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In Fabric

2018
Titolo Originale:
In Fabric
REGIA:
Peter Strickland
CAST:
Marianne Jean-Baptiste (Sheila)
Hayley Squires (Babs)
Leo Bill (Reg Speaks)

Il nostro giudizio

In Fabric è un film del 2018, diretto da Peter Strickland.

Colori fluorescenti, luminescenze retrò e synthesizers d’atmosfera: bastano una manciata di secondi all’inizio dell’ultimo film di Peter Strickland per rendersi conto a quale registro stilistico l’autore inglese stia facendo riferimento. Non che una scelta così esplicitamente vintage faccia così effetto di questi tempi, vista la rapidità con cui lo stilema visivo del giallo all’italiana sembra essere tornato in voga. Strickland però, che con il mondo dell’horror anni ‘70 ha già avuto a che fare (chi fosse interessato può cimentarsi nel delirio acustico del suo Berberian Sound Studio), di questioni visive e rappresentative sembra saperla decisamente lunga. E infatti il suo In Fabric, presentato in anteprima al Torino Film Festival dello scorso anno, attorno a queste dinamiche estetiche non si limita a costruire la propria cifra stilistica ma imbastisce addirittura i suoi meccanismi narrativi. “Killer dress” è stato battezzato da alcuni il pericolosissimo vestito rosso che rappresenta il fulcro tematico e narrativo del film.

Sembra quasi una barzelletta ma da ridere c’è ben poco: l’abito con cui i protagonisti di In Fabric entrano in contatto sembra infatti avere come obiettivo quello di tormentare le vite degli sfortunati acquirenti. Una premessa tra il serio e il faceto che Strickland abbraccia in tutte le sue sfumature di tono, alternando sapientemente orrore e ironia in quella che si potrebbe definire una parabola ironica di orrore soprannaturale. La tendenza all’accumulo sensoriale, esplicitata già nei titoli di testa, si rivela ben presto quale motore dell’azione di questo film ridondante e aggressivo. Difficile selezionare uno specifico motivo narrativo in questo marasma di invenzioni: fra commesse dal look gotico-vampiresco e manichini dai genitali sanguinanti, passando per lavatrici impazzite pronte a straziare le carni di chi vi si appressa, quello di Strickland somiglia un grande raccoglitore di immagini e idee, a turno ironiche e orripilanti, pronto a scagliarsi violentemente contro lo spettatore.

A tenere insieme il tutto c’è un ovvio tentativo di delineare, attraverso questa vicenda sgangherata, un discorso relativo al ruolo dell’elemento estetico-visivo nell’ambito di un consumismo quotidiano ritratto, soprattutto nella prima parte, con adeguata dovizia di particolari. Riflessione, questa, che se da una parte legittima ed eleva le scelte stilistiche dell’operazione, dall’altra rischia alle lunghe di minarne le fondamenta strutturali. Quando infatti la trama abbandona, per motivi che non staremo a svelare, il quadro narrativo iniziale per spostarsi altrove, il film perde inevitabilmente di mordente, finendo per diluire quello che era il discorso portante dell’intera operazione. È proprio nel tentativo di giustificare la propria brillantezza estetica, quindi, che In Fabric tende sulla lunga durata a trasformarsi in mero esercizio di stile. Una scelta voluta, forse? Difficile dirlo. Nel dubbio non resta che abbandonarsi al sapore vintage e alla grande finezza realizzativa della sinfonia sensoriale composta da Strickland. In questo senso, perlomeno, è difficile negargli un poco d’attenzione.