le persone con cui lavoravo. Era bello, perché tornare in America?

Li guardi i film che hai fatto in questo periodo?

No. Ho visto Luna nera (Black Moon, 1975) di  Louis Malle di recente, e Je t’aime moi non plus di Serge Gainsbourg (1976), che passano spesso in tv. Ho visto anche Queen Lear (Mokhtar Chorfi, 1982), e non mi ricordavo fosse così fuori di testa. E poi Il margine di Walerian Borowczyk (La marge, 1976) con Sylvia Kristel.

I film italiani che ho visto di più sono i primi due che ho fatto, L’ambizioso di Pasquale Squitieri (1975) e Donna è bello di Sergio Bazzini (1974). Gli altri non credo di averli neanche mai visti al cinema. Forse mi sono fatto dare delle copie in VHS più tardi… Non venivo né chiamato alla prima né avvertito dell’uscita in sala! Perché su tanti di questi film, all’epoca avevo una percentuale.Quindi chiamarmi significava coinvolgermi troppo e sapere quanto stavano effettivamente incassando. Inoltre avevo delle clausole nel contratto, come avere il mio nome prima del regista, scritto in grande. Non che mi fregasse qualcosa, ma forse non l’avevano fatto, che ne so!

Non molto diverso come schema dal fare cinema a New York, mi par di capire…

Oh, no. In Italia erano molto più professionali.In Italia avevo una sceneggiatura stampata e qualcuno mi aiutava a tradurla.Avevo uno stipendio decente. Questa era una cosa molto nuova per me! Facevo tre o quattro film all’anno e vivevo bene. Mandavo soldi a casa, a moglie e i figli, e l’altra metà la tenevo per me per vivere con Stefania.

Perché Morrissey e Warhol non ti pagavano?

Perché ero giovane. E perché Paul era convinto che mi stava offrendo una carriera, che mi stava insegnando qualcosa. Quando all’inizio ho lavorato con lui, non c’era alcun interesse da parte mia. Non sapevo neanche chi diavolo fosse Andy Warhol.

Avevo visto il dipinto della minestra Campbell, ma non capivo niente di arte. A loro andavo bene, perché stavo zitto, ascoltavo e sapevo riconoscere quando una situazione era buona. Ho dato gli stessi consigli ad altri. Ricordo Vincent Fremont, che era arrivato come custode e uomo di servizio.

Gli dissi di stare zitto, ascoltare e stare attento alle diverse situazioni.«Un giorno comanderai tu la baracca», e così fu. Adesso è uno dei due che dirige la Fondazione. Ma credo che valga per tante cose nella vita. Se ti metti d’impegno e non molli… Inoltre diventi sempre più bravo se fai la stessa cosa tante volte.

Cosa provi adesso per loro? Credi in una forma di riconoscenza dopo tutti questi anni?

Quando sono finalmente tornato dall’Europa ricordo di aver chiesto a Paul la mia percentuale sui film che avevo fatto con loro, con lui e Andy intendo, e lui mi ha detto: «Beh, Joe, sai, quei film non fanno più tutti quei soldi…» E io: «Che ne hai fatto allora dei soldi che hanno fatto prima!?» «Li ho spesi quei soldi, cavolo Joe!».

Tuttavia riconosco il fatto che qualsiasi cosa mi serva, ancora oggi lo chiamo e, se è nelle sue possibilità, me la manda. Poi si lamenta ancora, dice che mi dà anno dopo anno troppo di quella che è la percentuale. Poi gli ricordo: «Paul, non mi stai dando la percentuale dei film, mi stai dando i soldi che mi devi e che non mi hai mai dato!» Lui poi mi incalza dicendo che non abbiamo un contratto a vita! Beh, cosa fa mi chiedo io, i film li butta via dopo 20 anni? Si vedono ancora in giro per il mondo! No? Allora che mi dia i soldi che mi deve, cazzo! Ogni tanto mi dice: «E poi quanto sei rimasto alla Factory? Un anno? No forse solo alcuni mesi…» «Paul, ma sei andato fuori di testa? Sono rimasto nella tua stupida Factory per cinque anni facendomi il culo ogni giorno per i vostri progetti del cazzo».

