7 storie vere di fantasmi al cinema

Quando la realtà supera la fantasia: le storie più inquietanti trasformate in film
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Non c’è mai stato un momento migliore per portare la cronaca nel cinema. Le proprietà culturali esistenti rappresentano oggi la base economica della fiction audiovisiva: non solo libri, fumetti e remake, ma ogni singolo richiamo è valido e fa brodo per giustificare l’agognato acquisto del biglietto da parte di un pubblico sempre più inafferrabile. La passione per le “storie vere” degli autori va ben oltre la morbosità sensazionalistica o la pigrizia; si rifà piuttosto all’ineluttabile necessità di appoggiarsi a qualcosa di extra-filmico, oggi che il film in sé, inteso come prodotto di cento minuti fatto e finito, non sembra più un investimento sufficiente. E la realtà è in un certo senso il cinematic universe più grande di tutti. Quanto siano “vere” le storie di fantasmi non è un calcolo che riguarda lo spettatore. E’ anzi proprio l’ambiguità delle controverse testimonianze a rendere queste vicende più appetibili, in chiave cinematografica, rispetto alle vecchie storie di serial killer che fecero la fortuna dei primi slasher. E la possibilità stessa che quanto raccontato, per quanto incredibile, possa effettivamente avere una base di verità, basta a dare tutt’altro valore alle avventure dei coniugi Ed e Lorraine Warren, in questi giorni pronti a rilanciarsi nel terzo capitolo ufficiale della saga di The Conjuring. La coppia non ha mai disdegnato il render pubbliche le proprie imprese; anzi, le sue coraggiose dichiarazioni hanno negli anni tracciato un’importante cosmogonia delle “apparizioni” statunitensi, alimentate in seguito da contributi spuri e leggende metropolitane da tempo accavallatesi nella blogosfera. Partendo dal loro contributo, ecco una selezione di film tratti da “storie vere” di fantasmi, ondata che non poteva non vederli protagonisti.

Amityville Horror (1979)

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Con la bellezza di ventisei film tra il 1977 e il 2021 (potrebbe essere record), quella di Amityville non è neanche più definibile come saga, ammesso che lo sia mai stata. Anche l’aggancio a quel fatto di cronaca che pure a tutto diede inizio, la strage di Ronald DeFeo al 112 di Ocean Avenue nell’omonima città, strage che gli stessi Warren contribuirono a rendere il massacro-copertina nella “gloriosa” stagione dei serial killer, è ormai venuto meno. In quello che è oggi un vero e proprio brand dell’horror, quanto ha seguito la storia di possessione narrata nel film primo film di Stuart Rosenberg ha ormai nulla a che vedere con il materiale di partenza; testimonianza di quanto la curiosità dello spettatore sia più che altro un patto, un far finta di crederci, serenamente slegato da ogni pretesa di realtà. L’ultimo innesto più o meno rilevante fu il film del 2017, con la giovane Bella Thorne e più di un’idea carina: da allora, altri cinque titoli in home video, quattro soltanto nel 2020.

Entity (1982)

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Nonostante la miniera d’oro per questo genere di materiale rimangano i turbolenti anni ’70 statunitensi, lo zeitgeist cinematografico pare per un lungo periodo relativamente poco appassionato alle storie di spettri. Ancorato ad una superata estetica gothic, l’ectoplasma appare accettabile solo se coniugato con la ben più moderna ossessione per l’assassino seriale (binomio che proprio di Amityville fece la fortuna). I must del periodo restano lo slasher, genere che meglio di tutti dà corpo all’incubo classista dell’America abbandonata, popolata da folli derelitti brandenti armi da taglio in agguato nelle distese rurali del sud. Entity di Sidney J.Furie è quindi un’anomalia, anticipazione semi-inosservata del Poltergeist di Hooper e ad oggi cult per pochi. Colpa forse anche di una storia relativamente poco “spettacolare”, ricca più di letture psicanalitiche e sociali che di esoterismo grezzo: le implicazioni del caso  Doris Bither, donna psichiatricamente instabile, ex tossica, made di quattro figli, a suo dire ripetutamente violentata nella sua stessa casa da tre fantasmi, vanno ben oltre il paranormale.

An American Haunting (2005)

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Per rilanciare l’interesse nella ghost story si dovrà attendere la seconda metà degli anni 2000, quando le nuove paure, forse figlie indirette dell’ondata j-horror e parallele al progressivo dissolversi dell’interesse nei confronti del gore, apriranno le porte a una importante sequenza di storie vere, found footage e possessioni. Ad aprire in un certo senso il trend è un film più ambizioso di quanto non si ricordi quale An American Haunting, presentatosi con budget e cast importante a raccontare il più clamoroso caso di stregoneria nella storia americana: quello della strega dei Bell, che per due anni, tra il 1818 e il 1820, avrebbe tormentato l’omonima famiglia di contadini nel North Carolina, fino ad ucciderne il patriarca in circostanze misteriose Un vero e proprio mito fondativo del folklore americano, con il tempo arricchito e reinterpretato in più maniere (il titolo di Blair Witch Project lo richiama senza in realtà affrontarlo), arrivato infine sullo schermo in confezione leccata e senza troppe idee.

