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Fabrizio De André e PFM – Il concerto ritrovato

2019
REGIA:
Walter Veltroni

Il nostro giudizio

Fabrizio De André e PFM – Il concerto ritrovato è un docufilm del 2019,  diretto da Walter Veltroni.

Difficile raccontare con parole degne e sacre quello che possiamo definire il culto di Fabrizio De André e della sua immagine perennemente dannata. Lui che, con il suo modo di dire e di fare, esula per scelta da ogni classificazione di massa. A riuscirci, alla fine dei conti, sono solo le sue canzoni. E l’amico Paolo Villaggio che gli cuce addosso il soprannome “Faber” in riferimento non solo all’assonanza con il nome, ma anche alla sua passione per le matite colorate. Ci prova, ma con scarso successo, anche Walter Veltroni con il  docufilm Fabrizio De André e PFM – Il concerto ritrovato, che ha il solo merito di portare al cinema lo storico appuntamento musicale genovese del 3 gennaio 1979, recuperato dopo quarant’anni. A salvarlo dall’oblio Pietro Frattari che quella sera filma lo spettacolo nella maniera più discreta possibile, con scarse luci e pochi mezzi. Complice la difficoltà di De André ad accettare, con serenità, la presenza di un occhio indiscreto a registrarlo. A spiegare De André, con parole chirurgiche come le sue canzoni, non ci riescono neppure i protagonisti del docufilm: Franz Di Cioccio, Patrick Djivas, Franco Mussida, Lucio Fabbri, Roberto Colombo – la formazione della PFM protagonista con De André di quella tournée – e la stessa Dori Ghezzi, compagna di una vita del cantautore.

I dialoghi sono fragili  e scivolano nello scontato: quelli ambientati a bordo dello storico trenino rosso, che attraversa un bosco  fiabesco e collega l’entroterra genovese alla città, restituiscono allo spettatore il ritratto tipico di ”quattro vecchietti al bar” che fanno a gara a parlare tanto  del caro estinto ma poco dicono. Perché non bastano al regista parole e musica straordinarie, un protagonista cantautore che vive “sempre in direzione ostinata e contraria”e un grande amore, per riuscire a  scrivere una bella storia. Una di quelle  che più la racconti, più acquisisce forza, in grado di consumare lo spettatore e di ricordargli quanto è stato stupido. Quanto lo è  ancora. E quanto la sarà ancora. Veltroni ci prova ma, al contrario, il suo racconto si consuma,  il pathos si appanna e la nuova versione suona più sciocca e vuota delle precedenti narrazioni. Un lungo prologo, qualche aneddoto degno di nota tra cui De André che prende quasi le difese di chi lo contesta in un concerto a Roma, invitando gentilmente un piccolo gruppo di loro ad andare sul palco ed esporre le loro ragioni; De André che per provocarli sostituisce “Arrivederci” con “Vaffanculo” in una strofa di Amico fragile.

De André timidissimo che si stordisce con l’alcol prima di ogni concerto o che, sotto l’effetto di un acido somministratogli a tradimento da un ragazzo in un bar, si mette a correre come un pazzo in mezzo a una campagna inseguito dalla PFM e da Dori Ghezzi. Numerose le foto di Guido Harari, alcune iconiche con Faber steso per terra attaccato a un termosifone perché infreddolito e con la febbre alta e quella ufficiale della tournée con la PFM e il cantautore che, incapaci di mettersi in posa, sbeffeggiano divertiti il famoso fotografo. Poi prendono il via (finalmente) alcune scene del concerto, nato da una proposta della Premiata Forneria Marconi. Il gruppo, infatti, chiede a De André di realizzare un tour insieme, rielaborando musicalmente certi suoi brani. Un’accoppiata che fa storcere il naso a molti perché si tratta di combinare artisti troppo diversi tra di loro come sono troppo distanti i loro pubblici. Ma Dori Ghezzi nel documentario spiega e risolve l’arcano: “Tutto quello che era rischioso o improbabile per Fabrizio andava bene.” E storia fu.