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Un couteau dans le coeur

2018
REGIA:
Yann Gonzalez
CAST:
Vanessa Paradis (Anne Parèze)
Nicolas Maury (Archibald)
Kate Moran (Loïs)

Il nostro giudizio

Un couteau dans le coeur è un film del 2018, diretto da Yann Gonzalez.

Poniamoci una domanda: è possibile fare un film a tematica LGBT che sia al contempo un solido esempio di neo-giallo? La risposta è sì, se dietro la macchina da presa c’è un genio anarchico e sperimentale come il regista francese Yann Gonzalez. Un autore che – dopo una serie di cortometraggi – ha riscosso (con merito) il plauso della critica, consacrato dalla doppia partecipazione a Cannes: prima, con Les rencontres d’après minuit (2013), il suo lungometraggio d’esordio presentato tra le proiezioni speciali; poi, con Un couteau dans le coeur (2018), in competizione per la Palma d’Oro e per la Queer Palm. La sessualità è il fil rouge della sua filmografia, fin dai cortometraggi: una tematica sviscerata in modo talvolta più esplicito e talvolta più allusivo, ma sempre in modo crudo, talvolta grottesco, senza fronzoli (come deve essere), descritta con un’immagine e/o una narrazione che arrivano dritte al cuore dello spettatore. Quel “cuore” – nostro e dei protagonisti – che, fuor di metafora, viene penetrato nel film in questione, fin dal titolo: un thriller erotico che riprende le basi del giallo italiano, ma che è soprattutto un’opera fonte di sperimentazione visiva e narrativa, a partire dalla storia, dove trovano spazio relazioni e rapporti sessuali esclusivamente queer, tra sodomia, masturbazione e baci roventi. Scritta dallo stesso Yann Gonzalez insieme a Cristiano Mangione, è ambientata a Parigi nel 1979, e ha come protagonista la regista Anne Parèze (Vanessa Paradis): la donna, che lavora per una produzione specializzata in film pornografici gay, è in crisi poiché la sua compagna e collaboratrice Loïs ha deciso di troncare la loro relazione.

Sfogandosi sul lavoro, si getta a capofitto nella creazione di un nuovo film, supportata dall’esuberante collaboratore Archibald, ma le riprese sono funestate dall’efferato omicidio di uno degli attori protagonisti, pugnalato a morte nel retto. Anne decide tuttavia di continuare la lavorazione del film, anche quando un altro attore viene ucciso brutalmente, e adatta il copione a quanto sta accadendo, mettendo in scena la storia di un assassino che si accanisce sugli omosessuali. In mezzo al terrore della troupe, i delitti continuano, e la regista decide di mettersi lei stessa sulle tracce del serial killer, scontrandosi con verità sepolte e con una tragica storia legata a un suo vecchio film. Come si può intuire, il canovaccio è quello tipico del thriller italiano anni Settanta, con tanto di assassino guantato e mascherato, ma – da buon sperimentatore qual è – Gonzalez rende il suo film qualcosa d’altro, con alcune intuizioni geniali. A partire dalla scelta di mettere in scena una storia meta-cinematografica, che si svolge cioè sul set di un film immaginario (Le tueur homo), con le sotto-trame dei protagonisti che si intrecciano, in primis la relazione della regista con la montatrice Loïs. Peculiarità di questo set, è di essere quello di un film pornografico gay, con soli protagonisti maschili, le cui scene si confondono volutamente con la diegesi di Un couteau dans le coeur in una serie di sequenze al limite del surreale (e la messa in scena del bizzarro era già alla base de Les rencontres d’après minuit): un poliziotto che masturba un interrogato con un piede, una doppia eiaculazione (simulata) in split-screen, sessioni sadomaso e altro ancora.

A livello di sessualità, Gonzalez era stato più esplicito in altre occasioni, come nel cortometraggio Land of my dreams – dove vedevamo un ragazzino che tocca il seno nudo di una spogliarellista, un bacio saffico tra madre e figlia, e una breve sega non simulata su un pene eretto. Un couteau dans le coeur forse non è così esplicito a livello di nudità, ma sprigiona una sensualità (e sessualità) morbosa, persino sporca in certi momenti – pensiamo alla figura di “Bouche d’or”, un grassone che ha il compito di fare pompini agli attori quando non riescono ad avere un’erezione – oppure totalizzante, come il tormentato rapporto tra Anne e Loïs, che si manifesta in un bacio appassionato nel bosco e in furoreggianti dichiarazioni d’amore degne di un Carax o di uno Zulawski. L’opera di Gonzalez è, prima ancora che un thriller, la quintessenza del filone LGBT, spinto talvolta all’esagerazione e al parossismo tanto da sembrare quasi caricaturale: pensiamo alle scene nei locali gay e lesbo, con l’immancabile vestiario dell’occasione, o alle scene sul set dove gli attori de Le tueur homo esibiscono vistosi “pacchi” e si scatenano in sessioni sadomaso rigorosamente queer. Ma l’amore omosessuale è anche qualcosa di più puro, come la relazione fra le due donne o quella fra i due ragazzi che ha dato origine al trauma del killer, in un cortocircuito fra realtà e cinema che tanto ricorda La casa con la scala nel buio (chissà se Gonzalez l’aveva in mente). La rappresentazione degli omicidi è sanguinaria e parossistica, a partire dall’arma (un fallo di gomma con una lama retrattile) che sfonda l’ano o la bocca degli sventurati, prima di passare a un più classico coltello, e la messa in scena vintage è efficace, dalla fotografia ai costumi, fino alle musiche pop-psichedeliche degli M83. Da segnalare nel cast, in un ruolo secondario, la presenza di Bertrand Mandico, a sua volta un raffinatissimo e rinomato regista sperimentale francese.