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La ragazza nella foto

2022
Titolo Originale:
Girl in the picture
REGIA:
Skye Borgman

Il nostro giudizio

La ragazza nella foto è un docu-film del 2022, diretto da Skye Borgman.

A volte la realtà è il migliore sceneggiatore. Basta guardarsi intorno: nel mondo cambiato dall’apocalisse Covid non esiste una stasi ma fioriscono nuove guerre, nuove miserie, crisi umane e politiche. Non stupisce allora che il true crime sia il vero genere dell’oggi: l’unica autentica novità degli ultimi anni, la più potente e inquietante, che è iniziata anche prima e in particolare – diranno gli storici – nel 2015 con la miniserie The Jinx di Andrew Jarecki, un esperto del genere. Si è poi moltiplicata soprattutto grazie ai soldi di Netflix, sino ad arrivare a comprendere di tutto, dalle storie destabilizzanti e davvero riuscite (American Murder, Le donne e l’assassino) a derive più furbe e automatiche per aumentare i titoli nel cestone. La tendenza continuerà. Il principio è sempre lo stesso: non bisogna inventarsi nulla, la realtà ci pensa da sola, basta saperla raccontare. L’ultimo arrivato è La ragazza nella foto (Girl in the picture), firmato dalla regista Skye Borgman, già responsabile di Abducted in Plain Sight del 2017, il suo true crime più noto, che era tutto incentrato sul rapimento di un ragazzino da parte del vicino del vicino di casa.

Qui la vicenda è al limite dell’incredibile: inizia il 25 aprile 1990 a Oklahoma City, col ritrovamento di una ragazza in fin di vita sul ciglio della strada. La giovane, con segni di violenze e percosse, viene trasportata in ospedale e muore in pochi giorni. Fin qui saremmo nell’ordinaria amministrazione, almeno per le nefandezze di un sottobosco criminale. Il problema è che subito emerge una serie di anomalie: la ragazza ventenne era nota come Tonya Hughes e faceva la ballerina in un locale notturno, dove la migliore amica (un’altra lap dancer) era preoccupata per lo strano rapporto col marito e riferiva del grande amore per il figlio, il piccolo Michael. Ma la madre di Tonya Hughes, raggiunta al telefono per il triste annuncio, ribatte candidamente: “Impossibile, mia figlia è già morta quando aveva 18 mesi”. Tonya quindi non è Tonya. Nel senso che la giovane non si chiama così, avendo preso il nome falso appunto da una lapide. E il marito non è il marito: attraverso un complesso giro di indagini e verifiche, si scopre che l’uomo in realtà sarebbe il padre… Comincia allora a formarsi gradualmente il senso spiazzante di Girl in the picture: la ricostruzione di un crimine a strati. Gli investigatori si applicano ma, ogni volta che arrivano a una scoperta, devono togliere un nuovo velo, continuare a sbucciare la cipolla. Trovare cosa c’è sotto. Appena Tonya, o Shannon, viene identificata con relativa certezza spunta qualche testimone che fornisce nuovi dati, nomi, coordinate.

Roba da ossessione: in molti entrano nel vortice, come il detective che segue il caso, il giornalista Matt Birkbeck che scrive il libro A Beautiful Child, perfino due agenti Fbi. Naturalmente dietro a tutto c’è un grande criminale: Franklin Delano Floyd, attualmente nel braccio della morte in Georgia. Uno in grado di uccidere, rapire, camuffare, mutare identità insieme alle sue vittime come un camaleonte. Uno con una carriera criminale tanto crudele quanto occulta e stratificata, non facile da ricostruire. La regista compone il caso aprendo la matrioska: dentro ogni forma ne mostra un’altra, ogni presunta verità contiene la successiva sino a quella definitiva, negli ultimi fotogrammi. Che comunque lascia aperti misteri, si arrende alla realtà inconoscibile. Skye Borgman alterna materiali di repertorio (pochi nel passato remoto) alle interviste ai superstiti e alla ricostruzione finzionale di alcuni istanti salienti o decisivi del racconto, che non poggiano su alcuna registrazione. Momenti che suonano vagamente più banali: ecco, dovendo scovare un difetto all’onda true crime in piena ascesa, si può indicare proprio questo, la messinscena dei buchi delle storie attraverso soluzioni di fiction spesso deboli e previste (i chiaroscuri, le sfocature, i dettagli sulle mani eccetera). Per il resto, non c’è dubbio che sia il genere adatto al nostro tempo.