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The Wolf of Snow Hollow

2020
REGIA:
Jim Cummings
CAST:
Jim Cummings (John Marshall)
Riki Lindhome (Julia Robson)
Chloe East (Jenna Marshall)

Il nostro giudizio

The Wolf of Snow Hollow è un film del 2020, diretto da Jim Cummings.

Può esserci solo un regista vero, formato e solido negli intenti, a guidare un film inafferrabile come The Wolf of Snow Hollow. Il precedente Thunder Road qualche dubbio in merito lo lasciava, ma il secondo film di Jim Cummings mette le carte in tavola; il regista, scrittore e attore protagonista è un autore completo, e la sua cifra è la stranezza, la weirdness, l’assurdità trattenuta delle situazioni e dei personaggi che le affrontano. A Snow Hollow c’è un lupo mannaro. Non ipotetico, ma letterale: fin dall’omicidio a freddo in apertura, il regista gioca a carte scoperte. Una plasticosa località per settimane bianche nel cuore dell’America contemporanea si risveglia in piena stagione turistica alle prese con un mostro assassino emerso dalle più oscure leggende del medioevo europeo. Il peso dell’assurdo cadrà a schiacciare le spalle del povero sbirro locale John Marshall (Cummings), problematico omuncolo abituato alle più basiche mansioni quotidiane da officer di provincia, completamente incapace di rapportarsi al caos che da un giorno all’altro ne travolgerà la routine. The Wolf of Snow Hollow è tanto basico nelle premesse (cittadina di montagna perseguitata da un licantropo) quanto incatalogabile nella loro elaborazione. Non c’è nulla di prevedibile nelle azioni, nelle reazioni e nei comportamenti dei personaggi del film. I suoi novanta minuti paiono parlare più lingue insieme, e cadono in una sorta di zona franca della commedia nera; quella talmente tongue-in-cheek, talmente trattenuta, da lasciare lo spettatore con il dubbio se l’ironia sia voluta o meno. Una sorta di approccio-Wes Anderson all’horror, ma senza l’artificiosità ostentata a sottolineare gli intenti comici: al suo posto, una regia gelida, slavata, da autentico splatter sotto zero.

Che The Wolf of Snow Hollow sia una commedia lo si capisce infatti in corso d’opera. Il sottinteso straniante e ridicolo della normalità messa in crisi emerge attraverso la ripetizione, la serie reiterata dei quirk, delle idiozie, delle demenze ripetute. Comicità che si manifesta dunque indirettamente, perché comico il film non lo è: è anzi crudele, inquietante, persino carico di suspense. Non c’è nessuna follia liberatoria nei protagonisti di questa disperata e triste caccia al mostro; poliziotti eroi di una scomposta guerra all’ignoto, non più idioti di quanto non sarebbero delle persone reali nella stessa situazione. Persone, non personaggi, normali fino alla banalità, risvegliatesi da un giorno all’altro in un incubo slasher. E tanti saluti a ogni facciata di stabilità, mentale e collettiva. Il centro nevralgico della questione non è dunque il Wolf (che comunque incombe) ma il mattatore Cummings stesso, ancora una volta alle prese con l’elaborazione psicologica di un personaggio archetipico del racconto americano. La storia diventa quella del pacioso poliziotto John Marshall, e della sua maturazione nei rapporti familiari, sentimentali e lavorativi – mediati da una grottesca sfida al mostro. Di character study si parla dunque; ma senza quell’approccio pretestuoso e strumentale al Genere tanto caro al cinema piccolo borghese USA, ossessionato da trentenni immaturi e famiglie disfunzionali.

The Wolf of Snow Hollow rimane un lavoro con le sue radici nella mitologia Horror più che in quella Sundance; e il suo villain, feroce e presente, rifiuta di restarsene in panchina a fare da metafora, come tanto indie-horror moderno richiederebbe. Il paragone più diretto, che molti hanno fatto, è ovviamente Fargo; e al netto delle somiglianze superficiali, il collegamento ci sta. Anche qui come nel cinema coeaniano c’è uno schmuck, un povero idiota vittima degli eventi; e come in A Serious Man, un dybbuk a bussare alla sua porta. Quello che a sorpresa Cummings mette da parte è proprio il senso di saccente derisione tipico dei due ineffabili fratelli; c’è un regista che ama il racconto di mostri e serial killer, lo affronta a viso aperto e nel clamoroso finale cita persino Zodiac e Il Silenzio degli Innocenti, in una sorprendente prova di vero thriller. E’ la maniera migliore per imporre un twist forte ad un testo vecchio come quello del film di licantropi. Non sfotterlo, né banalizzarlo, ma prendendone drammaticamente sul serio le implicazioni.