Il messaggero (2009)

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Personaggi mitici già in vita, fino a pochi anni fa non erano moltissimi i film ispirati alle vicende di Ed e Lorraine Warren. Oggi la lungimiranza di Jason Blum li ha  abilmente trasformati in protagonisti da universo condiviso, facendone la prima coppia sposata di scream queens del genere. Precedentemente, il nome del duo non era forse reputato sufficientemente forte, e difatti i film pre-Blumhouse tendono ancora a mischiare le carte. Il trionfale film del 2009 è quello che restituisce al pop il nome della coppia; la storia rievocata è quella della famiglia Snedeker, occupante di passaggio in una vecchia casa del Connecticut, ex sede di un’impresa di pompe funebri campagnola. Si tratta di uno dei “casi” più truci e noti di quelli marketizzati dai due, che elaborando l’oscuro passato dell’abitazione non mancarono di accludere necrofilia, magia nera, evocazioni sataniche – e ovviamente l’esorcismo finale, a liberare la famiglia perseguitata. Il film, effettivamente assai suggestivo, fu l’ultimo che Lorraine fece in tempo a vedere: non abbastanza spaventoso, avrebbe sentenziato.

La casa muta (2010)

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Il bello dei film di fantasmi sta anche nella natura al risparmio della proposta, definitivamente liberata anche dei più basici standard di make-up richiesti alla filmografia horror fino ad allora: senza più alcun obbligo di messa in scena, il genere sembra essersi definitivamente democraticizzato, apertosi a qualunque autore, qualunque industria e qualunque budget. Per amministrare suspense e jumpscares non servono tecnicismi importanti – e qualunque mercato ha una “storia vera” di spettri su cui lucrare. Il più fortunato dei contributi etnici al filone è quasi sicuramente La casa muta uruguayana, in seguito rielaborato in un discreto remake con Elizabeth Olsen. La storia, peraltro neanche fantasiosa, è il più classico dei pretesti, a dire dell’autore ispirato ad un inquietante fatto di cronaca avvenuto a inizio secolo sui monti uruguayani. Il vero colpo sta nelle modalità della messa in scena, che tra cineprese amatoriali e scansione in tempo reale trova un punto di raccordo interessante con il found footage, e un buon contributo alla sempre aperta gara al piano sequenza virtuosistico.

Veronica (2017)

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Se la carriera di Jaume Balaguerò ha spiccato il volo, il vecchio Paco Plaza ha fatto fatica a dare un seguito dignitoso a quei Rec che ne fecero una star. A diversi anni dall’ultimo innesto del franchise, anche il più allegramente splatteroso degli spagnoli non ha potuto non piegarsi alle nuove tendenze: nel suo Veronica non c’è già più traccia della ferocia cannibalesca della vecchia saga, sostituita da tensione low-cost e necessità di confrontarsi con i nuovi rivali statunitensi. A fare da base al film c’è un altro grande classico: un’evocazione con tavola ouija, storicamente avvenuta a Madrid nel 1991 e culminata con la morte in circostanze mai chiarite della giovane studentessa Estefania Lazaro, ufficialmente nel tentativo di comunicare con lo spirito del defunto fidanzato. Spunto e storia ben più interessanti del non entusiasmante svolgimento: uno di quei casi in cui i meri fatti della realtà non bastano a fare un film.

La vedova Winchester (2018)

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Con un Cv importante nel mondo dell’horror mainstream, i fratelli Spierig si sono recentemente confrontati con il gravoso adattamento di uno dei più bizzarri, celebri e discussi episodi di haunting statunitensi su larga scala: l’assurda impresa personale di Sarah Winchester, vedova di William Winchester ed ereditiera della leggendaria casa di produzione di armi omonima. Eredità piombatale sulle spalle insieme a una bizzarra dannazione: per tutta la vita, Sarah si dirà infatti perseguitata dagli spettri di tutte le persone uccise dalle armi di famiglia. Una sorta di maledizione personale mai nascosta dalla donna, bollata nel tempo coma un stravaganza da miliardaria nevrotica. Ancor più stravaganti furono però le conseguenze: fin negli ultimi anni di vita, Sarah avrebbe infatti investito buona parte del proprio patrimonio in una ciclopica, barocca villa californiana, costruita nell’arco di decenni al fine di compiacere i trapassati, e tutt’oggi visitabile a San Josè. Una storia così aspettava solo un adattamento, infine arrivato con Helen Mirren protagonista. Un racconto di fantasmi che avrebbe forse meritato una maggiore ambizione editoriale: ma il pettegolezzo e il folklore avranno sempre la meglio.