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Trio

1967
Titolo Originale:
Trio
REGIA:
Gianfranco Mingozzi
CAST:
Luciano Bartoli
Maurizio Boniglia
Luigi Casellato

Il nostro giudizio

Trio è un film del 1967 diretto da Gianfranco Mingozzi.

Immerso nel clima d’agitazione che prepara lo scoppio della contestazione ormai imminente, il lungometraggio d’esordio di Gianfranco Mingozzi vanta una storia produttiva assai particolare: non avendo i soldi necessari per realizzare un lungo, Mingozzi e Gian Vittorio Baldi, produttore della pellicola, a sua volta apprezzato regista di documentari, decidono di dilazionare la spesa girando tre medi intervallati nel tempo, tre storie diverse su tre ragazzi che dovrebbero rappresentare altrettanti emblemi dello spaesamento delle nuove generazioni e della loro ricerca di nuovi valori in opposizione a quelli stantii dei padri. Forte delle passate esperienze documentarie, Mingozzi punta tutto su uno stile diretto, frenetico, pedinando uno ad uno i suoi personaggi senza mai arrendersi di fronte alla loro inesauribile quotidianità. Quasi realizzando una delle più vulgate utopie zavattiniane, Mingozzi sposa la causa del cinéma verité, realizzando un interessante esperimento di docu-fiction intrecciando alternativamente, al montaggio, le tre diverse flânerie dei ragazzi, ognuna mantenuta ermeticamente nel proprio esclusivo piano diegetico.

Troviamo così la (vera) giovane cantante anni ‘60, Marisa Galvan, qui al suo unico exploit nel mondo del cinema, nel frammento più docu dell’intera pellicola, e ne seguiamo la trasformazione da ex-commessa a promettente urlatrice, dopo la vittoria a un premio canoro e il conseguente lancio nell’industria discografica. Mariella Zanetti – l’unica attrice vera del film, che nello stesso anno gira l’altrettanto oscurissimo Gli altri, gli altri e noi, film da regista di Maurizio Arena – è invece una giovane di buona famiglia che per sfuggire al dorato benessere di casa reagisce a modo suo offrendosi a chiunque le capiti. Ma il segmento più convincente, quello che più stigmatizza l’umore e i fermenti di una generazione in attesa di esplodere, è senz’altro quello che vede Walter Vezza -altro giovane al suo unico film- come inquieto studente che si trova a spiare un mite e grigio scapolo borghese, meditando un piano per farlo fuori che non sapremo mai se avrà il coraggio di portare fino in fondo (altra riflessione sull’atto distruttivo, esternamente gratuito, dell’uomo sulla via della ribellione, come in Dillinger è morto, come in Il gatto selvaggio…).

Vietandosi per principio ogni intervento manipolatorio sulla realtà che ha scelto di mostrarci, lo sguardo di Mingozzi ferma in preziosissimi istanti di verità i diversi squarci di vita su cui si affaccia. Nella sua sospensione di giudizio, nella sua distaccata partecipazione, Trio è una fotografia molto aderente e spontanea dei pruriti contestatari che all’epoca informavano la coscienza di un giovane cinema politico non ancora imbalsamato negli schemi dell’impegno fine a se stesso. Peccato che il pubblico lo vide troppo tardi, ormai in pieno agosto ‘68, avendo trovato la via della distribuzione soltanto in seguito al discreto successo del secondo film di Mingozzi, Sequestro di persona – ma Trio, completato già da quasi due anni, nel frattempo aveva raccolto un premio a Pesaro ed era passato persino a Cannes. Un ritardo che, almeno da noi – in Canada uscì regolarmente, per questioni di co-produzione – ha avuto l’effetto di “normalizzare” la spasmodica ansia di “nuovo” dei suoi protagonisti reinserendola in un contesto socio-culturale ormai definitivamente mutato.