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Prey

2022
REGIA:
Dan Trachtenberg
CAST:
Amber Midthunder (Naru)
Dakota Beavers (Taabe)
Dane DiLiegro (Feral Predator)

Il nostro giudizio

Prey è un film del 2022 diretto da Dan Trachtenberg.

Quinto capitolo della saga iniziata con Predator nel 1987, settimo se si contano anche i due crossover con Alien, che però rispetto ai suoi predecessori sembra nascere sotto una cattiva stella: nessuna distribuzione in sala a favore di un lancio esclusivo in streaming su Disney+; cast di perfetti sconosciuti, nonostante il regista, Dan Trachtenberg, avesse alle sue spalle il bel 10, Cloverfield Lane, quindi non uno sprovveduto; una scelta, rognosa e anticommerciale, di ambientare la vicenda nel 1719 nelle grandi pianure del Nordamerica, tra le tribù comanche, con l’ambizione, strozzata durante la produzione, di girare il film interamente nella lingua dei nativi americani. Nella catena di presagi infausti e di elementi che avrebbero potuto far storcere il naso riesce a farsi strada però quello che può essere considerato uno degli apici del franchise, confermando che il successo di un film non può essere veramente previsto o programmato ma che si autodetermina nel momento in cui si palesa sullo schermo, piccolo, panoramico o curvo che sia.

All’interno di una tribù comanche, la giovane Naru (Amber Midthunder) ha una grossa passione per la caccia e maneggia abilmente le armi, ma il suo status di donna non le permette di essere riconosciuta dagli altri guerrieri maschi, compreso il fratello Taabe (Dakota Beavers), all’altezza di poter effettuare il classico rito di passaggio da cacciatore, ovvero poter cacciare ciò che caccia lei. Durante una battuta di caccia si imbattono in un leone e Naru si accorge che il feroce predatore in realtà sembra scappare da qualcosa di ancora più spaventoso, che lascia per strada animali scuoiati. Allo stato selvaggio, ogni cacciatore o predatore può velocemente trasformarsi in una preda e in cima a questa piramide di paura sembra posizionarsi il a noi ben noto Predator, un alieno la cui razza predilige la Terra come terreno di caccia per potersi allenare e cercare qualcuno che sia all’altezza della sua ferocia e delle sue armi ipertecnologiche. Dopo la virata ironica che Shane Black aveva dato nell’ultimo The Predator del 2018, Trachtenberg ritorna al film di McTiernan e lo asciuga ulteriormente, giocando particolarmente non solo con i ribaltamenti continui dei rapporti preda/predatore, ma anche con il divario eclatante tra la tecnologia fantascientifica del Predator e la rudimentalità delle armi a disposizione di Naru – per lo più arco, frecce, un’ascia con guinzaglio e un cane – che sopperisce però in qualità e intelligenza quello che le manca in arnese.

Oltretutto Naru è quanto di più lontano si possa pensare rispetto al final boy del primo film o ai soldati muscolari armati fino ai denti di Predators, perché la giovane Midthunder non si risparmia nelle scene d’azione così come nelle sequenze più drammatiche in cui non nasconde paura e panico. Poco parlato e con un tasso di azione e violenza sopra la media, Prey è un gioiellino del genere che riesce a intrattenere senza annoiare, costruendo attorno alla protagonista anche una bella parabola sull’autoaffermazione della donna all’interno del famigerato patriarcato: in Prey la lotta con la ferocia sanguinaria del Predator scavalca facilmente il crine della pura action e si rende una metafora efficace del femminismo e della scalata sociale. Se già nel finale di 10, Cloverfield Lane Trachtenberg aveva fatto vedere delle ottime capacità di messinscena quando si tratta di creature inquietanti, qui conferma un utilizzo efficace e mai banale degli spazi (il film è al 90% ambientato in una foresta): basti soffermarsi sulla sequenza, immersa nella nebbia, del tentato agguato da parte dei francesi, per capire che se ci sono talento, storia e passione si può benissimo fare a meno di marketing e di stelle strapagate.