Sortilegio

Lo script di uno dei grandi film perduti dell’età dell’oro del cinema italiano
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Insieme a Maldoror di Alberto Cavallone, Sortilegio di Nardo Bonomi costituisce uno dei Misteri d’Italia per eccellenza. Come tale torniamo ad occuparcene, non perché qualcosa sia mutato nella situazione di totale irrintracciabilità del film in sé – ultimato, montato, doppiato ma mai arrivato al visto censura e rimasto, ovunque, inedito – ma perché abbiamo recuperato e letto la sceneggiatura; della qual cosa si deve ringraziare Corrado Farina, aiuto-regista di Bonomi sul set, il quale ha conservato quello che, con ogni probabilità, è oggi l’unico originale esistente del copione di Sortilegio. Con la sceneggiatura, si è ritrovato anche il piano di lavorazione del film, fondamentale per definire una volta per tutte quale fosse il cast tecnico e artistico principale. Questi i dati: produzione Uni Film s.r.l. di Renzo e Carlo Maietto; operatore: Aiace Parolin; direttore di produzione: Carlo Chamblant; ispettore di produzione: Eolo Capritti; architetto: Mimmo Scavia. Seguono gli interpreti e i personaggi: Erna Schurer (Amelia), Fred Robsam (Dionigi), Jessica Dublin (attrice), Geraldine Hooper (Melodie), Frederik Presel (principe), Pier Luigi Catocci (frate), Franca Occhipinti (liturgista), Giovanni Nannini (pazzo), Nella Barbieri (contessa), Miranda Fedele (piromane), Mimmo Scavia (musicista), Claudio Trionfi e Norma Martelli (fidanzati), Pino Frontani (porcaio), Gemma Baracchi (vecchia), Paola Nenciolini (suora), Piero Nenciolini (donna grassissima), Gail Davis (negra), Dori Cei e V. Mariotti (due tedeschi), Vittorio Guidi (autista), Sirio Degli Innocenti (gentiluomo), Manlio Salvatori (industriale), Lorenza Castellani (cameriera), Laura Mannucchi (spartita), Lina Rovini (vedova), Giovanni Rovini (impiccato) e Bruno Breschi (contadino). Gli unici due ruoli per i quali sul piano di lavorazione non c’è corrispondenza con il nome dell’interprete, sono quelli di Alessio, il marito della protagonista Erna Schurer, e della governante. Il primo andò a Marco Ferreri (scelto all’ultimo momento e che lavorò soltanto a Roma, mentre il piano di lavorazione si riferisce alla parte di girata tra Greve in Chianti e Firenze); non siamo invece riusciti a identificare quale attrice ricoprisse la parte, piuttosto importante, della governante.

Un avvertenza siglata dall’autore della sceneggiatura Brunello Rondi, sottolinea che i riferimenti magici e occultistici sono rigorosamente desunti dai testi di Aleister Crowley, “l’uomo più perverso della Terra”, alle lettura delle cui “Memorie” gli autori del film vengono rimandati come a una “guida pratica”. Amelia e il marito Alessio sono in vacanza in una villa sul lago di Castelgandolfo. Lei sposa giovane, esuberante, annoiata (e un po’ sciroccata: disegna ghirigori sui vetri coi tacchi delle scarpe, gioca con gli oggetti e li rompe); lui maturo e compassato studioso di cose esoteriche, ambiguamente legato alla vecchia governante. Che il sesso non sia idilliaco tra i due è più che lasciato intuire: ma è Amelia che respinge fredda, scostante, gli approcci del coniuge e inoltre gli gira attorno, mentre lui lavora, maneggiando in maniera sinistra delle forbici. A un quarto d’ora di film, Amelia esce di casa e sale in macchina, mettendosi a girovagare sulla strada che circonda il lago. “Tutto, all’inizio, in ciò che vede e che incontra sembra assolutamente tranquillo e normale”, ma poi, improvvisamente, il mondo intorno a lei comincia a colorarsi di visioni. “Amelia vede tra i tronchi e i cespugli una fanciulla correre, inseguita da un uomo. É Amelia stessa, giovane, con una camicetta da collegiale e i capelli raccolti in treccia. Sul fondo, una macchina di grossa cilindrata, scura, di modello passato. Nell’interno si intravvede la figura della vecchia governante”. Residuo onirico? Allucinazione? Sedimento psicanalitico? Il persecutore e quindi violentatore di Amelia adolescente scopriamo essere il marito Alessio (scena tesa e molto lunga, girata all’orto botanico di Roma, secondo quanto ricorda Corrado Farina). Nello script, il ricordo traumatico di Amelia risulta montato in alternanza all’abbattimento di un enorme albero sulla strada, che per poco rischia di sfracellare la sua auto. Amelia “come trasognata” si allontana verso l’aia di una casa colonica, vicino all’ansa di un fiume: presso la riva è ancorata una barchetta, con sopra un desco, al centro del quale troneggia la sua testa, spiccata e con gli occhi bendati. Tre commensali siedono intorno al tavolo: un frate, una suora e un uomo “vestito di una calzamaglia a squame”. Nell’acqua, galleggia una donna obesa, con un pollastrello appollaiato sulla pancia. Un’altra donna, Melodie, nuota reggendo una coppa, mentre un musicista, a terra, suona il suo violoncello usando la schiena di una ragazza nuda come pentagramma. Gli strani individui non sono che le avvisaglie di una pittoresca e inquietante armata esoetrica insieme alla quale Amelia si trova presto coinvolta in una marcia a grandi giornate in direzione di un misterioso convento. La sceneggiatura si riempie di tali e tanti singolari dettagli, in questa fase, che darne conto è difficile. Il collasso dalla realtà alla dimensione fiabesca-onirica passa a un certo punto attraverso un serratissimo montaggio incrociato tra Amelia che rivede il marito-violentatore ad attenderla, ragazzina, fuori dall’orfanotrofio per condurla con sé e l’uccisione, tramite scannamento, di un maiale da parte di un porcaio che appartiene al gruppo dei bizzarri “pellegrini”.