Il primo anno abbiamo girato The Loves of Ondine, Flesh e Lonsome Cowboys (era il 1968 ndr); il secondo anno sono entrato a far parte integrante della Factory e andavo lì ogni giorno. Quando mi chiese di interpretare un cowboy ero eccitato, ci siamo divertiti un sacco: un gruppone di newyorkesi in Arizona a far finta di essere cowboy!? Uomini vestiti da donne che interpretavano le ragazze dei cowboy… Insomma, io mi sono divertito un casino.

Ricordo che Andy non aveva voce in capitolo perché quell’anno gli avevano sparato. Paul, a quel punto, decise di girare altri film utilizzando anche del materiale che aveva già. Ha assemblato il cast a velocità della luce. Aveva una dote particolare nel trovare persone non professioniste che bucavano lo schermo.

Perché sei rimasto in Italia? Per lavoro e perché potevi sfruttare il nome di Andy Warhol?

Sono rimasto in Italia perché mi sono innamorato (ride). Mi sono innamorato dell’Italia e di Stefania. È stato il più bel periodo della mia vita; per me, per il mio lavoro. Tutto sembrava incastrarsi perfettamente. Sai, andare in un Paese dove parlano una lingua che non conosci e fermarti per quasi dieci anni vuol dire che c’è qualcosa… Il posto deve piacerti tanto, altrimenti non duri. Paradossalmente, invece, tutti gli amici che avevo in quel periodo facevano di tutto per trasferirsi in America. Quindi per ricambiare i favori insegnavo a tutti inglese, quello che conoscevo io… (ride).

Anche se affermi di non ricordarti tutto, hai lavorato con un folto gruppo di persone…

In Italia, Paul voleva che io girassi con autori come Marco Ferreri. Io invece volevo lavorare con registi di film d’azione! Avevo già dato molto con Paul e Andy, e volevo davvero cambiare stile. Avevano preparato delle proiezioni per me soltanto al MoMA a New York.

Abbiamo visto con Paul i film di Ferreri e lui era convinto che fosse il regista perfetto per me. Paul e Andy erano convinti che tutti i miei film un giorno sarebbero stati materiale da museo. Altri film sarebbero scomparsi, dicevano, i film che ho fatto con loro mai, perché il materiale di Andy, a detta loro, era immortale. Anche se nutrivo cieca fiducia in quello che mi dicevano, questo non mi faceva sentire meglio riguardo al mio lavoro.

Oggi vedo il lavoro che ho fatto con loro come una scuola di recitazione. L’agente che avevo all’epoca stava organizzando degli incontri da fare in Francia per farmi fare dei film d’autore. Quindi in Italia avrei fatto i poliziotteschi, mentre in Francia avrei fatto film d’autore. I film italiani erano semplici e divertenti, mentre quelli francesi erano un po’ quello che avevo fatto con Andy e Paul; non capivo molto bene che cosa volessero dire. E non mi interessava neanche molto di capirlo.

Mi illustravano il personaggio e io lo facevo. Ho girato film con Louis Malle e Walerian Borowczyk, quest’ultimo un pazzo! E ancora Mokhtar Chorfi e Serge Gainsbourg, il mio preferito! Ricordo Sergio Bazzini, lo sceneggiatore di Ferreri. Curioso no? Non ho lavorato con Ferreri ma con il suo sceneggiatore! Ricordo il film di Squitieri, L’ambizioso, girato tra Roma e Napoli.

Dove vivevi quando hai girato quel film?

Per lo più a Napoli in una grande villa dove abbiamo anche girato gli interni. Gli esterni sono stati girati tutti a Napoli. Per le scene in moto era necessario avere le stesse comparse e gli stessi paesaggi… Inoltre avevo la mia gang, che doveva essere sempre con me, anche quando si andava in un ristorante o da qualunque altra parte. Eravamo come un unico personaggio. Solo un paio di scene in effetti sono state girate a Roma. Tante scene erano violente.Ci si sparava e ci si accoltellava.

Le persone che si affacciavano alle finestre non si resero subito conto che stavamo girando un film e pensavano che ci fossero davvero persone che si stavano ammazzando per strada.

