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Un abito da sposa macchiato di sangue

1972
Titolo Originale:
La novia ensangrentada
REGIA:
Vicente Aranda
CAST:
Simón Andreu
Alexandra Bastedo
Julien Monteserrat

Il nostro giudizio

Un abito da sposa macchiato di sangue è un film del 1972, diretto da Vicente Aranda.

Ab Iove principium. Il nome del regista Vicente Aranda dice qualcosa anche a chi non ha altrimenti grande pratica del cinema horror spagnolo degli anni Settanta. Difficile, citandolo, non farsi venire subito in mente Amantes, L’amante bilingue o Lo sguardo dell’altro: tutte pellicole distinte da una rappresentazione del sesso affatto mediata; anzi, assai corriva e talvolta persino fastidiosamente troppo cruda. Lo stesso che accadeva in Un abito da sposa macchiato di sangue, personale rilettura del Carmilla di Sheridan Le Fanu, incastrata nella copiosa filmografia del regista tra Las crueles (meglio conosciuto come El cadaver exquisito, 1969), storia della vendetta di una lesbica nei confronti dell’uomo che le ha ammazzato la compagna, e Clara es el precio, del 1975, su una madre di famiglia che conduce una doppia vita come pornostar. Argomenti non leggeri, quindi, e raccontati non in punta di fioretto. Un abito da sposa macchiato di sangue chiarisce subito che aria tirerà fin dalle scene iniziali, quando Simon Andreu giocherella intorno al pube scoperto della moglie Maribel Martín prima di possederla in una copula che rasenta lo stupro.

La vampira, Alexandra Basredo, che si inserisce come terzo incomodo in una coppia in viaggio di nozze dove i rapporti sono già difficili (nella saffovampirologia la luna miele è il momento di maggiore vulnerabilità sessuale della coppia) non è nel modello letterario – dal quale Aranda non dipende se non in minima parte – e richiama, con felice casualità, La vestale di Satana; senonché, mentre la cifra del film di Kümel era una sensualità languorosa e rarefatta, in Un abito da sposa macchiato di sangue il sesso è piuttosto una faccenda terragna, ferina, e ha strettamente a che vedere col sangue. Non assistiamo mai a nessuna congiunzione carnale tra la Martín e la Bastedo, in effetti, ma il loro legame erotico è potente e tocca l’apice durante la fantasia notturna di Susan, quando la sua mano, guidata da quella di Carmilla in abito da vestale, affonda la lama nel corpo del marito, macellandolo come un capretto; il richiamo femminista è peraltro sensibile in tutto il film, dal quale i personaggi maschili escono malissimo: o sadici (Andreu) o cretini (il medico, con gli incredibili sproloqui sul saffismo come condizione patologica). Anche questa sarebbe una analogia con la pellicola belga, dove però la vampirizzazione lesbica della Ouimet equivale ad una presa di coscienza che la indurrà ad eliminare il proprio compagno e ad affrontare una nuova esistenza nel mondo nel finale aperto.

Qui, al contrario, l’epilogo è inchiostrato e nichilista: non solo le due amanti vengono massacrate, ma la loro femminilità, anche da morte, subirà l’affronto della mutilazione – e a proposito dello stop-frame sul coltello di Andreu che sta per amputare il seno della moglie, si è favoleggiato che in certe versioni del film l’atto sarebbe stato mostrato nella sua interezza. Belli gli echi surreali nella scena del ritrovamento di Carmilla, sepolta sotto la battigia con i seni affioranti come budini, e il particolare feticistico degli anelli indossati al contrario dalla vampira. La Bastedo, inglese ed ex (pseudo) Bond-girl di Casinò Royale, è avvenente di fisico e ha un mesmerico viso volpino. I plot a base saffica le dovevano essere congeniali, visto che dopo Un abito da sposa macchiato di sangue fu protagonista dello stravagante horror-erotico Odio mi cuerpo, di León Klimowsky, in cui le veniva trapiantato un cervello maschile.