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Holiday Hell

2019
Titolo Originale:
Holiday Hell
REGIA:
Jeff Vigil, Jeff Ferrell, David Burns, Jeremy Berg
CAST:
Jeffrey Combs (Il negoziante)
Meagan Karimi-Naser (Amelia)
Jeffrey Arrington (Robert)

Il nostro giudizio

Holiday Hell è un film del 2019, diretto da Jeff Vigil, Jeff Ferrell, David Burns e Jeremy Berg.

Viene il Natale, e come ogni anno, sotto lo sbrilluccicante abete, fra una fettona di panettone e qualche bicchierozzo di spumante, è tempo di far incetta di buone intenzioni. Se dunque non avete ancora iniziato ad appuntarvi i buoni propositi per l’anno nuovo, prendetevi un’oretta e mezza e date un’occhiatina veloce a Holiday Hell. Fidatevi, ne vale la pena. Non perché sia un bel film, ci mancherebbe altro. Semplicemente, se siete aspiranti cinematografari oppure semplici spettatori, avrete modo di usufruire di una rapida e intensiva lezione sul come non si deve realizzare un horror senza avere per le mani due materie prime fondamentali: l’idea e il talento. Se infatti sulla seconda, entro certi limiti, si può anche sorvolare, per quanto riguarda la prima, spiace davvero tanto, ma non si accettano giustificazioni, men che meno all’alba del 2020. Ma facciamo un po’ di ordine.  Dunque, questo prodottino antologico pesantemente derivativo, scritto (male) e diretto (ancora peggio) dalle ben otto manacce di Jeff Vigil, Jeff Ferrell, David Burns e Jeremy Berg, si compone di quattro storie, dedicate ciascuna ad una particolare festività dicembrina, aventi come collante la più classica delle straclassiche cornici narrative: una giovane pulzella (Megan Karimi-Naser), costretta a scovare all’ultimo minuto un dono da appioppare alla sorellina sotto al vischio, capita per caso in quel di un equivocantissimo negozio di antiquariato gestito, nientepopodimeno che, da Jeffrey “Re-Animator” Combs in persona, da queste parti non si sa bene come e disposto a illustrare all’ignara cliente una serie di oggetti dal trascorso decisamente inquietante.

C’è l’immancabile maschera di porcellana appartenuta a una sciroccata giovinetta intenta a far incetta di giovani avventori, capitati nella di lei casa per festeggiare non si sa bene cosa. C’è il sempreverde pupattolo maledetto, qui nelle strambe vesti di un Chucky versione rabbino, amorevolmente regalato al proprio pargoletto da una coppia di genitori per la festa ebraica di Hannukkah, salvo poi diventare lo spietato golem personale con cui il piccolo festeggiato se la spassa allegramente, alla faccia della povera baby sitter. C’è addirittura il lercio abito da Babbo Natale indossato da uno sfigatissimo e pazzoide impiegato, le cui rotelle se ne sono partite per la tangente durante una festa aziendale a causa delle continue vessazioni, trasformandolo in un sanguinario Santa Killer modello Silent Night, in quello che, a dirla tutta, è il miglior episodio dell’intera baracca. Si finisce con la genesi del bell’anellino indossato dalla protagonista, ereditato sotto la sanguinolenta ombra di un terribile rituale propiziatorio invernale che nulla ha di che invidiare ai peggiori incubi kinghiani. Ma per non farsi mancare proprio nulla, ecco giungere un twist dell’ultimo minunito che rende l’epilogo di questa già barcollante operazione, se possibile, ancora più deprimente e a rischio di pubblico linciaggio.

Un gran fetore anni ’80 si propaga da ogni singolo poro di questo Holiday Hell, un cattivo odore di stantio che rende la visione estremamente pesante anche per quelli che, come noi, sono cresciuti a pane raffermo e Troma a gogò. Non serve infatti essere degli incalliti cinefili flo-tarantiniani per scovare ruberie a destra e manca, uno scippo in piena regola di un po’ tutto il plateau slasher dei bei tempi andati, compiuto in bella vista sotto il sole di mezzanotte senza alcun ritegno. Ma se a gran parte del cinema – quello con la C maiuscola – di genere contemporaneo si è soliti ormai perdonare qualche debito col glorioso passato, qui a far incacchiare sul serio è anche, e soprattutto, il fatto che le già poche e saccheggiate idee sono per giunta messe in scena con una sciatteria difficile da rintracciare anche nelle più fragili e anemiche produzioni di serie Z. A volerla mettere giù con simpatia si potrebbe dire che, l’impressione generale, è quella di un’esercitazione da scuola di cinema messa in cantiere durante le vacanze da un gruppo di brufolosi studentelli con tanta passione nel cuore ma ancora altrettanta strada da fare prima di raggiungere la sufficienza. E poi, ancora una volta, sorge spontanea una semplice ma fondamentale domandina: che cacchio ci fa uno come Combs in una masnada del genere? Misteri della fede…