Ci restavano male quando invece noi attori ci tiravamo su e loro avevano già chiamato le ambulanze…

Tra i film d’azione che hai fatto in Italia c’è anche quello che hai girato in Africa con Bitto Albertini, 6000 Chilometri di paura (1978).

Sì, l’ennesima produzione “fottiamo Joe” o “Joe, monta sull’aereo tanto è solo una piccola parte”. Ovviamente, una volta arrivato, ho scoperto che ogni pagina della sceneggiatura era stata scritta per me. Sono stato fortunato perché il co-protagonista, l’attore francese Marcel Bozzuffi, era disposto a far riscrivere tutta la sceneggiatura. Ho avuto dei problemi con Eleonora Giorgi. Era quella che voleva che io facessi il film. Ha messo anche tante altre persone nei guai per il suo comportamento… In ogni caso, io e lei avevamo un sacco di scene insieme. Voleva tanto diventare una star. Bozzuffi è un eroe, il mio eroe. Ha riscritto tutto il film affinché io avessi molte meno scene con lei! (ride).

«Taglia, taglia tanto», gli dicevo e lui così fece. In conclusione abbiamo girato un film che non aveva niente a che fare con l’originale! Loro guardavano a Hollywood, con riunioni sulla sceneggiatura, prove seduti intorno al tavolo. Beh, non mi stavano pagando per niente, quindi non volevo farlo e perdere tempo! Avevo appena rotto con Stefania ed ero in Africa con la mia nuova ragazza francese che, non lo nego, assomigliava molto a Stefania, un rimpiazzo. Non parlava neanche una parola di italiano o di inglese. Ero lì in vacanza e salta fuori che vogliono farmi fare tutto questo lavoro, beh, no! Non ci stavo. «Non sono qui per voi, ma in vacanza. Se avete qualcosa da farmi girare, io sono qui, ma non ho intenzione di sedermi e riscrivere sceneggiature e fare riunioni». Non era il mio lavoro. E si sono incazzati. Ma ho girato tutto quello che mi hanno chiesto, senza negarmi!

Hanno pur trovato una persona ambiziosa come Marcel che si è offerta di riscrivere la sceneggiatura che era migliore dell’originale. Molte delle sceneggiature che ricevevo all’epoca erano ridicole. Mi riusciva strano credere che qualcuno volesse trasformare quella spazzatura in un film, eppure, qualche volta, il film finiva per essere girato, ed era sul set che si cercava di renderlo migliore. Per quanto mi riguarda, io recitavo in inglese e il solo motivo per cui mi volevano nei film, credo, era quello di conquistare anche il mercato americano. Ma non hanno nemmeno fatto lo sforzo di doppiarmi con la mia voce! Hanno trovato un altro per doppiarmi! Ti rendi conto? E non potevano inventarsi scuse.  Non stavo viaggiando all’epoca. Non mi sono mai nascosto… Semplicemente non mi hanno chiamato.

Perché hanno fatto una cosa del genere?

Si trattava di film molto poveri, fatti con pochissimi soldi e… B-movies. Erano un po’ come i film che Roger Corman faceva in America, i primissimi film di Jack Nicholson. Film d’azione o beach film che si vedevano al drive-in. All’epoca, in Italia, non si andava tanto al cinema, mi ricordo che tutti leggevano i fotoromanzi.

Questo tipo di film erano nuovi da fare, credo, per loro. Quando mi sono trasferito in Italia per la prima volta non c’era molto da guardare in televisione. Le persone si trovavano al bar, dove c’era una sola tv che tutti guardavamo. Ci si portava le sedie per guardare il film tutti insieme che passava il martedì o mercoledì. Di bar ce n’erano tanti, anche sulla stessa strada, ma si guardava lo stesso film. Per me era la cosa più bella del mondo!

E con la lingua, come te la cavavi recitando?

Mi davano indicazioni di massima sulle battute da seguire e su come entrare con le mie. Non sapevo bene cosa gli altri attori si stavano dicendo, quindi imparavo a memoria le ultime parti delle loro battute e sapevo quando intervenire. Al contrario, tanti attori italiani non imparavano le mie battute e allora io, su Dracula e Frankenstein per esempio, dovevo battere i piedi!

