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Shadow in the Cloud

2020
REGIA:
Roseanne Liang
CAST:
Chloë Grace Moretz (Maude Garrett)
Taylor John Smith (Walter Quaid)
Beulah Koale (Anton Williams)

Il nostro giudizio

Shadow in the Cloud è un film del 2020, diretto da Roseanne Liang.

Circostanze tra le più assurde e contorte hanno infine portato Max Landis a firmare, con la sceneggiatura di Shadow in the Cloud, forse il “suo” miglior film dai tempi dello script di Chronicle (2012). Le virgolette sono in questo caso d’obbligo, così come la cautela nello stilare classifiche; il celebre esordio di quasi dieci anni fa non era certo un capolavoro, ma le rosee prospettive di carriera per il giovane autore difficilmente avrebbero fatto presagire un simile tracollo verso il baratro (l’ex amico e regista Josh Trank, nel frattempo, si rovinava con la Caporetto dei Fantastic Four: si può ufficialmente parlare di maledizione). Dopo le esagerate pernacchie a Bright nel 2017, questo avrebbe dovuto essere il suo lavoro della ripartenza; uno script piccolo, micro-budget come ai vecchi tempi, e il ritorno alla sana decostruzione giovanilistica dei generi. Poi, l’ennesima mazzata, con le accuse di sexual misconduct nei giorni del #MeToo, e l’esclusione (forse a questo punto definitiva) dal sistema Hollywood. Mentre Landis finì cancellato, Shadow in the Cloud era intanto partito. La regista designata Roseanne Liang si trovò costretta a riscrivere da capo il film in piena produzione, al fine di presentare al montaggio un master che escludesse il nome “tossico” dell’autore dai credits (quanto questo genere di epurazioni influenzino veramente il pubblico di massa ignaro di gossip andrà presto o tardi analizzato). Operazione peraltro rivelatasi inutile, visto l’intervento del sindacato del WGA in difesa dell’autore: alla fine il film è arrivato, e la doppia firma impressa nei titoli è quella di Roseanne Liang e Max Landis. E il risultato non è neanche male.

Il caos all’origine di Shadow in the Cloud ha partorito un film che definire confuso non rende l’idea; un claudicante Frankenstein di suggestioni, figlio esemplificativo di una fase storica in cui si produce troppo e male, mettendo in cantiere progetti su progetti senza una linea precisa, al fine di occupare più spazio possibile nell’ipermercato dell’OTT. Sono due, forse tre gli script frullati insieme in ottanta velocissimi minuti, il cui amalgama è affidato a un glorioso one woman show di Chloe Grace Moretz, da sempre perfetta in ruoli di sforzo, urla e dolore. E’ lei la giovane e ambigua pilotessa Maude Garrett, imbarcatasi con un pacco misterioso, documenti dubbi e tanti segreti su un aereo militare in Nuova Zelanda durante la WWII. Nella claustrofobia metallica del pericolante apparecchio, la giovane dovrà conquistare la fiducia degli sbavanti bifolchi di linea durante un’infernale tratta in tempo reale; combattendo sessismo, aerei giapponesi e gremlin assassini (ci sono anche loro), salverà al contempo la sacralità della maternità, l’occidente libero e valori liberali del femminismo yankee. In parte monster movie dedicato ai celebri mostriciattoli del folklore aviatorio, in parte action di guerra e aeroplani, ma anche psicodramma fatto di tensione e dialoghi in ambiente chiuso, Shadow in the Cloud prova come può a trovare una quadra tra i suoi mille input. Non ci riesce, ma il complesso regge: in un lavoro che sembra cambiare pelle da una scena all’altra (non con vera cognizione), è la divisione in due atti a marcare la principale separazione stilistica. I primi quaranta minuti sono eccezionali, e il racconto sembra impostarsi su una gimmick registica alla Cuaron, costringendo l’eroina nello spazio chiussismo della torretta sferica; via radio emergono sospetti e diffidenze dell’equipaggio, mentre ombre orripilanti si affollano oltre i vetri e le nuvole.

Un lungo segmento minimalista inquietante e coraggioso, scritto con maestria e più di un’idea notevole. Nell’atto risolutivo il film devia forzosamente sull’action di mostri, capovolgendo l’intensità dell’inizio in un divertente ma già visto scontro ad alta quota; lì l’interesse cala, e la sbandata sopra le righe ribalta l’anima teatrale del testo, che da raffinato si riscopre allegramente grossolano. Se tali contrasti producono cortocircuiti quantomeno interessanti (la dicotomia spaziale è in fondo organica al racconto: è un film di interno/esterno, mormorii ed esplosioni, soffocamento e cielo aperto), è l’anima stessa di Shadow in the Cloud a essere inintelligibile. Il passato di Landis, inutile nasconderlo, è il vero macigno in un film che si vorrebbe femminista anche per mondarsi dal peccato originale del suo autore (di femminismo si parla sempre in termini americani: il vero “tema”, se ce n’è uno, è il permesso maternità e le pari opportunità sul posto di lavoro – che in questo caso consiste nello sganciare bombe sul Pacifico). Consapevole di trovarsi per le mani un testo controverso e fraintendibile, Liang carica a mille la figura dell’eroina; Maude Garrett è insieme la Wonder Woman del neo-grindhouse e la sua parodia, impegnata a menare, uccidere, volare da un aereo all’altro, massacrare nemici a cazzotti e portare in salvo i piagnucolosi co-protagonisti maschi. La povera Moretz fa le acrobazie (letteralmente) per mantenere credibile quello che in una scena è un personaggio sofferto e complesso, in quella dopo una sorta di presa in giro vivente dello stereotipo della Mary Sue. Auto-ironia o sincera esaltazione? A fugare i dubbi, arrivano gli incredibili titoli di coda, con tanto di lacrimosa dedica alle combattenti femminili dell’esercito americano; come dire, per tirarsi fuori dal fuoco incrociato della polemica Twitter, niente di meglio che un action-arlecchino, progressista e militarista insieme, servo di venti padroni e diretto a ogni tipo di pubblico. Conseguenze del voler usare il cinema d’azione per mandare messaggi.