Featured Image

Dune

2021
REGIA:
Denis Villeneuve
CAST:
Timothée Chalamet (Paul Atreides)
Rebecca Ferguson (Lady Jessica)
Oscar Isaac (duca Leto Atreides)

Il nostro giudizio

Dune è un film del 2021, direttp da Denis Villeneuve.

Le aspettative erano alte e con grandi attese spesso arrivano grandi delusioni (sic!), Variety ha pubblicato un articolo che sottolinea le contraddizioni critiche riguardo il nuovo Dune, di Denis Villeneuve, presentato Fuori Concorso alla 78esima Mostra del Cinema a Venezia. L’amore e lo sviscerato odio che ha suscitato questo film tra i colleghi, evidenziano la complessità di dover criticare un film forse ancora poco decantato. Aspettative dunque, che raggiungono apici all’uscita del trailer (oramai un anno fa), la proiezione di 30’ di anteprima all’Imax di Londra, e ancora i disaccordi distributivi che hanno visto Villeneuve confrontarsi e lottare per un’uscita sul grande schermo. Aspettative, infine, alimentate dalla fama del materiale stesso, dai cicli cult di Herbert, all’immaginario meticolosamente concepito da Jodorowsky, alla produzione lynchiana del 1984 che, nonostante il flop, profuma ancora e coltiva la chimera di un cult per niente anacronistico. Anzi, a detta di molti, Lynch gode di una rivincita che aspetta da molto tempo e sta ridendo sul suo divano. Il Dune di Villeneuve (autore, tra gli altri, di perle del genere quali Arrival e Blade Runner 2049) è in realtà un Dune – parte prima, suggerendo una futura trilogia di lucaschiana memoria (aihme! Lo si nota dal poster stesso). Il film si apre con le immagini delle dune del brullo pianeta Arrakis, popolato solo dalle tribù Fremen, dai grandi vermi onnivori del deserto e dalla spezia, materiale estratto dalla sabbia e necessario per carburare le grandi, grandissime navi dei feudi dell’impero interstellare, che sfruttano il luogo oramai da generazioni.

L’incipit viene descritto, in voice-over, dall’autoctona Fremen Chani (una patinata neo diva Zendaya), che, nonostante i credit, apparirà solo brevemente alla fine del film. La critica sociale di impronta impero-economico-colonialista statunitense di Herbert era già evidente nel libro e Villeneuve, in questo caso, lo specifica ancora meglio (forse troppo), dando alle tribù e ai personaggi stessi delle connotazioni semite quasi imbarazzanti e al limite del cliché. La storia si concentra poi sul coming-of-age del giovane Paul di casa Atreides (un altrettanto sterile teen-boomer, Timothée Chalamet – Chiamami col tuo nome – che sembra non avere più di una manciata di espressione facciali), il quale, sotto la guida del saggio padre duca Leto Atreides (Oscar Isaac), la mistica madre Lady Jessica (una sempre efficace Rebecca Ferguson) e il maestro d’armi Gurney Halleck (un brillante ma poco sfruttato Josh Brolin) dovrà sostenere le sorti del suo popolo e dell’inospitale pianeta Arakkis. La vicenda poi è quella che tutti conosciamo: il tradimento dell’impero e della casa reale nemica degli spietati Harkonnen (tra i quali spiccano ma non emergono Stellan Skarsgard e Dave Bautista), l’espiativo vagare tra le dune del deserto letale, i vermi e ….basta! Villeneuve si ferma dove Lynch aveva appena iniziato. Il dominio dei vermi giganti, per intendersi, si accenna solo brevemente nel finale, lasciando allo spettatore la voglia di scagliare pomodori allo schermo.

Nel cast figurano ancora interpreti come Jason Momoa, David Dastmalchian, Javier Barden e Charlotte Ramplin. Tanto stellare il cast quanto povera risulta, tuttavia, la sceneggiatura. Personaggi che spariscono, dialoghi poco efficaci e insufficienti a momenti o spesso troppo esplicativi, intreccio poco coinvolgente, colonna sonora maestosa ma per nulla leggendaria (seppur firmata Hans Zimmer) e fotografia cupa ma non inquietante o particolarmente visionaria (di Greug Fraser che in Mandalorian soddisfa di più). E poi ci sono loro, le navicelle spaziali che risultano però esageratamente gigantesche e ricercate quasi a voler ostentare (e compensare) una dimensione che non c’è, alla faccia del grande schermo. Visuals supervisionati da Paul Lambert che ha già lavorato con Villeneuve in Blade Runner e scenografie di Patrice Vermette, Tom Brown e Richard Roberts che ancora non convincono nel loro immaginario alla Lego Technic. Unico elemento che forse persuade per sofisticazione da passarella haute couture, sono appunto i costumi che ricordano un Karl Lagerfeld prima maniera. Insomma Dune si palesa ma non folgora. Tradito, come il duca e i due cineasti prima di lui, Villeneuve non riesce ad imporsi con quest’opera che rimane ancora un capolavoro solo sulla carta. Aspetteremo…