Era tutto così incasinato. Paul voleva che tutti improvvisassero, ma io mi opponevo! Come diavolo facevamo a seguirci se ognuno faceva quel cavolo che voleva senza capire niente? Paul, a mio avviso ha fatto questa grande cazzata di andare in Italia e prendere attori italiani, tedeschi e di altri Paesi europei. Si assicurava che dicessero due o tre parole in inglese e per lui era fatta! Nessuno parlava inglese, si erano memorizzati delle battute che avevano recitato a Paul durante i casting.

Tanti film all’epoca, in Italia, venivano fatti così… tutti parlavano la propria lingua.

Lo so. Ma non si improvvisava! Come diavolo potevi improvvisare se non sapevi cosa stava dicendo l’altro personaggio?!E poi mi sono sempre chiesto, «Ma che ti frega, se poi si doppia tutto? Facciamo alla Fellini, contiamo!» Poi ci metti quello che vuoi sopra le nostre voci.

Cosa ricordi di Suor omicidi con Anita Ekberg?

Fantastica attrice. Lei interpretava la suora drogata nel film. Credo. D’altra parte ricevevo la traduzione solo delle mie parti, quindi non ricordo bene la trama di nessuno dei film europei che ho fatto. Mi incazzavo anche perché era davvero difficile per me capire quello che stava succedendo! Sono sicuro che avrei potuto dare molto di più se avessi saputo cosa stavo girando, in tutti i film.

Pensi che si trattasse del modo italiano di lavorare all’epoca oppure…

No, lavoravano così perché sapevano che potevano permetterselo con me. Nessun altro lo avrebbe fatto, credimi. So che lo fanno spesso in tv. Per le soap opera, invece, gli attori ricevono pagine e pagine di sceneggiatura ogni giorno! E devono impararle tutte; la ripresa, buona la prima la maggior parte delle volte. Ai casting di queste cavolate si presentavano anche gli attori più bravi del mondo!

Chiaramente la simbiosi con il personaggio è tale che anche le battute diventano, a lungo andare, naturali. Poi ci sono gli show che devi girare davanti al pubblico tagliati e mandati subito in diretta… Ecco come si lavorava in Italia. Si girava una volta, andava sempre bene e si tagliava subito. Non voglio neanche rivederli questi film. Anzi, alcuni non li ho nemmeno mai visti.

Era sempre la stessa persona che ti doppiava?

È iniziato così, poi è andato tutto in vacca.Alberto Arbasino, Dacia Maraini e Pasolini, che erano stati i responsabili del doppiaggio di Trash, avevano trovato questo ragazzino di Roma che quando parlava assomigliava moltissimo a quando cercavo di parlare in italiano. Quella è stata la sola volta che ho pensato: «Ma guarda un po’, che scelta bella e azzeccata».

Sarebbe stato bello se avesse fatto tutto lui, ma a volte interpretavo il ragazzo di Roma, altre il mio personaggio veniva da Napoli e come ben sai gli accenti e le intonazioni cambiano. In Italia non funziona come in America dove ci si aspetta che un attore faccia tutti i dialetti. Tomas Milian, per esempio, che diavolo di fine ha fatto? A lui mettevano solo l’accento romano! Sono tornato negli anni Ottanta qui in America, e non posso dire di ricordarmi bene nessuno. Milian era un mio caro amico all’epoca.

E Stefania?

Con Stefania non ci siamo mai più parlati dopo la rottura, anzi, non mi ha mai più rivolto la parola.

Ti ricordi di qualcun altro?

Mi ricordo quel pazzo di Squitieri che ha messo dei veri proiettili nella pistola che doveva spararmi! Controllo sempre le armi che devono essermi puntate contro prima di girare e ho visto che era carica di proiettili veri. Sono andato su tutte le furie. Ero ubriaco e incazzato perché mia moglie era venuta a trovarmi e io invece volevo stare con Stefania e stavo lavorando. Ricordo che ero disposto a dare 15mila dollari per farla volare dalla finestra.Lei aveva chiamato a casa terrorizzata e qualcuno era riuscito a fermarmi.