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«Rallegrati, Baal, i tuoi sicofanti ti recano messi novelle!», recita la “liturgista” di quelli che ormai, con tutta evidenza, sono adepti del Diavolo, esemplificati da gente di ogni classe sociale e di ogni censo, di ogni nazionalità e razza, in marcia l’uno accanto all’altro, “democraticamente”. La volontà è di delineare il satanismo come credo panico, totalmente anarchico e libertario. É il “Thelema”, la legge del “fa ciò che vuoi!” di Crowley, cui Rondi sembra guardare con occhio benevolo, persino apologetico. Amelia, al contrario, comincia a profilarsi con un’assassina. Si gioca sull’ambiguità che possa avere ucciso il marito nel passato recente, servendosi di una pistola che appare e scompare nelle sue mani, lungo le tappe del suo cammino, nei contesti più strani. In una scena Amelia si trova faccia a faccia, nel bosco, ai piedi di un albero, con due mefistofelici contorsionisti, un uomo e una donna che costituiscono un serpentino “viluppo di corpi”. Finché, “mentre la coppia si aggroviglia, formando continuamente nuove spire” un arto dei contorsionisti si impadronisce della pistola che Amelia sta stringendo in pugno e “fagocita”, letteralmente, l’arma. Se fu davvero girata come è descritta, l’effetto era impressionante. Il corteo giunge così alle mura di un antico convento, la sua meta. «Non capisco dove sono capitata»; dice Amelia. E un frate le risponde: «Qui non si viene certo per caso, signora…». Compare un giovane biondo, “bello come un Dio”, che in precedenza Amelia aveva visto a bordo di una motocicletta. Il nome del centauro è Dionigi. Con la sua scorta e quella di altri personaggi del gruppo, la donna si inoltra nei recessidel monastero, dove la semina di stranezze è ancora più abbondante: colpisce, tra le altre cose, una prova iniziatica in cui agli astanti è chiesto di superare un cordone gettato a terra, di traverso a un cunicolo, “intrecciato con i corpi di piccoli animali”. Il tutto sfocia in un grande quadro esoterico del quale ci possiamo fare, visivamente, un’idea dalla foto di scena sopravvissuta: i convenuti per il rituale prendono posto su scranni di pietra, nella cripta del convento, iniziando l’intonazione di inni ai demoni biblici Baal, Behelial, Bozz, Isacaron. La nota di regia relativa dice: “Mentre continua il coro, ha luogo la preparazione di un rito, La liturgista gira in tondo agitando un incensiere. Nel cerchio ideale, si trova il caprone e una donna lo incappuccia, mentre la piromane accende dei ceri neri. La vedova porta la teta del maiale decorata e la posa al centro di una mensa. I due amanti si baciano. Amelia, sola nel suo angolo, ascolta e guarda, senza prendere parte al rito, senza pronunciare alcuna parola”. A questo punto, i cerimonianti formano una “catena magnetica”, braccia e mani in alto “come a formare una strana, aerea, ghirlanda”. Dai corpi di tutti emanano copiosi rivoli di sudore, si innalzano mugolii, sospiri, gemiti. Qualcosa sta man mano raggiungendo l’acme, come in un orgasmo, e anche Amelia è ormai coinvolta nel dionisiaco crescendo finché…

