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Rambo: Last Blood

2019
Titolo Originale:
Rambo: Last Blood
REGIA:
Adrian Grunberg
CAST:
Sylvester Stallone (Rambo)
Paz Vega (Carmen Delgado)
Sergio Peris-Mencheta (Hugo Martínez)

Il nostro giudizio

Rambo: Last Blood è un film del 2019, diretto da Adrian Grunberg.

Rambo: Last Blood. Ultimo sangue. Il primo Rambo, nell’originale, era First Blood tra parentesi. Il detto evangelico si invera, non nella vita e nemmeno nella mistica, ma nel cinema. Guarda un po’. Gli ultimi saranno i primi. Poiché l’ultimo sangue è il migliore della serie accanto al primo. Forse, addirittura, sopravanza il primo, almeno per una sensibilità, per un orecchio, prima che un occhio, quale il nostro. Cui piacciono (brutto verbo ma altro non me ne viene per la bisogna) le cose davvero occidue, crepuscolari, non inteso in senso estetico ma come stimmung. Le cose ultime, appunto. Il film è Sylvester Stallone, come gli altri Rambo, ma più degli altri. Sly ha 73 anni e nessun film attuale porterebbe sulla scena un protagonista di 73 anni. Non negli action. Non in America. Perché Sly è Sly ma 73 anni sono 73 anni. Il corpo, questo corpo, grande, grosso, bolso, lento e rallentato, lo si direbbe un corpo impossibile. C’è chi aveva innalzato peana a John Rambo, 2008, dove Sly di anni ne aveva una sessantina e che era una variazione sul tema della guerra: il Sud Est asiatico, mimetiche, mitraglie, le bombe, i fiumi, il solito armamentario. Vero, Rambo là si era ritirato nel privato, aveva chiuso i battenti al se stesso di prima, ma l’imprinting restava quello del due e del tre. C’è bisogno, lo chiamano e lui ritorna. Rambo: Last Blood no.Questo ultimo sangue è un salto quantico, di Sly e della serie.

Rambo è in America. Vive in un ranch, si prende cura degli stalloni (nel senso dei cavalli), li striglia, li accudisce, fa il dressage. La stupefazione sulla faccia di Sly, la sua faccia, si è fatta incredibile. Cascante, inebetita, il labbro pendulo, come se guardasse costantemente da un’ altra parte, come se fosse da un’altra parte. Ha per casa solo una vecchia messicana, la cui nipote egli tratta come una figlia. Lei è bella, esuberante ma con problemi, perché il padre l’ha mollata ed è suo desiderio ritrovarlo. Un giorno torna in Messico, senza che nessuno lo sappia, bussa alla porta del papà, che la caccia via. Tutta questa china viene discesa affinché la ragazza incappi in una banda di narcotrafficanti e delinquenti che la prendono e la mettono in un bordello, dove vengono a fare i loro porci comodi anche tutti i poliziotti del posto, ovviamente collusi. Botte da orbi e iniezioni di eroina Per farla, non breve ma brevissima, Rambo lo viene a sapere, monta sul suo van ed entra in Messico per cercarla. In prima battuta, rimedia un pestaggio colossale dai narcos, che lo marchiano su una guancia con un coltellaccio. Lo ritrova Paz Vega, una giornalista, che se lo porta a casa, lo accudisce e gli darà poi le indicazioni per ritrovare la ragazzina. Stavolta Rambo non ci va con la pistola, ma con un martello e dopo avere spaccato i coglioni (letteralmente) a quelli del bordello, la prende e se la porta via. Ma lei gli muore sul van. Era quello che tutti aspettavamo, perché se Sly imbestialito con il maglio era dieci, quello che sta per arrivare è undici, quindici, venti…

Lo scontro finale avviene nel suo ranch, nel suo territorio d’azione che Sly ha operosamente lardellato di trappole ferocissime. Lavorando molto sui chiodi, sugli spuntoni, sugli aculei. Rambo vive praticamente in un tunnel sotterraneo, come un ratto, ad ogni svolta del quale ha nascosto qualche micidiale ordigno. Per attirare i narcos nel suo mondo, fa prima, di nuovo, un salto in Messico e decapita uno dei due leader dei cattivacci, piantandogli nel petto una foto della ragazzina, così che sappiano chi è stato. E quelli, in grande assetto di guerra, si muovono in corteo alla volta dell’Arizona. Il quarto d’ora finale è indescrivibile e va visto. Punto. Sly è diventato una sorta di Jason o di Michael Myers: uccide freddamente tutti e con cattiveria e a noi piace pensare che gli voglia proprio fare male, che non gli basti massacrarli ma che la sua azione proceda più in là, nello stesso territorio dove si muovono i grandi mattatori dello slasher. Ci mette sotto anche della musica, alle sue stragi, azionando un vecchio mangianastri. E a noi non resta che inchinarci alla potenza del film di Adrian Grunberg, una vita come aiuto di Mel Gibson, che era stato anche protagonista del suo esordio dietro la macchina da presa, Viaggio in paradiso (Get the Gringo), 2012.