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Frankenweenie

2012
Titolo Originale:
Frankenweenie
REGIA:
Tim Burton
CAST:
Charlie Tahan (Victor Frankenstein)
Winona Ryder (Elsa van Helsing)
Catherine O'Hara (Susan Frankenstien/insegnante di ginnastica/Stranella)

Il nostro giudizio

Frankenweenie è un film del 2012, diretto da Tim Burton.

Memori del deludente Dark Shadows a foraggiare le scoraggianti premesse, il cinismo che è in noi ci spingerebbe a liquidare a priori questo Frankenweenie, remake del corto dello stesso Tim Burton risalente al 1984, in quanto mera operazione commerciale. Invece, il film d’animazione firmato dal regista nativo di Burbank, realizzato con la tecnica dello stop-motion, sorprende positivamente, seppur con qualche riserva. Si denota, infatti, uno stile scevro dall’eccesso di fronzoli gotici divenuti stereotipo, presentandosi sobrio e asciutto nell’essenzialità del bianco e nero; un ritorno alle origini, quindi, non solo visivamente ma anche nelle tematiche.

Il canovaccio narrativo dei 29’ originari non è dilatato inutilmente, bensì sviluppato e arricchito di elementi che lo rielaborano in modo non sterile: macabre figure infantili, l’approfondimento della tematica centrale, quella della Morte (e della sua non-accettazione) e la contrapposizione tra universo adulto e mondo fanciullesco. Perno di  Frankenweenie sono le innumerevoli citazioni dei classici dell’horror, che lo rendono vero e proprio homage: non solo Frankenstein ma anche Godzilla oppure Vincent Price – le cui fattezze si rivedono nell’illuminato professore di scienze che verrà cacciato dall’ottusa comunità – e nomi leggendari dell’horror cinematografico disseminati ovunque, talvolta in modo eccessivamente naïf.

Burton è autobiografico nella rappresentazione di un outsider e nel citare se stesso (chiari i riferimenti al magnifico e ben più crudele Vincent, del 1982), riuscendo di nuovo a risvegliare, almeno in parte, il nostro enfant macabre interiore. La storia di Victor Frankenstein, bambino che riporta in vita il proprio cane poiché non ne accetta la perdita, pecca tuttavia di un eccesso di buonismo puerile, difetto ormai abituale nei lavori più recenti di un cineasta che si è eccessivamente ammorbidito, lasciandosi alle spalle l’ironia tagliente di Beetlejuice e l’immaginario lugubre di Sleepy Hollow.