Vince Gilligan: una ma buona

Una manciata di copioni per il cinema, la palestra di X-Files e la convinzione che la tv sia superiore, lo hanno portato a Breaking Bad una delle serie più epocali degli ultimi anni
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Sembrerà un azzardo imbastire un discorso sull’autorialità di qualcuno che deve ancora mettere la parola fine alla sua opera prima, ma quando quell’opera prima è una cosetta chiamata Breaking Bad il discorso cambia e si fa un attimo diverso, più urgente: è solo uno dei motivi principali (assieme a, diciamo, I Soprano, Lost e Mad Men) per cui oggi noi siamo qui a parlare di serie tv come di Opere e dei loro showrunner in termini di Autori. Finalmente, senza passare per mitomani o deficienti. Breaking Bad non è la prima né, secondo chi scrive, la migliore serie mai creata, ma ha il merito, più di molte altre, di aver dato uno scossone, una sonora svegliata a un pacco di gente là fuori che ancora considerava i telefilm come riempitivi per il sabato pomeriggio. Per cui, ladies and gentlemen: il suo autore, Vince Gilligan.

Classe 1967, cinefilo (con una passione smodata, e abbastanza evidente nei suoi riferimenti, per la Hollywood classica); infanzia in Virginia, università a New York, poi scuola di cinema e infine la “gavetta” a X-Files. Quando glielo propongono, dopo aver letto un suo copione, non è molto sicuro di volerlo fare, lui che, sì, è un fan della serie, ma si è sempre visto come un autore di cinema.

E invece è un’esperienza straordinaria, fondamentale («Era come essere di nuovo a scuola di cinema, solo che mi pagavano per stare lì»): sette anni, dal 1995 al 2002, nella writing room di una delle serie più importanti della storia, a imparare da uno come Chris Carter come si fa la televisione.

Dove il confine tra il lavoro di chi scrive e quello di chi mette in scena si fa labile, Vince impara che un’immagine vale più di mille parole e che uno show è buono solo fintanto che è credibile (cosa che sembra un paradosso, parlando di X-Files; non lo è affatto) e inizia a formare quell’attenzione maniacale per i particolari che sarà caratterizzante per Breaking Bad.

Entrato come monster-of-the-week guy (quello che scrive gli episodi riempitivi), nel 2002 è uno dei produttori esecutivi della serie, oltre che co-autore, assieme a Carter, dello spassoso, purtroppo breve spin-off The Lone Gunmen (inedito in Italia). Nel frattempo, dai suoi script sono stati fatti due film (Triangolo di fuoco con Dennis Quaid e Fast Food con Drew Berrymore), ma a scrivere per il cinema ormai ci pensa poco: è un convinto sostenitore della superiorità del media televisivo per raccontare una storia. Al termine di X-Files segue un periodo di stanca o, chiamando le cose con il loro nome, di disoccupazione più o meno continuata fino al 2007, quando arriva la folgorazione, l’idea clamorosa di una serie in cui il protagonista diventi l’antagonista. Breaking Bad è la sua prima opera veramente, totalmente personale, summa di tutto quello che Vince ha imparato da Chris Carter, filtrata attraverso la passione per il cinema e una riflessione tutta sua sulla ricerca di se stessi e sulla natura del male: la storia di un uomo che viene risucchiato dal proprio lato oscuro e distrugge nel processo tutto quello che tocca.