Sharp Objects – Il pilota

Il primo episodio della serie di Marti Noxon

Camille Preaker (Amy Adams) è una giornalista di cronaca nera. Su richiesta del suo capo (Miguel Sandoval), decide di occuparsi della recente scomparsa di una giovane ragazza di Wind Gap, cittadina nella quale lei stessa è cresciuta. Il caso potrebbe essere collegato all’omicidio di un’altra giovane del posto, trovata morta pochi mesi prima. Camille ritorna quindi nella sua città natale e nella sua vecchia casa – dove abita la madre Adora (Patricia Clarkson) insieme al patrigno (Henry Czerny) e alla loro figlia adolescente (Eliza Scanlen) –, costretta ad affrontare il suo difficile passato e i suoi ricordi che, suo malgrado, riaffiorano con prepotenza. Diciamolo subito. Sharp Objects non poteva iniziare meglio di così. La nuova serie HBO – creata da Marti Noxon (Dietland, Buffy – L’ Ammazza Vampiri), diretta da Jean-Marc Vallée (Big Little Lies) e tratta dal romanzo omonimo di Gillian Flynn (Gone Girl) – pone le basi per un thriller tutt’altro che canonico con un episodio ottimo, coinvolgente ed ermetico, al pari della sua protagonista. Alla fine del pilot non sappiamo poi molto di Camille ma bastano poche scene per rimanere letteralmente ammaliati dalla sua figura.

Il merito non è solo della bravissima Amy Adams – capelli scompigliati, trucco sbavato e aria depressa e stanca – ma anche della mirabile scrittura che tratteggia subito una donna complessa, sfuggente, disillusa e “rotta” (come si vede anche nel poster ufficiale), inseparabile dai suoi auricolari tanto quanto dalla vodka. La musica e l’alcool sono solo alcuni dei mezzi che Camille usa nel tentativo di evadere, reprimere emozioni, immagini, ricordi e allo stesso tempo, paradossalmente, immergervi. Lasciando trapelare il trauma del passato, oscuro e doloroso, centellinato grazie al fluire di flashback che si sovrappongono e si confondono continuamente con il presente. Grande merito va al regista di Sharps ObjectsJean-Marc Vallée, capace di catturare e trasmettere allo spettatore, con sensibilità e precisione, quella tensione e sensazione di smarrimento e claustrofobia sentita da Camille. L’incapacità di affrontare la realtà, però, non è solo un problema della protagonista. Anche la madre Adora sembra essere totalmente incapace di gestire e affrontare alcune questioni – ad esempio la violenza e la scomparsa delle due ragazzine – e come Camille non disdegna affatto l’alcool. Anche qui, bastano poche battute, sorrisi tirati e sguardi veloci per capire che tra madre e figlia il rapporto è a dir poco conflittuale: Adora è una madre castrante, opprimente, sia nei confronti di Camille che di Amma, la figlia più piccola.

Quest’ultima si ritaglia un piccolo ma importante spazio nel finale e, con un colpo di scena, rivela diversi dettagli sulle dinamiche familiari, piuttosto insolite e preoccupanti. Che sia uno show quasi tutto al femminile è evidente: i personaggi maschili, finora, hanno ruoli secondari oppure sono del tutto assenti, esclusi dalla messa in scena. Le vere protagoniste sono senza dubbio le donne, grandi e piccole, a conferma della – buona – rappresentazione femminile che domina la serialità già da diverso tempo ormai. Sharp Objects, inoltre, è anche l’ennesimo esempio di alta televisione, figlia dell’attuale peak tv: dalla regia alla scenografia, per passare alla fotografia, la serie ha uno stile riconoscibile, personalissimo. Nulla è lasciato al caso, tutto è curato nei minimi particolari, per costruire la giusta suspense e accrescere il mistero e la curiosità verso la storia e la sua tormentata protagonista. Per chi non conoscesse il romanzo, solo negli ultimi secondi si scopre a cosa fa riferimento il titolo della miniserie “Sharp Objects” (ovvero, oggetti affilati); mettendo a segno un altro colpo di scena e aggiungendo un piccolo dettaglio, una leggera pennellata utile a costruire un quadro più grande e complesso e si presume brillante, che si rivelerà passo dopo passo. Episodio dopo episodio.