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The Deep

2012
Titolo Originale:
Djúpið
REGIA:
Baltasar Kormákur
CAST:
Ólafur Darri Ólafsson (Gulli)
Jóhann G. Jóhannsson (Palli)
Stefán Hallur Stefánsson (Jon)

Il nostro giudizio

The Deep è un film del 2012, diretto da Baltasar Kormákur.

Come può un ventiduenne sovrappeso, fumatore accanito, resistere sei ore, di notte, in inverno, nelle acque gelide dell’isola Heimaey, nell’arcipelago delle Vestman, a sud dell’Islanda? Sembra impossibile, eppure è accaduto davvero nel 1984 a Gudlaugur “Gulli” Fridthórsson, unico superstite del naufragio del peschereccio Breki in una notte buia e tempestosa, come direbbe Snoopy. Il regista Baltasar Kormákur, born in Reykjavik e già noto per Everest (2005) con un cast tutto Usa, Robin Wright compresa, ha voluto portare sullo schermo (nel 2012, ma giunto in Italia solo in questi giorni agostani!) la vicenda di Gulli. Ed ecco The Deep (titolo originale Djúpið). Kormákur, 53 anni, lo ha fatto portandosi ai limiti dell’horror, nonostante i fatti vengano raccontati con precisa attenzione alla cronaca. Dopo una colossale sbronza e un po’ di cazzotti a un prepotente (eventi frequenti da quelle parti…) per difendere un giovane cuoco che si imbarcherà con lui, giunto dalla terraferma (come viene indebitamente nominata l’Islanda), Gulli e gli altri quattro capitani coraggiosi si imbarcano in una gelida alba scura e lasciano il porto di Heimaey in cerca di merluzzi, sempre meno numerosi in zona. E lo fanno – i soldi sono sempre meno – nonostante le terrifiche condizioni meteo. In breve, però, il barcone si impiglia sul fondo, si capovolge e, in balia delle onde, affonda.

E qui hanno inizio i minuti di orrore: aggrappati a un pezzo di legno (due dei pescatori spariscono tra i flutti) i tre superstiti tentano di farsi coraggio l’un l’altro, ma solo Gulli resisterà. Rimasto solo nuota e… pensa: alla sua vita, alla mamma cui è legatissimo, agli amici, alla ragazza che gli piace, alla disastrosa eruzione vulcanica dell’Eldfell (1973) che distrusse mezza isola, compresa casa sua (il regista rende bene questi ricordi utilizzando filmini in 16 millimetri). Durante l’ odissea in mare, suo unico compagno di chiacchiere è un gabbiano, come in Racconto di un naufrago di Gabriel Garcia Marquez (solo che lui non mangerà l’uccello per sopravvivere…). Alcune immagini mi hanno portato alla mente scene notturne di autoriflessione solitaria dell’ hemingwayano Il  vecchio e il mare, con Spencer Tracy (di John Sturges e Fred Zinnemann, 1958) che pure si svolge nelle acque ben più calde di Cuba. Gulli riesce, attraverso un inconsapevole training autogeno e a condizioni fisiche inspiegabili, a raggiungere le ostiche rocce dell’isola. Ed ecco una scena ai limiti del surreale, orrorifica, in un film pur estremamente realistico: arrampicatosi faticosamente sugli scogli e raggiunta una spianata gelata abitata solo da un paio di mucche, il pescatore, dopo essersi abbeverato in una vasca per i bovini resa quasi inaccessibile dal ghiaccio che è costretto a spaccare a colpi di pietra, si gonfia, si incurva, il torace quasi esplode sotto la camicia bagnata, proprio come avviene all’ Incredibile Hulk.

Gulli diviene, sia pur per pochi secondi, un mostro. Solo un mostro potrebbe, infatti, riuscire a fare ciò che ha fatto lui. Tornato a casa diviene oggetto di studi di medici locali e poi spedito in un ospedale di Londra per più specifici controlli, ma nessuno sa (a tutt’oggi) spiegarsi come possa avercela fatta. Tornato a casa, non ha subito il coraggio di andare a riabbracciare la moglie e i figlioletti di uno dei suoi compagni scomparsi in mare. Lo farà solo dopo un po’ di tempo: un impegno più tremendo della sua stessa vicenda fra le onde con i bimbi che gli dicono: «Ma tu sei una foca?». Passa davanti alla casa della bella ragazza dai capelli rossi che tanto gli piace, ma anche qui gli manca il coraggio di approcciarla, nonostante in paese sia ormai una sorta di supereroe. A riprova che esistono svariati tipi di coraggio.Oggi Gulli ha 57 anni (il regista mostra sui titoli di coda di The Deep alcune foto di allora del vero protagonista): ha sempre continuato fare il pescatore. Divenendo, in un certo senso, il testimone involontario e moderno della inquietante storia delle isole Vestman. Narra infatti il Landnamábok, manoscritto anonimo medioevale islandese che descrive la sanguinosa colonizzazione dell’ isola, la vicenda di Guðríður Símonardóttir, una isolana venduta come schiava in Algeria che riuscì, dopo mille vicissitudini che la condussero in Tunisia e in Italia, a tornare incredibilmente in patria. Miracoli degli abitanti delle Vestland. Bravissimi gli attori i cui nomi (per noi) impronunciabili ci dicono poco o nulla.