I campi sperimentali di Bruno Mattei e Sergio Garrone

Sulla scia di Don Edmonds, i primi eroSSvastika in Italia
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Su impulso di Ilsa, la belva delle SS di Don Edmonds, vengono realizzati in Italia i primi eroSSvastika, K.Z.9 Lager di sterminio e Lager SSadis Kastrat Kommandatur.

A K.Z.9 Lager di sterminio di Bruno Mattei veniva, dunque, in prima battuta, negata la concessione del nulla osta “per le scene etero ed omosessuali, impregnate di sadismo”. Inutile impugnare la decisione, da parte della produzione, la Three Stars 76, perché anche la seconda volta la censura disse, recisamente, no, motivando in maniera più circostanziata: “Il film nel suo complesso risulta portatore di una costante offesa al buoncostume: segnatamente valgono in tal senso le numerose sequenze e scene di violenza erotica anche a carattere sadico, i rapporti ano (sic) ed eterosessuali ostentati in un clima di squallore e di ferocia, l’ambientazione disumana ed oppressiva della vicenda in un quadro di irrimediabile degradazione dello spirito. Di guisa che il film, come opera nei sensi sopraddetti unitaria, non si presta ai tagli preposti né ad alcun altro intervento del genere che ne garantisca una sia pur parziale presentabilità in pubblico”. A gennaio del 1977, finalmente, rimontato in una nuova versione, KZ9 Lager di sterminio passa con il divieto ai 18 anni. Uscirà tardivamente, nel ’77 avanzato, e rastrellerà un incasso modesto (82.420.000 milioni di lire), perché nel frattempo il genere aveva allentato la presa sul pubblico. L’inferno del film di Mattei si chiama Rosenhaus, un lager dove Ivano Staccioli compie sperimentazioni sulle deportate per ricavare vaccini che dovrebbero salvaguardare la supremazia ariana. Oltre a lui, che si chiama Franz Weicker, la triade malvagia del posto si completa con una kapò lesbica (Ria De Simone) e un ufficiale delle SS (Gabriele Carrara), che si eccita a farsi leccare gli stivali dalle prigioniere. Tra queste spicca Lorraine De Selle, ex infermiera adibita al servizio medico, che si lega a un dottore tedesco, buono (Nello Rivié). Fuggiranno durante un bombardamento ma saranno ripresi e giustiziati. La fine è forse la parte più interessante come sviluppo drammaturgico, perché Weicker, mesi dopo questi fatti, in un paesino in Italia, viene avvicinato da una strana fioraia zoppa, che è in realtà una delle sue vittime di Rosenhaus (Marina D’Aunia, quella che leccava gli stivali a Carrara), la quale schianta il carnefice facendosi esplodere con una granata. Arti amputati, seni rescissi, prigioniere-cavie esposte a gas velenosi e fatte morire, asfissiate, nel proprio sterco, manganellate, scudisciate, impiccagioni, esperimenti chirurgici ipercruenti. E in una sequenza una ragazza viene bersagliata con proiettili sperimentali che le squagliano tutti gli organi interni. A Mattei piace il gore più crudo e greve e si asseconda; ma non è mai stato un fervente erotista e nemmeno qui va giù particolarmente forte con il sesso: si segnalano solo le avances lesbiche della kapò, protagonista di una scena abbastanza libidinosa con Sonia Viviani, e le prodezze di Giovanni Attanasio, il caratterista napoletano affetto da ipertricosi sopraccigliare che interpreta un mongoloide stupratore seriale di ragazze ebree.

