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The Last Duel

2021
REGIA:
Ridley Scott
CAST:
Matt Damon (Jean de Carrouges)
Adam Driver (Jacques Le Gris)
Jodie Comer (Marguerite de Carrouges)

Il nostro giudizio

The Last Duel è un film del 2021, diretto da Ridley Scott.

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto”, recita l’incipit del poema cavalleresco del Cinquecento Orlando Furioso di Ludovico Ariosto: ed è a questo contesto, anche se retrodatato di un paio di secoli, che guarda il nuovo e titanico film epico/storico di Ridley Scott, The Last Duel. Parliamo di un autore che a 84 anni riesce a sfornare due kolossal nello stesso anno (l’altro è il discusso House of Gucci), un regista infaticabile che muovendosi fra i generi più disparati continua a intrattenere egregiamente pubblico e critica come pochi altri (vengono in mente giganti quali Clint Eastwood, Steven Spielberg e Martin Scorsese). Il cinema epico, inteso proprio nell’accezione di epos, cioè come canto storico e mitologico di un popolo, è un fil rouge della vastissima filmografia di Sir Ridley, dall’apollineo e kubrickiano I duellanti (1977) – al quale il nuovo film di cappa e spada The Last Duel si riallaccia idealmente fin dal titolo – a roboanti kolossal come Il gladiatore, Le crociate e Robin Hood. In The Last Duel, una produzione faraonica come le precedenti, Scott si confronta con la Storia, cioè con vicende storiche e personaggi realmente esistiti, seppure gli si conceda volentieri un’aura romanzata. La vicenda parte dall’omonimo romanzo storico di Eric Jager – poi adattato in fase di sceneggiatura – e l’ultimo duello del titolo si riferisce appunto all’ultimo “Duello di Dio” nella Storia francese, una contesa giudiziaria che veniva risolta con il combattimento all’ultimo sangue fra i due contendenti. Siamo in Francia, nel Trecento, e Jean de Carrouges (Matt Damon) è un guerriero e feudatario al servizio del Re, così come lo scudiero Jacques Le Gris (Adam Driver).

Dopo aver giurato fedeltà al conte Pierre d’Alençon (Ben Affleck), cugino del Re, Jean si trova in ristrettezze economiche, e così chiede all’amico Le Gris di intercedere presso il conte, per poi sposare la ricca Marguerite de Thibouville (Jodie Comer). Ma, nonostante si distingua per alcune azioni militari di grande valore, de Carrouges non riesce a entrare nelle grazie del conte, che addirittura gli toglie il capitanato e un appezzamento di terra in favore proprio di Le Gris. L’ostilità fra i due cavalieri esplode crudelmente quando, mentre de Carrouges sta combattendo in Scozia, il rivale si reca nel suo castello e stupra la moglie Marguerite: a questo punto, la contesa può essere risolta solo con un duello all’ultimo sangue. Questa, per sommi capi, è la vicenda. O meglio, è l’inquadramento generale in cui si staglia tutta la lunga e appassionante storia. Perché una delle peculiarità di The Last Duel, sceneggiato con una cura certosina che moltiplica i punti di vista senza dare una verità definitiva, è la suddivisione in tre blocchi narrativi paratattici, ciascuno dei quali racconta la vicenda secondo la prospettiva e la versione dei tre personaggi – nell’ordine, de Carrouges, Le Gris e Lady Marguerite (la verità?) – in una struttura ripresa chiaramente da Rashomon (1950) di Akira Kurosawa.

Rispetto a film come Le crociate e Robin Hood, qua Ridley Scott decide di concedere meno spazio alle scene di battaglia – nonostante alcune ce ne siano, spettacolari e ben coreografate come al solito – per concentrarsi sui rapporti fra i personaggi (il cast è notevole), i dialoghi e la messa in scena di un Medioevo crudo e realistico, per esempio nei rapporti di totale subordinazione della donna nei confronti dell’uomo: la figura femminile perde la propria dignità di essere umano, diventando un puro motivo di puntiglio fra due guerrieri, e il concetto stesso di stupro diventa orribilmente relativo. Grazie anche a scenografie e costumi di altissimo livello, fra castelli e campi di battaglia, armature e spade, la regia di Sir Ridley è come al solito tonitruante e sfarzosa, spettacolare e sanguinaria, sostenuta da musiche altisonanti e da un montaggio da manuale, tanto nelle scene d’azione quanto nella struttura narrativa del film: lo vediamo per esempio nelle due battaglie narrate, cioè l’assedio di Limoges, con tanto di prigionieri decapitati, e il combattimento in Scozia, ma soprattutto nel cruentissimo duello risolutivo (preannunciato da un flashforward iniziale), che ricorda quello de Il gladiatore, carico di odio e con una messa in scena del tutto credibile. L’afflato epico, la cura certosina nella fotografia e un’attenzione per niente scontata alla Storia (vedasi i rapporti fra il Re e i feudatari), confermano ancora una volta Ridley Scott come il degno erede di maestri dell’epica quali furono Cecil B. DeMille e David Lean.