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Amulet

2020
REGIA:
Romola Garai
CAST:
Carla Juri (Magda)
Alec Secareanu (Tomaz)
Angeliki Papoulia (Miriam)

Il nostro giudizio

Amulet è un film del 2020, diretto da Romola Garai.

Tomaz è un soldato, una sentinella in una foresta di un paese dell’Europa orientale durante una guerra non meglio precisata. La sua routine solitaria viene interrotta da due eventi: il ritrovamento di un singolare amuleto e l’arrivo di una donna in cerca di aiuto. Anni dopo, Tomaz è un homeless, vive a Londra e campa di lavoretti giornalieri. Una suora lo raccoglie dalla strada e gli permette di vivere in una casa fatiscente pagandosi il soggiorno con lavori di restauro e di manutenzione. Nel palazzo vive Magda, una donna distaccata e diffidente che si occupa di una vecchia signora malata. Man mano che i due coinquilini fanno conoscenza, si inizia a intuire che le cose non sono come sembrano e che tutti hanno qualcosa da nascondere. Amulet è un film che si prende i suoi tempi narrativi, senza fretta, giocando su una serie di disvelamenti incrociati che traghettano il lettore verso un body horror progressivamente più surreale dando una profondità morbosa e opprimente al modo in cui le cose acquistano un senso diverso con il progredire della pellicola. Se da una parte Magda, la suora e la vecchia nascondono un male ancestrale che viene a galla in maniera non proprio inaspettata, il velo che cade rivelando il passato di Tomaz sorprende di più, aggiungendo una dimensione oscura e disturbante a un protagonista che acquista una valenza diversa all’interno della pellicola.

Amulet è costruito su un’atmosfera oscura e morbosa, che vira gradualmente verso un onirico febbrile insinuandosi come una febbre che sale poco per volta fino a sfumare i contorni del reale in una narrazione vagamente delirante e qualche trovata sopra le righe, con cui la regista si concede di sperimentare uscendo dal seminato delle declinazioni più commerciali del genere. A voler vedere, Amulet commerciale non lo è per nulla, non lascia spazio ai brividi a buon mercato e chiede allo spettatore di lasciarsi accompagnare in una situazione che ha bisogno del suo tempo per raggiungere una compiutezza complessa e ricca di sfaccettature. I personaggi, le loro interazioni e l’ambiente in cui si muovono sono rappresentati con una sensibilità profondamente autoriale, al punto che in più di un frangente si ha l’impressione di trovarsi in tutt’altro film, almeno a livello di target commerciale, tenendo conto dell’artificiosa stupidità delle categorie di genere narrative usate per incasellare un’opera in narrativa “alta” o “di consumo”.

L’esordio alla regia di Romola Garai ricorda, per certi versi, diverse fasi della poetica di Cronenberg. Se la fase delle mutazioni corporali è piuttosto chiara da individuare, infatti, c’è un parallelismo con Spider che non risulta immediato ma una visione approfondita emerge. Vuoi per le atmosfere, vuoi per i tempi narrativi dilatati, vuoi per un protagonista che, con un enorme mutatis mutandis come presupposto di base, ha in entrambi i casi un’aria confusa e disorientata. Il risultato è un film ricco e intenso in tutto e per tutto, una narrazione solida costruita sfruttando al massimo tutti gli elementi, dalla caratterizzazione dei personaggi, rarefatta quando serve ma capace di salire di tono nei momenti giusti e in maniera non banale, a un’ambientazione cupa, sporca e malata in cui tutti gli elementi, sia visivi che sonori, sono orchestrati con grande efficacia. Un horror sui generis, non facile ma soddisfacente, caratterizzato dalla volontà forte di raccontare una storia dall’identità forte, con il coraggio di non cercare facili compromessi.