K.Z.9. funziona soprattutto per lo squallore senza possibile redenzione che evoca, sia per calcolo o per caso. Ma funziona anche quando sprofonda nei paradossi assoluti e il grand-guignol cede al fescennino e alla farsa comica: tipo i prigionieri omosessuali (introdotti mentre stanno facendo la calza) “curati” tramite l’accoppiamento forzato con alcune prigioniere. Basta guardare le loro facce mentre le ragazze libidinosamente si leccano le labbra e cercano di eccitarli, per comprendere che nel genere il nadir equivale allo zenith. Le stesse ragazze (c’è anche Guya Lauri Filzi) si vedono poi costrette a fare l’amore con il cadavere assiderato di un pilota, poiché, secondo le teorie di Wiecker, la stimolazione sessuale è in gradi di risvegliare addirittura i defunti: due falliscono ma la terza («Uno splendido esemplare di prostituta trovata nell’angiporto di Marsiglia. Una donna dall’indubbio mestiere: può far rinascere un morto») riesce nell’impresa – la pratica sembra follia ma è realmente testimoniata da esperimenti svoltisi a Dachau, sotto la guida di certo Sigmund Rascher, un medico vicino ad Himmler. A proposito dell’approccio storico e documentato all’argomento – vennero usati come fonti il libro La casa delle bambole di Ka-tzenik 135633 – Yahiel De-Nur, storia di una giovane ebrea destinata alla prostituzione in un campo di prigionia nazista, e un altro volume descrittivo delle atroci sperimentazioni del dottor Josef Mengele, il famigerato “angelo della Morte” – diceva Mattei: «Lo spunto era serio e quindi tentammo di dare un’impronta seriosa al film; nel finale inserimmo anche le foto dei criminali di guerra […]. Ma venne preso ferocemente, ci massacrarono. È stato un errore micidiale quello di tentare, con piccoli mezzi, di affrontare un discorso realistico». L’irrealismo totale governa invece il film di Sergio Garrone Lager SSadis Kastrat Kommandatur, di cui un critico francese scrisse che lì “il sordido si tocca con il nulla”. Poi siamo arrivati noi ad argomentare che dal nulla al sublime il passo può essere ugualmente breve. Un eroSSvastika doveva essere fatto in quel modo. Doveva essere minimale, povero, “pasoliniano”, spoglio, sanguinario, sommario, grigio, polveroso, recitato in trance medianica. Garrone si inventò l’inimmaginabile, come sinossi: un ufficiale nazista, il colonnello von Kleiben (interpretato da Giorgio Cerioni, con capello ossigenato), ha perso la virilità durante lo stupro di una ragazza ebrea che lo ha morso proprio lì, lasciandolo menno o “spadone” che dir si voglia. Ma lui non si rassegna e nel campo di concentramento dove esercita il suo potere è alla ricerca di un candidato idoneo ad offrirgli gli attributi per recuperare l’efficienza sessuale. In vista della selezione, von Kleiben costringe delle reclute tedesche ad accoppiarsi con le prigioniere del campo e giunge così a individuare nella gagliarda recluta Helmut (Micha Carven, attore di fumetti il quale andava allora dicendo di essere il figlio illegittimo di Clark Gable), il possibile donatore. Il soldato, per necessario increspamento e complicazione della sceneggiatura, è innamorato di una prigioniera, Mirelle (Paola Corazzi, statuaria), con la quale consuma fino al giorno in cui, espiantato a sua insaputa, scopre, cercando di possederla, di non essere più in grado di armare la propria virilità. Mentre von Kleiben, contemporaneamente, fa bagordi nel bordello del campo. Finirà in una carneficina: von Kleiben subisce un accoltellamento plurimo da parte delle prigioniere-puttane inferocite e lo “scoglionato” Helmut scappa con Mirelle, ma entrambi soccomberanno al fuoco delle guardie del lager.

La censura massacrò Lager SSadis Kastrat Kommandatur, chiedendo ed ottenendo una decina tra alleggerimenti e tagli, soprattutto nelle sequenze in cui i soldati tedeschi si accoppiano in laboratorio con le prigioniere per mettere alla prova la potenza dei lombi – notevole la scopata dentro una vasca di acqua climatizzata che può, all’occorrenza, trasformarsi in un glaciale marchingegno di tortura. Il top sleazy come classificavamo un tempo le trovate più assurde, qui è però costituito dai cadaveri di prigioniere che, gettate nei forni crematori, si agitano con scatti clonici tra le fiamme fotomontate sui loro corpi; e dagli esperimenti con cui Patrizia Melega, la Ilsa della situazione, lacera i timpani e il cervello delle cavie umane di una sua macchina ad ultrasuoni. La Melega, mai più vista nel cinema, si gode Almina De Sanzio – che tra le ragazze è quella che si fa notare di più – in una bella scena saffica che fa parte del corredo erotico-morboso del film, concentrato nelle sequenze del bordello, dove appare anche la monumentale russa Inga Alexandrova, con la quale Cerioni sperimenta la ritrovata vigoria sessuale alla fine. Alcune curiosità: mentre la Alexandrova è uncredited. Come sempre nei film che fece in quel perioso in Italia, ad avere il nome sui titoli di testa è Matilde Dall’Aglio che il film non lo fece ma apparteneva alla stessa agenzia cinematografica dell’Alexandrova e quindi è possibile che avesse prestato il nome per ragioni burocratiche e di nazionalità della produzione. Anche Luciano Rossi ha un cammeo, nel ruolo di un ufficiale nazista, alla fine, senza essere accreditato. Alabiso poté dirsi ben soddisfatto, se è vero, come racconta Garrone, che una settantina di milioni bastarono per confezionare questo film e il gemello, a fronte di un incasso del solo Kastrat Kommandatur quantificabile in 255. 579. 696 milioni di lire.