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Finché dal soffitto di pietra si sparge un rumore di battaglia: galoppo di cavalli, grida, sferragliare di lame… Come se al piano di sopra stesse avvenendo una guerra, mentre voci in francese incitano al massacro, all’omicidio i combattenti. Si sta evocando per via medianica un eccidio avvenuto nel diciottesimo secolo, a quanto sembra durante la “Rivoluzione”. Amelia, al termine di questo baccanale, perde i sensi. Finisce il primo tempo del film. Ritroviamo la protagonista esanime in un prato. Accanto a lei, un membro della setta, definita “l’attrice”, scorre una serie di quotidiani sui quali campeggia a caratteri cubitali la notizia dell’uccisione di Alessio. Tornata alla coscienza, Amelia è sgomenta, atterrita dal gorgo dei ricordi allucinanti della seduta medianica e da ciò che l’attrice le mostra. Si convince di essere stata drogata e plagiata dai settari, che rischiano, invece, di sembrare solo degli innocui buontemponi in vena di eccentricità. La sceneggiatura diventa un piano inclinato lungo il quale lo scivolamento di Amelia verso la follia e la paranoia ora è incontrovertibile ora genera il legittimo dubbio. Se l’assassinio del marito è frutto solo della sua immaginazione, come mai, fattasi riaccompagnare a casa da Dionigi in moto, la donna la trova piantonata dai carabinieri e con i sigilli alle porte? E se gli occupanti della “comune” non nascondono pericoli, com’è che Amelia, spiandone una cerimonia notturna guidata da un frate, con al seguito tutte le donne del gruppo, resta raccapricciata di fronte allo spettacolo di una “camminata penitenziale” sulle ortiche e sui rovi e dei tagli che costoro si infliggono con i frammenti di uno specchio rotto? In questa seconda parte, si insinua anche una discreta componente erotica che nella prima ora di film restava soffusa. Mentre la Schurer assiste, allibita, alla scena “sadica” appena descritta, una misteriosa ragazza nuda la blandisce safficamente con carezze; e più in là, distesa sul giaciglio della sua celletta nel monastero, Amelia verrà fatta oggetto di insistite attenzioni lesbiche da parte di Melodie.

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Restano due colpi di teatro. Amelia, in balia degli eventi, subisce una sorta di processo in un’aula del convento di fronte a tutti membri della congrega. Viene ricostruito l’omicidio di Alessio e sull’onda dei flash-backes riviviamo tre possibili meccaniche dell’evento. É stata la donna a freddare il consorte, sparandogli alle spalle. Oppure la mano assassina è quella della vecchia governante; oppure sono state Amelia e la governante in combutta. La sessione si trasforma senza soluzione di continuità in un nuovo rito medianico, in cui è evocato il fantasma stesso di Alessio, che si materializza poco alla volta sotto gli occhi di tutti e, avvicinandosi alla moglie, la indica come sua carnefice. Una nota di regia chiarisce che l’effetto della comparsa dello spettro deve essere reso ambiguo, così che non si capisca se la forma ectoplasmatica sia un fenomeno ultraterreno o un “trucco” ottenuto con l’utilizzo di un riflettore. Ancora un rapporto sessuale consumato da Amelia tra le braccia di Dionigi, mentre i congiurati occhieggiano tra le fronde di un bosco e poi un definitivo fulmine in coda. Come in trance, Amelia si ritrova nel refettorio del convento, dove si sono raccolti tutti i membri della setta. “Mani, braccia si alzano, ad indicare ad Amelia un percorso. Voci: ‘Di là, Vai avanti! Sì, prosegui di là! Vai, vai… Chiarezza e pace…”. Amelia arriva sotto la corda d’una campana che si muove da sola, misteriosamente, e sembra formata da uno strano cappio. Vi si ferma sotto e guarda là in alto. La corda si alza e abbassa, come se qualcuno la tirasse, e la campana, là in alto, manda un melanconico e tintinnante rintocco”. Il principe, Dionigi, l’attrice e il misterioso uomo dal volto coperto da un cappuccio, la incitano a fermare la campana. “Alzando una mano a mezz’aria, Amelia sfiora la corda, vi esita, la lascia.

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Tutti dai loro seggi, chinano la testa, e tacciono, non fosse per un mormorio salmodiante, che si leva da ogni seggio. Si odono frasi magiche, sommesse invocazioni e intanto la campana suona, suona… (Campana). Stiamo sul viso dei membri della setta mentre Amelia viene accompagnata al cappio. Dettaglio della corda della campana, che si alza e si abbassa, mentre il rintocco cambia di tonalità (Rintocco). Il corpo di Amelia precipita in una interminabile caduta ritmata dal suono della campana. I due piedi di Amelia si alzano, nudi, nell’aria e le scarpe che portava cadono, quasi contemporaneamente, a terra. Ora i piedi, le gambe nude di Amelia, si muovono – alzandosi ed abbassandosi un poco – nell’aria. I volti di tutti i componenti della setta sono voltati in giù, in un silenzio ora quasi reverente. Inquadrata dall’alto, mentre il rintocco della campana ha cambiato il ritmo, la setta pare un mostruoso anello di presenze, una tenaglia scura”. A questo punto, il misterioso uomo col cappuccio, se lo toglie, lentamente. “Andiamo piano sul suo volto, con un carrello e panoramica, che comincia dalle sue spalle e gli gira intorno lentamente. Lo vediamo ora in volto, bene, è il marito di Amelia, i tratti tirati, un leggero sudore alla fronte, ma lo sguardo trionfante. Dice una sola parola, a voce bassa, ma che risuona nel silenzio irreale dello stanzone, guardando il dettaglio dei piedi nudi di Amelia, leggermente e lentamente scossi, mentre si ode, deformato e allargato, il rintocco della campana, e il cappuccio che si è appena tolto forma come uno strano contorno oscuro intorno al suo volto… Marito di Amelia: ‘Fantastico…’. Teatrino: ‘Davvero fantastico!’. Una risata. FINE.