Mi avevano fatto capire tra le righe che dovevo rimettermi in sesto ed essere carino con mia moglie o sarebbe successo qualcosa… Intanto il produttore cercava di calmarmi con storie di camorra. Ricordo anche che sono andato nella stanza di Pasquale per chiedergli una cosa e lui, al mio arrivo, dopo aver bussato, ha spalancato la porta puntandomi una pistola alla faccia. Cazzo Pasquale, sono io! Non capiva un cazzo d’inglese, quindi cercai di gesticolare il più possibile.

Aveva sparato diverse volte alla gente, a giornalisti che cercavano di entrare nei suoi set. In tutti i film dove c’erano esplosioni io mi facevo male. Mi è successo solo in Italia, questo tipo di scene erano gestite molto meglio in America. Cavolo, era divertente però. Una cosa del genere è successa anche con Mokhtar Chorfi in Queen Lear. Nella sequenza del sogno mi trovavo nudo ai piedi del letto ed entravano i poliziotti. Mi sparano e non dovevano farlo.

Mi sono alzato incazzato nero, ho disarmato il poliziotto, Gil Vidal, e ho scoperto che avevano caricato tutto il caricatore! Ho preso la pistola e ho sparato tutto il caricatore così vicino al suo orecchio che a momenti perdeva l’orecchio. Cazzo quanto ero imbestialito. E tutti corrono fuori dal set cagandosi sotto. Pensa te, io nudo che sbraito in inglese con una pistola finta in mano! Che scenate! Le pallottole a salve non sono pericolose ma fanno male cazzo! Quindi perché puntarmele addosso e sparare? Inoltre ero nudo a terra! Mi sono sempre chiesto perché hanno caricato tutta la pistola. Di solito caricano solo due o tre colpi. Boh! Follia.

Perché sei tornato in America?

Per problemi di salute.Mi ero trasferito da Roma a Parigi. In ospedale per un controllo mi ritrovai a parlare con un dottore americano che aveva visto tutti i miei film. Lui mi disse che dovevo tornare in America dove parlavano la mia lingua per farmi curare. Era uno psicologo e sosteneva che avevo bisogno di andare in analisi. E così feci!

In effetti non stavo vivendo un bel periodo. Bevevo tantissimo e facevo spesso incidenti da ubriaco. Avevo fatto talmente tanti incidenti nel Sud della Francia che mi era proibito noleggiare macchine.

Hai vissuto l’Italia degli anni Settanta.Ti ricordi forse delle vicende politiche di allora, gli attentati, le brigate rosse?

Sì, molto bene. Stefania aveva degli amici simpatizzanti e scherzavano dicendo che un giorno o l’altro mi avrebbero rapito! Solo scherzi, fino a quando hanno ucciso Moro, a quel punto non rideva più nessuno.

Io non credo nella violenza. Crea solo altro odio, quindi è inutile se vuoi far valere il tuo punto di vista. Lo sanno in tutto il mondo che il sistema politico italiano è corrotto, e che se mandi via i politici marci dalla porta ti rientrano dalla finestra, ma ciò non giustifica un omicidio! In Europa tutto è diverso, non soltanto la lingua e i messaggi pubblicitari, anche il modo di fare e dare informazione è diverso. Io non guardo più le notizie. Sono convinto del fatto che se guardi le notizie ogni sera per almeno cinque anni, dopo non occorre che le guardi più per il resto della vita.

Sempre quello: droga, politica estera americana, delinquenza. So che gli italiani ce l’avevano con gli americani all’epoca perché tra le altre cose le grandi raffinerie di benzina dei nostri jet si trovavano nel sud d’Italia. Il fatto è che noi non abbiamo mai avuto dei veri vicini di casa. In Italia tante cose vengono importate dai Paesi limitrofi. La carne, ricordo, veniva dalla Jugoslavia, e ci si rende conto di quanto sia stupido non andare d’accordo o offrire riconoscenza solo quando mancano i beni… Che stronzata. Conviene andare d’accordo.

Grazie mille Joe.

Grazie a te. E tieni, ti regalo The Gardener (Seeds of Evil), il solo film con sceneggiatura che ho fatto all’epoca…