Radley Metzger in memoriam

Scompare un virtuoso del cinema erotico
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Si è spento il 31 marzo nella sua casa di New York Radley Metzger. Aveva 88 anni. Noto anche con gli pseudonimi Henry Paris e Jake Barnes, Metzger è stato un regista, distributore e produttore di film a carattere erotico e hard core. Eleganza e cerebralismo sono state le caratteristiche salienti del suo cinema, che Nocturno ha analizzato in una serie di articoli contenuti nel Nocturno book nr. 19, Verso le luci rosse, risalente al 2001. Riproponiamo in questa sede un pezzo che analizza il percorso di Metzger nel cinema erotico, dagli esordi a Esotika, erotika, psicotika.  

Tutti coloro che hanno avuto modo di vedere i suoi film ritengono Radley Metzger il maestro del cinema erotico sofisticato, in qualche modo contrapposto a quello più rude e campagnolo del connazionale Russ Meyer. In realtà il suo primo lavoro da regista è quanto di più distante si possa immaginare da tale rappresentazione. Dark Odissey (accorciato e rititolato Passionate Sunday dopo la prima, disastrosa, uscita nelle sale) racconta infatti di Ianni, un marinaio greco che giunge a New York per  vendicare la sorella disonorata, sedotta e poi abbandonata. Il film, scritto e diretto da Metzger insieme a William Kyriakis, mette in scena più che adeguatamente il conflitto tra culture e codici di comportamento differenti, gettando uno sguardo realistico su una comunità come quella greco-americana, raramente presa in considerazione dal cinema.  Il realismo dell’opera e lo stile hanno fatto vedere accostamenti al primo Cassavetes e un’ideale anticipazione del Mean Streets di Scorsese. All’uscita nelle sale, però, l’accoglienza è tutt’altro che calorosa, con un insuccesso tanto di pubblico quanto di critica, eccezion fatta per l’ottima recensione di Howard Thompson sulle pagine del New York Times, e il film si rivela un fallimento totale, tanto che il regista si trova impossibilitato a pagare il dovuto per l’acquisto della pellicola.

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Decide così di dedicarsi esclusivamente alla distribuzione, fonda insieme ad Ava Leighton la Audubon Films e per tutto il decennio ‘60 si specializza nell’importazione di film europei caratterizzati da un erotismo sofisticato ed elegante (vedi box in coda). L’idea di girare film in prima persona non è mai stata abbandonata e nel ‘62 Metzger porta a termine The Dirty Girls, film che in qualche modo può essere considerato il suo vero debutto. Se appena qualche anno prima il consiglio di calcare il pedale sull’erotismo in Dark Odissey, facendo recitare l’attrice protagonista senza reggiseno, l’aveva offeso, ora fa tesoro dell’esperienza come distributore e realizza un film che già dal titolo è in grado di solleticare i pruriti delle platee americane. Il primo episodio racconta così di Garance, donna di strada parigina, alle prese rispettivamente con un ragazzo vergine e con un uomo che le offre il doppio solo per prenderla a cinghiate. Il secondo comincia con l’arrivo di un americano a Monaco di Baviera intenzionato a conoscere Constance, donna di piacere di cui gli hanno parlato in termini molto lusinghieri. Si imbatte invece in Nadia, scambiandola per l’amica. Constance si è ormai stabilita altrove e passa da un amante all’altro in attesa del suo vero amore. Che alla fine si fa vivo ma, sorpresa, si tratta di una donna! L’episodio centrale viene abbandonato e quello finale esteso a coprire gli ultimi due terzi del film. Il risultato è un’opera che non si eleva più di tanto al di sopra dei modelli europei a cui Metzger inevitabilmente si rifà, la componente erotica permea l’intera vicenda ma la regia è ancora incerta, statica, con una prevalenza di piani fissi e un montaggio che fa poco o niente per movimentare le scene. Il film è inoltre infarcito di dialoghi pretenziosi (per non dire dei commenti in voce over) e la sceneggiatura  si dimostra sin dagli esordi il vero tallone d’Achille del cinema di Metzger, che ammette di non essersi mai trovato a suo agio con la costruzione narrativa: «Non avendo una vera e propria esperienza come scrittore mi sono sempre sentito poco sicuro al riguardo. In qualche modo avevo bisogno di uno scheletro, qualcosa su cui lavorare, per questo mi sono spesso affidato a classici della letteratura».

