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Baba Yaga: Incubo nella foresta oscura

2020
Titolo Originale:
Yaga. Koshmar tyomnogo lesa
REGIA:
Svyatoslav Podgayevski
CAST:
Oleg Chugunov (Egor)
Glafira Golubeva (Dasha)
Svetlana Ustinova (Tatyana / Baba Yaga)

Il nostro giudizio

Baba Yaga: Incubo nella foresta oscura è un film del 2020, diretto da Svyatoslav Podgayevski.

Mentre i cinematografici compagni di merende e di partito sembrano tutti presi dal ricondire in insalata russa gran parte dei blockbuster confezionati in quel della filmica terra del capitalismo a stelle e strisce, il buon Svyatoslav Podgayevski prosegue ormai imperterrito dal lontano 2015 la coraggiosa missione di riportare su grande e piccolo schermo l’orrifica tradizione del folklore slavo, con tutto il sacrosanto pot-pourri di spauracchi e brividozzi assortiti che la gloriosa Madre Russia ha sfornato sin dall’oscura notte dei tempi. E così, dopo le demoniache evocazioni a favore di specchio di Queen of Spades: The Dark Rite, i funerei riti matrimoniali di The Bride e le sirenesche mostruosità dai profondi abissi di The Mermaid – Lake of the Dead, stavolta tocca al babau per eccellenza della terra dello zio Putin, quella fetente e famelica entità stregonesca che risponde al terrificante nome di Baba Yaga. Si, proprio lei, l’oscura megera abitante il confine tra il nostro universo e quello del male, colei che venne a suo tempo sconfitta da un giovane puro di cuore ma che, lungi dallo starsene buona in quel ultramondano anfratto, continua imperterrita a cercare un tramite che possa liberarla dalla sua prigionia e ricondurla al nostro fianco, affamata di vendetta e carne umana. Meglio ancora se di qualche incauto moccioso.

Questa in sommi capi la premessa che sta alla base di Baba Yaga: Incubo nella foresta oscura, interessante horror dalle marcate tinte fantasy che, utilizzando l’impianto di una fiaba nera straordinariamente vicina per atmosfera e meccanica narrativa all’It kinghiano, ci narra la vicenda del giovane Egor (Aleksey Rozin), rimasto orfano di madre e costretto ad accettare la nuova relazione del padre (Denis Shvedov) con l’odiata Yuliya (Mar’jana Spivak), relazione che, manco a dirlo, ha portato alla nascita di una sorellina. Diviso fra le angherie di un gruppo di bulli capitanati dal coetaneo Anton (Artyom Zhigulin) e la forte attrazione per la compagna Dasha (Glafira Golubeva), il ragazzo dovrà fare i conti con una serie di inspiegabili eventi nel momento in cui la misteriosa tata Tatyana (Svletana Ustinova) entrerà a far parte della famigliola, rivelandosi ben lungi dall’essere propriamente “umana”. Che sia proprio lei la temibile Baba Yaga, pronta a tornare nel nostro mondo usando le madri e i loro bambini come tramite, arrivando persino a far scordare ai genitori l’esistenza della loro amata prole? Come piccoli intraprendenti Hansel & Gretel dinnanzi a un modo di adulti divenuti più che mai pericolosi e ostili, i nostri imberbi protagonisti saranno costretti a mettere da parte le proprie paure e a ficcarsi a capofitto in un’avventura al limite del soprannaturale, gotica come solo le vere favole sanno esserlo, messa in scena con un gusto estetico da far drizzare occhi e orecchie anche ai registi d’oltre cortina.

È una Russia straordinariamente moderna quella che fa da sfondo a Baba Yaga: Incubo nella foresta oscura, popolata da caseggiati minimalisti che ricordano solo vagamente le funzionali architetture sovietiche e nei quali la tecnologia e l’opulenza post Perestroika la fanno da padrone. Ma è proprio in mondo ormai del tutto secolarizzato ed occidentalizzato che le oscure leggende del passato continuano a manifestarsi in maniera più che mai concreta, inseguendo una vera e proprio ossessione neo stregonesca che, tra il folklore puritano del The Wicth di Eggers, il femminismo revisionista del Gretel & Hansel targato Oz Perkins e la magia animalesca del The Wretched dei Pierce Brothers, sembra aver fatto della fattucchiera la nuova iconica tendenza del cinema di genere di questi ultimi anni. Numerosi sono i rimandi alla grande tradizione dei filmici spauracchi metafisici che il nostro Podgayevski inserisce con sottile maestria in questa sua nuova fatica, dalla fornace maledetta del sempreverde Nightmare fino alla già citata tradizione kinghiana popolata da patriarchi impazziti (Shining) e imberbi losers coalizzati in un processo di crescita prematura che li porterà a scontrarsi con le oscure forze di un Male tanto fisico quanto metaforico (It). Ed è appunto sui traumi della crescita che il regista decide di indulgere, accantonando in parte il puro terrore delle precedenti opere in favore di un focus a misura di ragazzo, in cui la lotta contro il Male al fine di impedirne l’incarnazione in spoglie orribilmente familiari e il conseguente oblio degli affetti più cari diventa il vero motore trainante di un racconto che può tranquillamente essere goduto per quello che: una suggestiva, incalzante e disturbante favola nera degna di essere mostrata poco prima di coricarsi. A patto, s’intende, di poter tenere la luce ben accesa.