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Reality

2023
REGIA:
Tina Satter
CAST:
Sydney Sweeney (Reality Winner)
Marchánt Davis (R. Wallace Taylor)
Josh Hamilton (Justin C. Garrick)

Il nostro giudizio

Reality è un film del 2023, diretto da Tina Satter.

La realtà è il migliore sceneggiatore: il più beffardo, spiazzante, a volte anche il più stronzo. Si parte da questa idea per costruire Reality, appunto, il film di esordio di Tina Satter che rimesta nell’incredibile della nostra epoca. E in barba al già visto lo fa in modo originale, forse perfino inedito. È la vicenda di Reality Winner (Sydney Sweeney), una ragazza americana dal nome emblematico nata nel 1991, che lavorava come traduttrice negli uffici dell’NSA, l’Agenzia di sicurezza nazionale. Questa biondina con gli occhi azzurri, amante di cani e gatti, molto sportiva e maestra di yoga, il 3 giugno del 2017 riceve la visita di due agenti FBI nella sua abitazione. Viene accusata di aver sottratto all’Agenzia alcuni documenti segreti che provano le interferenze della Russia nelle elezioni presidenziali del 2016; li avrebbe passati al sito web The Intercept, contribuendo così a renderli pubblici in violazione del segreto di Stato. Sarebbe insomma una leaker, considerata in USA una pericolosa criminale dopo il vaso di Pandora scoperchiato da Assange. Nel lungo e complesso percorso giudiziario che ne segue, Reality si becca la pena più alta mai inflitta per questo tipo di reato: cinque anni e tre mesi di reclusione, peraltro a seguito di un patteggiamento. La poveretta si trova attualmente “al gabbio”. Il film è il suo interrogatorio. Letterale.

Con questo si intende dire che non c’è una pura messinscena di finzione dell’interrogatorio stesso, ma siamo lontani anche dal True Crime, ovvero la ricostruzione dei fatti attraverso filmati veri o di repertorio. Qui c’è una terza via. L’agente Garrick (Josh Hamilton) e l’agente Taylor (Marchant Davis) infatti quel giorno registrarono l’intero colloquio con la ragazza, agendo a microfono aperto sin dall’inizio, ossia quando il poliziotto bussa sul vetro dell’auto come nelle migliori tradizioni. Solo che qui è vero: la rappresentazione con gli attori non segue una sceneggiatura inventata ma esattamente il verbale di quell’interrogatorio. Detto altrimenti, il film non ricostruisce il momento attraverso il potere dell’immaginazione ma lo rimette in scena con le stesse esatte parole, scientifiche, facendo pronunciare ai personaggi la trascrizione di quel giorno. Il corto circuito è evidente. Perché, seppure stiamo guardando un thriller su una donna sospettata di spionaggio, le domande e risposte sono vere e creano un effetto disturbante: c’è una differenza, infatti, tra la fantasia di una sceneggiatura e ciò che riempie la carta di un verbale. Ovvero la realtà: Reality, nientemeno. Ecco che i dialoghi rispondono alle regole della verità che, come noto, è più assurda della finzione: i poliziotti prima si presentano docili, provano a mettere a suo agio la sospetta con divagazioni e domande melliflue, tipo se ama gli animali, ma allo stesso tempo chiariscono che ci sarà una perquisizione accurata, si dovrà sostenere un dialogo, insomma sta succedendo qualcosa. Un qualcosa che, essendo reale, avviene totalmente in fieri: solo al termine del percorso si forma il quadro completo, si capisce di cosa la accusano, cosa e come è avvenuto davvero.

La presa di coscienza di Reality è graduale ma inesorabile: dalla negazione arriva la prima timida ammissione, assecondata dagli agenti (“Non pensiamo che tu sia Snowden”, “Magari hai fatto un piccolo errore”), dallo spazio aperto si giunge all’accerchiamento nella stanza chiusa e senza mobili. La tenaglia si stringe, lo capisce anche Reality quando arriva a chiedere, in un istante struggente, se quella sera dormirà a casa e se può avvertire qualcuno per occuparsi degli animali. Insomma, di film sugli interrogatori ce ne sono molti, anche troppi, i vari Under Suspicion con le loro dinamiche risapute, ma finora mancava un’opera di finzione basata su un interrogatorio vero. Perché farla? Per dimostrare l’assurdità della procedura, il paradosso, l’ipocrisia del sistema che stigmatizza una ragazzina mentre i grandi criminali pascolano illibati. Tutto ciò con un thriller palpitante, che non dà tregua per ottanta minuti, va dritto al sodo e molla la presa solo a disegno compiuto. Una fetta centrale del merito è di Sydney Sweeney, magnifica, basta guardarla mentre i suoi occhi si riempiono lentamente di lacrime. La realtà è la storia più crudele.