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Il film successivo, The Alley Cats, segna comunque un passo avanti: girato ancora in bianco e nero, è molto meno statico del precedente e fanno capolino i carrelli laterali che diverranno uno dei segni distintivi della sua regia (tanto che c’è chi lo paragona a Max Ophuls). Dominano il tema lesbico e quello sado-maso che, benché in nuce già nel primo film e in qualche modo ricorrenti nell’intera opera, troveranno piena espressione rispettivamente con Therese & Isabelle e The Punishment of Anne. La trama è pure qui piuttosto semplice e lineare: Leslie è una ragazza giovane e piacente ma insoddisfatta della relazione con il suo compagno che la tradisce ogni qualvolta gliene capiti l’occasione. Non solo: più cresce l’odio nei confronti dell’uomo che le sta vicino, più la ragazza comincia a scoprire il proprio lato omosessuale, spronata dall’amica Irena, a sua volta desiderosa di farle conoscere i piaceri dell’amore saffico. Si tratta del film migliore in questa prima fase e gran parte del merito va proprio alle protagoniste, su tutte la splendida Anne Arthur, prototipo di donna “metzgeriana” per eccellenza, capace di essere particolarmente accattivante pur non mostrando che qualche centimetro di pelle: a conferma della teoria che vuole le donne dei film di Metzger più erotiche con i vestiti indosso. Altrettanto adeguata Sabrina Koch nel ruolo della lesbica che ha il compito di svezzare la giovane; tra le altre dobbiamo almeno segnalare Karin Field (poi in Le demone di Franco e Nella stretta morsa del ragno di Margheriti) e Uta Levka, qui in una piccola parte ma protagonista del film successivo.

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I tempi sono ancora prematuri e in questi primi film (e almeno fino a Camille 2000) l’atto sessuale è messo in scena per mezzo di primi piani sostenuti del volto estatico della donna che arriva all’orgasmo (l’esempio migliore sarà proprio in Camille 2000, con il fuoco/fuori fuoco tra una rosa in primissimo piano e il volto della Goubert sullo sfondo, al ritmo del respiro sempre più rapido della donna). I corpi non vengono mai inquadrati per intero e Metzger si ingegna a inventare soluzioni registiche all’insegna del vedere e non vedere, come il ripetuto avanti e indietro della Mdp lungo una fila di bicchieri colorati davanti ai corpi avvinghiati degli amanti in Carmen Baby o i giochi di specchi di Camille 2000. Per il film seguente Metzger decide finalmente di affidarsi a un testo classico, Carmen di Prosper Mérimée, storia di una prostituta che conduce alla rovina un uomo perbene. Al lavoro c’è la stessa troupe del film precedente e gli esterni vengono girati in Jugoslavia,  dove si riesce a ricreare un’atmosfera da località marittima della Costa Azzurra che ricorda molto da vicino quella di Piace a troppi di Vadim. Carmen rappresenta alla perfezione le donne inafferrabili e restie a qualsiasi tipo di legame dei film di Metzger; saranno così anche i personaggi interpretati da Danielle Gaubert in Camille 2000 e soprattutto quello di Silvana Venturelli in The Lickerish Quartet, inafferrabile perché pura proiezione di un desiderio. Nonostante il film costituisca il maggior incasso tra i film del regista e la tecnica si faccia sempre più ricercata, non si può dire che si tratti di un’opera  completamente riuscita: non si partecipa granché delle tribolazioni del poliziotto innamorato e dopo i primi venti minuti ci si annoia, con la trama che più passa il tempo più si sfilaccia, disperdendosi in mille rivoli. L’erotismo latita, ma si tratta in qualche modo di una scelta: «Carmen Baby ha avuto la reputazione di uno tra i film più sexy mai fatti nonostante mostrasse ben poche nudità. La gente pensava che io avessi reso più erotica la storia di Mérimée, mentre in realtà avevo eliminato diverse scene di sesso presenti nell’originale. Sia il film con Rita Hayworth che la versione francese con Vivian Romance sono più fedeli al testo di partenza». A Metzger non interessa l’erotismo in sé e per sé e tanto meno desidera venire categorizzato come regista di film erotici: quello che gli sta più a cuore è raccontare storie d’amore, spesso tragiche, in una maniera che lo accosta più al melodramma classico che al film erotico tout court.

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In quest’ottica va visto il successivo Therese & Isabelle, tratto dall’omonimo romanzo di Violette Leduc, racconto autobiografico dell’amore che sboccia tra due ragazze in un collegio femminile. L’impianto a flashback continui e incastrati gli uni negli altri, con Therese che torna a visitare il collegio vent’anni dopo, fa del film il più ambizioso tra quelli realizzati da Metzger fino ad allora, ma due ore sono troppe e il ritmo è particolarmente dilatato, scandito da lunghi carrelli e ampi movimenti di macchina. Inoltre, le due attrici sono troppo vecchie per il ruolo: Essy Persson è più erotica nei panni della venusiana di 4…3…2…1… morte di Primo Zeglio – ma Metzger l’ha vista e apprezzata in I, A Woman, del danese Mac Ahlberg, che la Audubon ha importato e distribuito negli USA con successo –; stessa cosa si dica per la sua compagna Anna Gael, una delle tante starlet ad apparire nel fantasexyfico inglese diretto da Michael Cort, Zeta One. A fatica oggi lo si potrebbe considerare un film erotico: per tutta la prima ora le due ragazze si sfiorano appena e in quella successiva i pochi convegni d’amore sono talmente pudici da far risultare più azzardati i doppi sensi della voce narrante. Tuttavia il regista riesce nel suo intento e Therese & Isabelle fa di Metzger un regista “rispettabile”, levandogli in parte di dosso l’etichetta “porno soft” («Sin dal mio secondo film, quel “dirty” era rimasto appiccicato a ogni lavoro successivo») e spianando la strada per le opere più riuscite e mature di tutto il periodo soft: Camille 2000 e The Lickerish Quartet.

