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Kin

2018
Titolo Originale:
Kin
REGIA:
Jonathan Baker, Josh Baker
CAST:
Myles Truitt (Eli Solinski)
Jack Reynor (Jimmy Solinski)
Dennis Quaid (Hal Solinski)

Il nostro giudizio

Kin è un film del 2018, diretto da Jonathan e Josh Baker.

Vi immaginate se da ragazzi aveste trovato davvero uno di quei meravigliosi pistoloni a raggi fotonici che vi divertivate ad armeggiare agitando con le dita un bastone e facendo strani versi con la bocca? Ecco, l’idea di Kin è tutta qui. A renderla cool è l’aspetto dell’arma e il contesto assolutamente proletario e realistico in cui è inserita. Uno spiffero di fantascienza anni ’80 alla Explorer e Dimensione Alfa in un film dei Fratelli Coen. E anche qui alla regia ci sono due Fratelli, i favoleschi (più che favolosi) Baker. Poi nell’ordine: un paio di star coinvolte (James Franco, Dennis Quaid); un ragazzino di colore con lo sguardo da cagnolino smarrito (Myles Truitt); una bella spogliarellista un po’ puttana e un po’ madre in cerca di famiglia da gestire (Zoë Kravitz); tutto per un road movie stile «fuga col malloppo», dove sai già che tutto finirà male anche se non così male, perché al posto di Tony Scott e Tarantino, qui c’è gente che guarda più alla scuola di Richard Donner e Chris Columbus, quindi con i livelli di violenza resi innocui dall’assenza di sangue e di crateri corporei.

Il problema è tutto qui: un interessante crossover tra noir, teen-movie e sci-fi anni ’80 che finisce per non onorare nessuno dei generi a cui fa riferimento. Troppo cinico e crudo per dei teenager con la bacchetta di Harry Potter sotto al braccio e non abbastanza lascivo e brutale per chi ama sentire all’infinito la storia di Caino. Kin corre con il suo bel ritmo lungo l’America di periferia, spara, sogna e perde, ma in fondo non riesce a penetrare mai la superficie dello stereotipo accademico. Se evitiamo di farci strattonare lungo le autostrade e distrarre dalle esplosioni megatoniche della suddetta pistola miracolosa, notiamo però un ritratto famigliare di rara disfunzionalità: un padre che non accetta più un figliol prodigo (stile ritorno a casa di Alex in Arancia Meccanica) e il suddetto figliol prodigo (Jack Reynor) che lo deruba e ne causa la morte. Due fratellastri che provano a diventare amici ma sono divisi da un segreto tremendo. E infine un nuovo nucleo famigliare di giovani smarriti e randagi, che si forma grazie a dei soldi rubati e a sogni confusi di una fuga in Messico e finisce per disgregarsi tra digressioni futuristiche alla Terminator, irruzioni malavitose e della polizia più ininfluente della storia del cinema dopo quella di The Blues Brothers, senza più ricongiungersi.

Kin non è un film sbagliato, vuole solo imprigionare Quentin Tarantino in un barattolo di marmellata Disney. E non è il risultato che il pubblico spererebbe di avere, comunque. Vediamo anche quanto a volte, nel cinema, una lettera possa cambiare drasticamente le cose. James Franco è passato dal produrre Kink, documentario duro e ironico sul sadomaso, al perdere la K e rimanere invischiato in un lungometraggio post-moderno dove tutta la malvagità si regge su di lui; ma il suo mullet è forse la cosa più inquietante e dura da mandar giù. Questo è un film in cui l’omicidio e il furto non sembrano più i vecchi e perfidi peccati capitali, bensì delle blande opzioni per giungere dal punto A al punto G di una sceneggiatura secchiona.