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Con l’adattamento del romanzo di Dumas, Metzger abbandona definitivamente il bianco e nero, a favore di una messa in scena caleidoscopica e psichedelica, soprattutto per merito dello straordinario lavoro svolto da Enrico Sabbatini come scenografo e creatore dei costumi. Ma la troupe è italiana in gran parte: la fotografia è di Ennio Guarnieri, reduce da Il giardino dei Finzi Contini di De Sica, le musiche di Piero Piccioni e il cast annovera, tra gli altri, Massimo Serato, Eleonora Rossi Drago, Roberto Bisacco, Graziella Galvani ed Enzo Fiermonte. Danielle Gaubert (approdata in Italia nel 1961 per Una storia milanese di Eriprando Visconti, ma già apparsa in Gioventù nuda di Carné) e Nino Castelnuovo sono finalmente una coppia di amanti credibili e in grado di coinvolgere lo spettatore negli alti e bassi della loro travolgente storia d’amore. «Forse dovresti amarmi un po’ di meno e cercare di capirmi un po’ di più», dice Marguerite ad Armand a un certo punto e la Gaubert è perfetta nel ruolo della donna votata all’autodistruzione, insieme spavalda e indifesa, mangiatrice di uomini e bisognosa di protezione. Il destino dei due amanti è anche stavolta segnato e quando i due si giurano amore eterno su un belvedere romano la Mdp si solleva lentamente per mostrare, sotto di loro, una processione funebre all’uscita di una chiesa. Il festino a casa di Olympe (Silvana Venturelli) riprende e porta all’estremo una scena ricorrente sin dai primi film di Metzger (lo stesso regista è tra coloro che si tuffano nell’acqua della piscina in The Dirty Girls) con gli ospiti in tenute a metà tra De Sade e Barbarella e amplessi in camere che hanno sbarre al posto delle porte. È la rappresentazione migliore del mondo ritratto da Metzger: una borghesia aristocratica e decadente, intenta a oziare in orge e baccanali come antichi romani – si noti bene che raramente Metzger mostra nei suoi film personaggi intenti a svolgere una professione o anche solo a parlarne.

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Dello stesso stampo è il microcosmo intorno al quale ruota il film seguente, giunto in Italia con il titolo Esotika Erotika Psicotika e dialoghi a cura di Alberto Cavallone (ci sarà mai possibile ascoltarli?). Un uomo, una donna e un ragazzo guardano una pellicola amatoriale proto-pornografica nella cui protagonista riconoscono una motociclista acrobatica che si esibisce nella loro città. Dopo averla invitata a casa, le mostrano il filmato ma il volto della donna non si riesce più a identificare con chiarezza. Tuttavia la ragazza accetta di restare ospite e durante la sua permanenza realizza le fantasie erotiche di ciascun membro della famiglia. Il film si apre con una citazione pirandelliana da Sei personaggi in cerca d’autore e si chiude con i quattro “attori” del filmato amatoriale intenti a guardare la stessa pellicola porno, i cui protagonisti sono stavolta gli interpreti del film stesso, ovverosia Frank Wolff, Erika Remberg, Paolo Turco e Silvana Venturelli. Cinema nel cinema e stimolante riflessione sulla natura precipua della settima arte, The Lickerish Quartet è un’opera assolutamente unica e personale, nonostante le molteplici influenze: da Teorema di Pasolini a L’occhio che uccide di Powell (regista che Metzger ama molto, benché abbia più volte ripetuto di non aver mai visto il film in questione), passando per la mise en abîme di L’anno scorso a Mariembad di Resnais a Trans Europe Express di Robbe Grillet. La natura della visione è illusoria ma influisce sulla percezione del reale, fino a modificare il passato e alterare la memoria dei fatti: ognuno dei tre componenti della famiglia ricorda gli eventi che conducono al presente in maniera differente l’uno dagli altri. Il desiderio informa la realtà e la Venturelli è per ognuno di loro quello che essi desiderano di volta in volta, vergine, prostituta, lesbica. «Avevo bisogno di ambientare la vicenda in un luogo che fosse in qualche modo fuori dal mondo» e Metzger trova quello di cui ha bisogno nel castello di Balsorano, negli Appennini abruzzesi (quello di tanto gotico italiano), dove gira tutto il film fatta eccezione per la celebre sequenza della biblioteca, realizzata a Cinecittà (anche qui gran parte del merito è attribuibile a Sabbatini).

Il film si conclude con l’immagine del fascio di luce di un proiettore a bobina terminata e si ha l’impressione che Metzger abbia detto tutto ciò che poteva dire senza forzare ulteriormente i confini del mostrabile e il successivo Little Mother (uscito in video anche come Blood Queen), rilettura della vicenda di Eva Peron (interpretata da Christiane Kruger), è un film poco riuscito e incapace di aggiungere alcunché alle opere che l’hanno preceduto. I tempi sono maturi  per varcare una nuova soglia, quella dell’hard-core, e Metzger ne ha chiara coscienza.